La questione affrontata dai giudici regionali del Lazio, con la sentenza n. 42 del 4 aprile 2006 e depositata il 4 maggio 2006, attiene alla regolare instaurazione del contraddittorio e ai presupposti dell’impugnazione oltre l’anno della sentenza, da parte del soggetto non regolarmente chiamato in giudizio.
Il contenzioso prende avvio con l’impugnazione di un avviso di rettifica. Alla copia del ricorso, depositata presso la segreteria della Commissione tributaria, la società ricorrente allegava la fotocopia della ricevuta di spedizione per raccomandata del ricorso all’ufficio impositore, ovvero la prova dell’avvenuto invio del plico.
Nonostante l’avvenuta spedizione, la controparte pubblica non si costituiva in giudizio e i giudici provinciali pronunciavano sentenza di accoglimento del ricorso, in conseguenza - tra l’altro - proprio del mancato assolvimento dell’onere della prova da parte dell’Amministrazione finanziaria.
Solo successivamente al deposito della sentenza, ben oltre il termine lungo di un anno (e 46 giorni), di cui all’articolo 327, comma 1, cpc, cui fa espresso rinvio l’articolo 38 del Dlgs 546/92, veniva proposta impugnazione in appello avverso la citata pronuncia.
Affermava l’ufficio appellante come, agli atti in suo possesso, non risultasse pervenuto alcun ricorso da parte della società avverso l’avviso di rettifica, tanto è vero che lo stesso risultava essersi definito per mancata impugnazione, e di non aver ricevuto comunicazioni riguardanti tale giudizio dalla segreteria della Commissione. Faceva rilevare, pertanto, di essere venuto a conoscenza dello svolgimento del processo, nonché dell’intervenuta pronuncia di accoglimento del ricorso, soltanto dopo il deposito della sentenza e a termini scaduti.
Per tale ragione, in sede di appello, invocava l’applicazione del secondo comma del citato articolo 327 cpc.
La disciplina di riferimento: articolo 327 cpc
Tale norma, se al primo comma stabilisce che l’impugnazione (appello, ricorso per Cassazione e revocazione) deve necessariamente essere proposta nel termine massimo di un anno dalla pubblicazione della sentenza, al secondo comma prevede una deroga a tale principio nel caso in cui la parte contumace dimostri “di non aver avuto conoscenza del processo per nullità della citazione o della notificazione di essa e per nullità della notificazione degli atti di cui all’art. 292”. In tal caso, il termine decorrerà dall’effettiva conoscenza del giudizio o della sentenza.
Quest’ultima disposizione è pacificamente applicabile al processo tributario in virtù del puntuale rinvio operato per le impugnazioni dall’articolo 49 del Dlgs 546/92, secondo cui “Alle impugnazioni delle sentenze delle commissioni tributarie si applicano le disposizioni del titolo III, capo I del libro II del codice di procedura civile, escluso l’art. 337 e fatto salvo quanto disposto nel presente decreto”.
Ciò trova conferma anche nell’orientamento della Suprema corte. Affermano i giudici di legittimità (sentenza del 6/5/2002, n. 6466): “La giurisprudenza ha da tempo affermato il principio, ormai consolidato, secondo cui il primo comma dell’art. 327 del codice di procedura civile enuncia un principio di carattere generale applicabile in tutto l’ordinamento processuale e quindi anche nel processo tributario”, pertanto anche “le sentenze delle commissioni tributarie, di primo e secondo grado, non possono essere impugnate ove sia decorso un anno dalla loro pubblicazione, a meno che la parte, rimasta contumace, non dimostri la sussistenza dei presupposti per l’applicazione del secondo comma dell’articolo 327 cpc”.
L’articolo 38 del Dlgs 546/92
Nella disciplina del processo tributario è, tuttavia, rinvenibile una disposizione specifica riguardante l’impugnazione “oltre l’anno”.
Stante il principio generale di cui all’articolo 1, comma 2, Dlgs 546/92, secondo cui “i giudici tributari applicano le norme del presente decreto e, per quanto da esse non disposto e con esse compatibili, le norme del codice di procedura civile”, nel caso di specie, come rilevato correttamente dalla Ctr, si rende applicabile l’articolo 38, terzo comma, del Dlgs 546/92.
La norma, come affermato dal Collegio, fissa il principio secondo cui “se nessuna delle parti provvede alla notificazione della sentenza si applica l’art. 327 (337), primo comma, del cpc (cosiddetto termine lungo di un anno dalla pubblicazione della sentenza stessa). Tale disposizione non si applica se la parte non costituita dimostri di non aver avuto conoscenza del processo per nullità della notificazione del ricorso e della comunicazione dell’avviso di fissazione dell’udienza”.
Invero, la disposizione citata non fa altro che adeguare, in maniera puntuale, al processo tributario quanto stabilito dall’articolo 327, comma 2, cpc.
Opportunamente viene evitato, infatti, in primo luogo, il riferimento alla contumacia, istituto la cui applicabilità nel processo tributario appare discutibile, e chiarito, altresì, che la nullità deve riguardare ovviamente la notificazione del ricorso (quindi non della citazione) e la comunicazione dell’avviso di fissazione d’udienza.
Riguardo tale ultima precisazione, come rilevato da autorevole dottrina, risulta palese l’imprecisione normativa.
Si osserva, infatti, come con l’entrata in vigore del Dlgs 546/92, non si parli più di “avviso di fissazione di udienza” ma di “avviso di trattazione”, che prescinde dalla pubblica udienza (articolo 31 del Dlgs 546/92), ed è noto, inoltre, come le segreterie delle Commissioni tributarie diano comunicazione della data di trattazione alle sole parti regolarmente costituite in giudizio, secondo quanto stabilito dal comma 1 del predetto articolo 31 del Dlgs 546/92.
La motivazione della sentenza: presupposti dell’impugnazione oltre l’anno
Il Collegio individua, così, nella mancata costituzione in giudizio dell’appellante, il primo requisito fondamentale perché possa legittimamente essere invocata l’applicazione della citata disposizione e chiarisce, altresì, come debba trattarsi di una mancata costituzione in giudizio incolpevole ossia dovuta all’oggettiva ignoranza del giudizio.
Affermano i giudici romani che è onere della parte che provvede alla notifica, avvalendosi del servizio postale, produrre la cartolina di ritorno e ciò può avvenire, indifferentemente, sia in occasione del deposito del ricorso in Commissione, che nel corso del giudizio, purchè prima che la causa sia posta in decisione.
Una volta constatato come non risultasse al fascicolo l’avviso di ricevimento del plico, la Ctr conclude affermando che “La notifica a mezzo del servizio postale si perfeziona solo con la sottoscrizione da parte del destinatario della ricevuta di ritorno; pertanto, qualora il destinatario dell’atto non si sia costituito ed agli atti non sia reperibile detta ricevuta (nel caso di specie relativa al ricorso) ciò determina l’inesistenza della notificazione e l’inammissibilità dell’impugnazione”.
Viene precisato, inoltre, che la parte appellata non era stata “in grado di produrre la prova dell’avvenuta notifica del ricorso” durante il giudizio di secondo grado, ma in proposito resta da verificare se tale prova, come sembra far ritenere il Collegio, possa essere prodotta in sede di gravame. Si osserva come la pronuncia in esame non si discosti dal prevalente orientamento giurisprudenziale di legittimità (si veda Corte di cassazione, sentenza n. 8931/2005).
Anche di recente la Suprema corte, con sentenza n. 10506 dell’8 maggio 2006, è intervenuta in materia, a confermare che la notifica degli atti giudiziari a mezzo del servizio postale non si esaurisce con la spedizione dell’atto ma si perfeziona solo con la consegna dell’atto al destinatario, la cui prova è data unicamente dall’avviso di ricevimento.
Nessuno spazio per la rimessione della causa al primo grado
La declaratoria dell’inammissibilità del ricorso introduttivo, se da un lato vale a correggere gli effetti pregiudizievoli di una sentenza pronunciata, senza che vi sia stata la regolare instaurazione del contraddittorio (nel caso di specie in assenza della parte pubblica), dall’altra può precludere, come nel caso in esame, il giudizio di merito al ricorrente.
Un esito, quest’ultimo, che può suscitare perplessità nel momento in cui l’omissione non sia direttamente imputabile a negligenza della parte, nell’eventualità in cui l’avviso di ricevimento non pervenga, per una qualsiasi ragione, nelle mani del notificante.
Fermo restando che il sistema postale non prevede alcuna traccia dell’avvenuto recapito dell’avviso di ricevimento, il verificarsi di tale eventualità, viste le conseguenze che ne possono derivare, fa riflettere circa i rischi connessi all’utilizzo del servizio postale.
Qualora ciò si verifichi, a meno di non essere ancora in termini per provvedere a una nuova spedizione, la parte, sia essa pubblica o privata (come in questo caso), potrebbe solo augurarsi che, nonostante lo smarrimento dell’avviso, la parte intimata abbia ricevuto l’atto e che si costituisca in giudizio, oppure tentare di ottenerne copia presso l’ufficio postale.
Da altra angolazione deve, altresì, rilevarsi come l’articolo 22, al primo comma, con riferimento all’utilizzo del servizio postale e dei documenti che il ricorrente è tenuto ad allegare, si riferisca esclusivamente alla copia della ricevuta di spedizione, né in altre disposizioni di legge è rinvenibile alcun obbligo di depositare anche l’avviso di ricevimento e, ad ogni modo, la mancata previsione dell’inammissibilità in conseguenza di tale omissione.
Tuttavia si osserva che, trattandosi di questione sostanziale riguardante la corretta instaurazione del contraddittorio (articolo 101 cpc), non può invocarsi il noto principio di carattere generale della tassatività delle ipotesi di inammissibilità, secondo cui non può pronunciarsi l’inammissibilità degli atti introduttivi del giudizio a meno che sia espressamente prevista dalla legge (Corte costituzionale, sentenza n. 520 del 6/12/2002; sentenza n. 98 del 18/3/2004).
La Commissione osserva, inoltre, come l’articolo 20, comma 2, del Dlgs 546/92 stabilisca che “la spedizione del ricorso deve avvenire (…) con avviso di ricevimento”. C’è da ritenere che, con tale richiamo, il Collegio abbia inteso sostanzialmente confermare come l’invio debba avvenire con avviso di ricevimento, e che il mancato deposito di tale atto in giudizio si rifletterebbe anche nell’impossibilità per il ricorrente di fornire prova di aver correttamente provveduto alla spedizione secondo le modalità previste dalla legge.
Riguardo inoltre la richiesta in via subordinata da parte dell’ufficio di rimessione della causa al giudice di primo grado, ex articolo 59, comma 1, lettera b), del Dlgs 546/92, occorre osservare come tale norma consenta alla Commissione tributaria regionale di rimettere la causa alla Commissione provinciale che ha emesso la sentenza impugnata “quando riconosce che nel giudizio di primo grado il contraddittorio non è stato regolarmente costituito o integrato”.
La citata disposizione, volta proprio a garantire il principio del contraddittorio processuale, potrebbe perseguire entrambi gli effetti: da un lato quello di annullare la sentenza pronunciata in assenza di contraddittorio, dall’altro l’evitare che una parte possa vedere pregiudicato il proprio diritto a ottenere due gradi di giudizio.
Si tratta, tuttavia, di un’alternativa la cui applicabilità, nonostante possa consentire di evitare una pronuncia d’inammissibilità e, quindi, non pregiudicare le finalità stesse del processo, rimane esclusa poiché, come chiarito, la mancata produzione dell’avviso di ricevimento - anche nel caso in cui fosse imputabile a disservizio postale - comporta non la mera nullità ma l’inesistenza della notifica, con conseguente necessaria declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione.
I presupposti dell’impugnazione tardiva
Il primo è l’incolpevole mancata costituzione in giudizio nel grado precedente
