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Giurisprudenza

Prezzo unico per casa e terreno.
Registro più alto se non è pertinenza

Non basta a determinare il vincolo la volontà del proprietario di destinare l’area a giardino dell’abitazione, ma occorre una destinazione effettiva e concreta del bene accessorio e una modifica dello stato dei luoghi

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In caso di trasferimenti riguardanti beni per i quali sono previste aliquote diverse, l’imposta di registro si applica con l’aliquota più alta se le parti non hanno pattuito un corrispettivo distinto tra i vari beni. Questo il principio espresso dalla Corte di cassazione con l’ordinanza n. 29527 del 24 dicembre 2020.

La vicenda riguarda una compravendita, stipulata nel 2009, avente ad oggetto due appartamenti ed alcuni terreni, siti in zona di “Salvaguardia ambientale”, ai quali le parti avevano attribuito natura pertinenziale.
La vendita era stata concluso per il prezzo complessivo di 4.100.000 euro.
In atto la parte acquirente aveva chiesto che le imposte indirette fossero applicate secondo il criterio del “prezzo valore”, di cui all’articolo 1, comma 497, della legge n. 266 del 2005.
Questo criterio consente, per i soli trasferimenti a titolo oneroso di abitazioni e relative pertinenze, a favore di persone fisiche che non agiscono nell’esercizio di attività di commerciali, artistiche, professionali, di chiedere che la tassazione, ai fini dell’applicazione delle imposte di registro, ipotecaria e catastale, sia effettuata sulla base del “valore catastale” dei beni trasferiti e non sul corrispettivo stabilito dalle parti.
L’amministrazione finanziaria, con la risoluzione n. 149 dell’11 aprile 2008 ha riconosciuto l’applicazione del “prezzo valore” anche in relazione ai terreni agricoli, pertinenziali di abitazioni, precisando che “il meccanismo del c.d. “prezzo valore” trova applicazione anche relativamente ad una molteplicità di pertinenze, purché, ovviamente, sia individuabile in modo certo il rapporto di accessorietà del bene pertinenziale rispetto al bene principale, il quale, ai fini del godimento della disposizione in esame, deve necessariamente essere un “immobile ad uso abitativo”.

Nel caso in esame il notaio, in sede di registrazione dell’atto, ha applicato, ai fini dell’imposta di registro, unicamente l’aliquota prevista, secondo la disciplina allora vigente, per i fabbricati (7%). Ciò in applicazione del terzo comma dell’articolo 23 del testo unico sull’imposta di registro, ai sensi del quale “Le pertinenze sono in ogni caso soggette alla disciplina prevista per il bene al cui servizio od ornamento sono destinate”.
In sede di controllo della tassazione effettuata dal notaio, l’ufficio territoriale presso il quale era stato registrato l’atto ha, innanzitutto, negato che i terreni trasferiti fossero pertinenziali alle abitazioni cedute con lo stesso atto. Di conseguenza ha ritenuto inapplicabile, relativamente ai terreni, la regola del “prezzo valore”.
A questo punto, considerato che, come si è detto, in atto era stato indicato un unico corrispettivo (4.100.000 euro) relativo sia alle due abitazioni che ai terreni, l’Ufficio ha applicato sull’intero prezzo l’aliquota allora prevista per i terreni (8%).
Ciò sulla base del primo comma del citato articolo 23, in base al quale “Se una disposizione ha per oggetto più beni o diritti, per i quali sono previste aliquote diverse, si applica l’aliquota più elevata, salvo che per i singoli beni o diritti siano stati pattuiti corrispettivi distinti.
Entrambe le commissioni tributarie (Ctp di Mantova, sentenza n. 29/2012 e Ctr della Lombardia, sentenza n. 2327/2015) hanno ritenuto fondato l’avviso di liquidazione emesso dall’ufficio. In particolare, i giudici tributari hanno evidenziato come dalla documentazione esibita nel processo (estratti di mappa e fotografie) non risultavano elementi in grado di dimostrare il vincolo pertinenziale dei terreni rispetto ai fabbricati. Si è, altresì, ritenuto che l’ampiezza e le caratteristiche esteriori dei terreni impedivano di considerare gli stessi come un semplice giardino pertinenziale alle abitazioni.
E’ stata, quindi, negata la tesi del contribuente, secondo la quale, sarebbe sufficiente la volontà del proprietario a creare un vincolo pertinenziale.
I giudici della Corte di cassazione, confermando le sentenze tributarie, hanno richiamato l’articolo 817 del codice civile precisando che “L’attribuzione della qualità di pertinenza si fonda sul criterio fattuale correlato alla destinazione effettiva e concreta della cosa a servizio o ornamento di un’altra…”.
Accogliendo la tesi dell’ufficio territoriale, la Corte di cassazione ha affermato che “…per qualificare come pertinenza di un fabbricato un’ara, è necessario che intervenga un’oggettiva e funzionale modificazione dello stato dei luoghi che sterilizzi in concreto e stabilmente lo ius edificandi e che non si risolva, quindi, in un mero collegamento materiale, rimovibile ad libitum.”  
Nella motivazione della pronuncia in esame è stato richiamato l’orientamento già espresso dalla stesa Corte (sentenza n.13742/2019) in base al quale, affinché un bene possa essere considerato pertinenziale, devono sussistere:

  • il requisito oggettivo, in base al quale il bene pertinenziale deve porsi in collegamento funzionale o strumentale con il bene principale
  • il requisito soggettivo, consistente nella effettiva volontà dell’avente diritto di destinare durevolmente il bene accessorio a servizio od ornamento del bene principale.

Nel caso di specie, non essendo stata fornita la prova della sussistenza del vincolo pertinenziale i giudici hanno condiviso l’inapplicabilità del “prezzo valore” in relazione al trasferimento dei terreni.
Considerato, inoltre, che in atto era stato indicato un corrispettivo unico, relativo sia alle abitazioni che ai terreni, è stata ritenuta legittima l’applicazione dell’aliquota maggiore, ovvero dell’aliquota prevista, al momento della stipula dell’atto, per i terreni (8%). Ciò, sulla base del primo comma dell’articolo 23 del Testo unico sull’imposta di registro.
E’ stato, quindi, respinto il ricorso presentato dal contribuente.

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