La Corte di cassazione ha chiarito, ai fini delle agevolazioni prima casa, per le quali l'acquirente deve avere (o trasferire, entro 18 mesi) la residenza nel comune in cui si trova il nuovo immobile oppure deve svolgervi la propria attività, che il beneficiario eserciti quest'ultima “effettivamente” in quel luogo.
L'avvocato, pertanto, deve avere il proprio studio nel comune interessato, a nulla rilevando che egli potrebbe svolgere, in quel territorio, “in astratto”, la propria professione. Questi i contenuti della sentenza n. 24542, del 4 novembre 2020.
Fatto
Al centro della vertenza vi era un avviso di accertamento e liquidazione, emesso da un ufficio siciliano dell'Agenzia delle entrate, con il quale veniva revocata a tre contribuenti l'aliquota agevolata del 4%, concessa con riferimento all'acquisto di un immobile, con irrogazione di una maggiore Iva, oltre a interessi di mora e sanzioni.
In particolare, con tale avviso era stato rilevato che l'immobile in questione non fosse un bene di lusso e che uno degli acquirenti avesse omesso di trasferirvi la residenza entro il termine di legge.
Processo di merito
A seguito di ricorso dei contribuenti, la Ctp di Caltanissetta accoglieva l'impugnazione.
Proponeva, quindi, gravame l'ufficio avanti alla Ctr di Palermo, difendendo il proprio operato.
Il giudice d'appello, propendendo per la prospettazione erariale, annullava la sentenza di prime cure e confermava l'attività impositiva.
Ricorso per cassazione
Con una serie di articolati motivi di diritto, solo uno dei quali appare meritevole di interesse ai fini della nostra analisi, i contribuenti proponevano ricorso per cassazione.
In particolare, i ricorrenti lamentavano la violazione e la falsa applicazione dell'articolo 1, nota II-bis comma 1, lettera a, Dpr n. 131/1986, degli articoli 4 e seguenti del Rdl n. 1578/1933 (che disciplina l'ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore), poiché la Ctr avrebbe errato nel ritenere che sussistesse l'obbligo di trasferimento dello studio professionale di uno dei contribuenti presso il comune ove si trovava l'immobile.
Più precisamente, tale ricorrente argomentava che, essendo avvocato, aveva la propria residenza e il suo studio legale in un altro comune ma, in quanto esercente la professione legale, il proprio ambito territoriale di attività sarebbe coinciso con quello del distretto, dovendosi tenere conto che, ai sensi dell'articolo 4 della legge professionale forense, l'attività dell'avvocato possa essere svolta in tutto il territorio nazionale.
Decisione
I giudici di legittimità premettono che l'articolo 1, nota II-bis comma 1, lettera a, Dpr n. 131/1986 prescrive che, ai fini dell'applicazione dell'aliquota agevolata agli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di case di abitazione non di lusso e agli atti traslativi o costitutivi della nuda proprietà, dell'usufrutto, dell'uso e dell'abitazione relativi alle stesse, devono ricorrere una serie di condizioni.
In particolare, è necessario che l'immobile sia ubicato nel territorio del comune in cui l'acquirente ha o stabilisca entro diciotto mesi dall'acquisto la propria residenza o, se diverso, in quello in cui l'acquirente svolge la propria attività ovvero, se trasferito all'estero per ragioni di lavoro, in quello in cui ha sede o esercita l'attività il soggetto da cui dipende ovvero, nel caso in cui l'acquirente sia cittadino italiano emigrato all'estero, che l'immobile sia acquisito come prima casa sul territorio italiano.
La dichiarazione di voler stabilire la residenza nel comune ove è situato l'immobile acquistato deve – precisa la norma – essere resa, a pena di decadenza, dall'acquirente nell'atto di acquisto.
Agevolazioni “prima casa” e sede di lavoro effettiva
La normativa tributaria in esame, spiega la Cassazione, concedendo un'agevolazione, deve essere interpretata in senso restrittivo e la disposizione invocata è estremamente chiara nell'affermare che l'aliquota spetta all'acquirente che risieda o svolga la propria attività nel territorio interessato.
Non è necessario, quindi, che detta attività sia svolta in via esclusiva o prevalente nel luogo del bene, ma è innegabile che l'esercizio debba essere “effettivo”, mirando il beneficio a favorire l'acquisto di diritti reali su case, per persone che ne siano sprovviste, nelle località nelle quali vivono o lavorano.
Ciò, inferisce la Corte, si desume dall'orientamento giurisprudenziale secondo il quale, in tema di beneficio fiscale relativo all'acquisto della prima casa, il contribuente deve invocare, a pena di decadenza, al momento della registrazione dell'atto di acquisto, alternativamente, il criterio della residenza o quello della sede effettiva di lavoro, dovendosi valutare la spettanza del beneficio, nel primo caso, in base alle risultanze delle certificazioni anagrafiche e, nel secondo, alla stregua dell'effettiva sede di lavoro.
Pertanto – questo il consolidato orientamento di legittimità – decade dall'agevolazione il contribuente che non abbia indicato, nell'atto notarile, di volere utilizzare l'abitazione in luogo di lavoro diverso dal comune di residenza (cfr. Cass. 13850/2017).
Peculiarità della professione di avvocato
La Corte suprema ha anche stabilito che, in tema d'imposta di registro, sebbene ciò non sia espressamente richiesto dall'articolo 1, nota II-bis, della Tariffa, Parte I, allegata al Dpr n. 131/1986, l'agevolazione “prima casa” è subordinata alla dichiarazione del contribuente, nell'atto di acquisto, di svolgere la propria attività lavorativa nel comune dove è ubicato l'immobile (requisito alternativo a quello del trasferimento della residenza anagrafica nello stesso entro diciotto mesi), poiché le agevolazioni sono generalmente condizionate a una dichiarazione di volontà dell'avente diritto di avvalersene e, peraltro, l'amministrazione finanziaria deve poter verificare la sussistenza dei presupposti del beneficio provvisoriamente riconosciuto (cfr. Cassazione, n. 6501/2018).
Tuttavia, il contribuente in questione aveva chiarito di non risiedere, di non avere uno studio nel comune interessati e di non aver neppure dedotto di avere reso le dichiarazioni di cui sopra nell'atto di acquisto.
Inoltre, osservano i togati di legittimità, non aveva neanche tentato di indicare una qualche attività professionale da lui posta in essere nel comune de quo.
In definitiva, l’avvocato avrebbe potuto sostenere di svolgere la professione nella località del nuovo immobile solo in via astratta, ma non in maniera effettiva come, al contrario, richiede la norma agevolativa, che, come noto, è di stretta interpretazione e non è permeabile da applicazioni analogiche.
Quindi, il concetto di territorio comunale ove è sito l'immobile non può mutarsi in quello di distretto forense, come paventato, in qualche misura, dall'avvocato ricorrente.
“Prima casa”, niente agevolazione
se l’avvocato non sposta lo studio
Irrilevante che l’ambito territoriale di svolgimento dell’attività del professionista si estenda e comprenda il distretto forense del comune in cui è ubicata la nuova proprietà
