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Giurisprudenza

Prezzo troppo basso e mutuo alto
legittimano la doppia presunzione

La Corte di cassazione accoglie il ricorso dell’ufficio finanziario che si oppone alla decisione del tribunale regionale e precisa quali sono le “eccezioni” che derogano il principio generale

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In caso di accertamento, corretto il ricorso alla doppia presunzione motivata da un prezzo inverosimile e mutuo superiore al valore dichiarato nella compravendita. Il fatto noto, accertato in via presuntiva, può costituire premessa di un'ulteriore presunzione, ferma restando la necessità di valutarne l'attendibilità, in termini di gravità, precisione e concordanza idonee a fondare l'accertamento del fatto ignoto

La Corte di cassazione, con la sentenza n. 6870/2023, è intervenuta nuovamente ad argomentare sull’erronea esegesi giudiziale degli articoli 2729 e 2697 del codice civile, talvolta resa dai collegi di merito, ovvero sulla inesatta lettura applicativa, per quel che riguarda le liti avverso gli atti di accertamento, del “divieto di doppia presunzione”.

Il caso
La controversia, che ha dato spunto al giudice di legittimità per prospettare i profili sopra accennati, aveva per oggetto un avviso di accertamento di reddito di impresa, successivo a pvc per recupero a tassazione di maggiori ricavi e mancato riconoscimento di oneri deducibili.
Il competente ufficio emetteva detto atto impositivo, in capo a una società di capitali, ai sensi degli articoli 39 del Dpr n. 600/1973 e 54 del Dpr n.633/1972 e con una motivazione fondata sulla inverosimiglianza della rivendita sottocosto di beni immobili. Tale deduzione trovava, a sua volta, ragione nello scostamento dai valori Omi di immobili costituenti oggetto di compravendita, nel prezzo a metro- quadro desunto in fattura (pari o inferiore al costo di costruzione), nonché nel maggior valore del mutuo contratto.

Nel giudizio di grado provinciale, il ricorso era parzialmente accolto in relazione alla ricostruzione dei ricavi; veniva invece confermato il corretto operato dell’ufficio a riguardo della ripresa a tassazione per costi indeducibili.
Non sortiva l’effetto invocato il gravame interposto, dall’appellante ufficio dell’Agenzia delle entrate, ai fini della riforma della sentenza di prime cure; veniva infatti confermata, anche in appello, la sentenza di primo grado.
L’ufficio impositore proponeva quindi ricorso alla Corte suprema, incentrato sulla violazione – desunta nella motivazione della sentenza impugnata – dell’articolo 39, comma 1, lettera D) del Dpr n. 600/1973, nonché degli articoli 2697 e 11 codice civile.

Il giudizio della Corte
Il giudice di ultima istanza ha ritenuto fondato il ricorso avanzato dall’ente erariale interessato.
In motivazione è stata rilevata l’inosservanza, da parte del giudice tributario di appello, delle norme che regolano il ragionamento presuntivo.
La Corte ha, quindi, richiamato il precedente indirizzo di legittimità (Cassazione civile, n. 23860/2020), inteso ad affermare che “Non è configurabile nel sistema processuale un divieto di presunzioni di secondo grado, non essendo lo stesso riconducibile agli artt. 2729 e 2697 c.c., né ad altre norme; pertanto, è ben possibile che il fatto noto, accertato in via presuntiva, costituisca la premessa di un'ulteriore presunzione, ferma restando la necessità di valutare in concreto l'attendibilità del risultato, in termini di gravità, precisione e concordanza idonee a fondare l'accertamento del fatto ignoto”.

In effetti, nella motivazione della pronuncia ultima citata, più ampia rispetto a quella qui in rassegna, si evidenziava come la giurisprudenza di legittimità si stesse progressivamente assestando sulla posizione per cui l'invocato divieto di doppia presunzione o di presunzione di secondo grado “a catena”, espresso nel brocardo “praesumptum de praesumpto non admittitur” è, in realtà, inesistente nel nostro sistema, nel senso che non è previsto e codificato da alcuna disposizione di legge, non essendo riconducibile agli articoli 2729 e 2697 cc, né a qualsiasi altra norma dell'ordinamento (Cassazione, sezione V, decisioni nn. 15003/2017, 20748/2019, 33961/2019, n. 33042/2019, 19171/2019 e 579/2020).

Osservava quindi la Corte, sempre nella citata pronuncia del 2020 che “Il problema, quindi, come rilevato anche dalla dottrina, non è stabilire se sia giuridicamente ammissibile ricavare un fatto per presunzione da una precedente presunzione, ma, piuttosto, valutare l'attendibilità del risultato di questa sequenza logica. Occorre, cioè, che anche all'esito del secondo passaggio presuntivo sussistano gli elementi di gravità, precisione e concordanza che possono condurre a ritenere provato il fatto”.

Tornando alla sentenza più recente, emessa dalla Cassazione, i principi descritti hanno consentito al Collegio di rimarcare l’erroneità della sentenza di merito impugnata ove lo scostamento dei valori Omi era stato argomentato come l’unico elemento presuntivo addotto, mentre invece l’ufficio aveva esibito altri elementi indiziari quali: a) l’inverosimiglianza del prezzo di rivendita a metro-quadro (espresso in fattura in misura pari o inferiore al costo di costruzione), b) il valore del mutuo superiore al prezzo dichiarato nella compravendita.

Alcuni altri precedenti
Oltre ai responsi dianzi richiamati, deve precisarsi che le eccezioni – rivolte agli avvisi di accertamento – basate sul “divieto di doppia presunzione”, sono stato “bocciate” in altre circostanze dalla Corte di cassazione. Possono essere citati, ad esempio, i seguenti arresti della Cassazione civile:

  • n. 641/2018, ove è stato decretato che non sussiste il divieto di doppia presunzione qualora dal fatto noto, costituito dalla presenza di dipendenti non regolarmente assunti (e per i quali emerga la corresponsione di una retribuzione non contabilizzata), si tragga la presunzione di maggiore redditività dell'impresa
  • n. 17523/2021, ove si è rappresentato che la presunzione di attribuzione ai soci degli utili extracontabilì della società di capitali a ristretta base sociale non viola il divieto di doppia presunzione, poiché il fatto noto non è costituito dalla sussistenza dei maggiori redditi induttivamente accertati nei confronti della società, ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci che, in tal caso, normalmente caratterizza la gestione sociale, con la conseguenza che, una volta ritenuta operante detta presunzione, spetta poi al contribuente fornire la prova contraria.
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