La sentenza n. 3678 del 16 febbraio 2007 fa parte di una serie di pronunce depositate, a partire dallo scorso 8 febbraio, dalla Corte di cassazione (data battezzata come “Irap day”), in ordine alla questione dell’assoggettabilità a Irap dei lavoratori autonomi.
La controversia vede protagonista un avvocato che svolge la professione presso la propria abitazione, senza avvalersi né di dipendenti o collaboratori, né di beni strumentali di rilevante importanza, salvo quelli indispensabili per lo svolgimento dell’attività, come, ad esempio, i mobili dell’ufficio, la fotocopiatrice, il fax, il computer, il cellulare.
Il professionista aveva ribadito nei precedenti gradi di giudizio di difettare di autonoma organizzazione, con conseguente diritto al rimborso dell’Irap, anche alla luce dei criteri indicati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 156 del 2001 (in estrema sintesi, con tale sentenza, la Corte costituzionale, nel respingere tutte le prospettate questioni di illegittimità costituzionale della normativa Irap - Dlgs 15 dicembre 1997, n. 446 - ha peraltro precisato che, mentre l’elemento organizzativo è connaturato alla nozione stessa d’impresa, altrettanto non poteva dirsi per l’attività di lavoro autonomo, ancorché svolta con carattere di abitualità, potendosi ipotizzare un’attività professionale esercitata in assenza di organizzazione di capitale o lavoro altrui. Laddove difettassero tali elementi - accertamento, questo, di mero fatto, rimesso al giudice di merito - veniva a mancare il presupposto stesso dell’imposta, derivandone la sua inapplicabilità.
I giudici di merito avevano sostenuto che nel caso dell’avvocato, essendo l’attività prestata a favore dei clienti posta in essere con regolarità, stabilità, sistematicità e ripetitività di atti economici coordinati e finalizzati a uno scopo, si realizzasse il requisito dell’autonoma organizzazione.
Da qui, il ricorso in Cassazione del contribuente.
Le repliche dell’Amministrazione si sono basate sulla considerazione per cui il fatto che il contribuente prestasse la propria attività avvalendosi di beni strumentali minimi, e/o non utilizzando l’opera di dipendenti o terzi collaboratori, non escludeva il presupposto impositivo, sussistente per la sola “autonomia” nell’organizzare tempi e modalità di svolgimento della propria attività.
La Cassazione, dopo aver brevemente riassunto i contenuti della menzionata sentenza della Corte costituzionale, ha convenuto che il concetto dell’autonoma organizzazione fosse connaturato al concetto d’impresa (anche se piccola e anche se costituita in forma individuale), ma non necessariamente alla realtà di un professionista. Inoltre, i giudici di legittimità hanno disatteso le precedenti tesi ministeriali, in base alle quali l’organizzazione è esclusa solo nel caso dei collaboratori coordinati e continuativi e delle prestazioni occasionali, ribadendo come tale esclusione, in realtà, fosse gia prevista dalla legge; sarebbe, dunque, stato inutile l’utilizzo della locuzione "attività autonomamente organizzata" nell’articolo 2 del decreto Irap.
In particolare, la Suprema corte ha illustrato i tre orientamenti esistenti nel panorama giurisprudenziale italiano, con riferimento al concetto di autonoma organizzazione:
- massimalista: l’Irap è sempre dovuta dal lavoratore autonomo, salvo nelle ipotesi espressamente escluse dal legislatore, perché l’autonomia dell’organizzazione si identifica con l’abitualità stessa della professione, che non può prescindere dalla stabilità e dalla programmazione nel tempo delle energie intellettuali impiegate per acquisire clientela, ottenere credito, competere sul mercato, con legittime iniziative frutto di una personale organizzazione che non può mai mancare
- minimalista: è esclusa l’imposizione Irap per i professionisti esercenti una professione protetta, che esige l’iscrizione all’albo e non può mai spersonalizzarsi per il rapporto fiduciario (intuitus personae) che lega il prestatore al cliente, impedendo che la predisposta struttura di risorse umane e materiali sia in grado di funzionare indipendentemente e autonomamente dal suo intervento
- intermedio: l’Irap è applicabile nei casi in cui l’attività professionale, protetta o non protetta, si avvalga di una significativa e non trascurabile organizzazione di mezzi o uomini, in grado di ampliarne i risultati profittevoli, atteggiandosi come contesto potenzialmente autonomo rispetto all’apporto personale rivolto a un ruolo di indirizzo, coordinamento e controllo.
A seguito di tale specificazione, la Corte ha poi decretato di optare per il terzo orientamento, cioè quello intermedio.
Tale tesi legittima l’imposizione solo al cospetto di una struttura organizzativa “esterna” del lavoro autonomo, identificata dai giudici in "quel complesso di fattori dei quali il professionista si avvale e che per numero ed importanza sono suscettibili di creare valore aggiunto rispetto alla mera attività intellettuale supportata dagli strumenti indispensabili e di corredo al suo know-how".
In buona sostanza, la ricchezza che con l’Irap si intende tassare non può essere data dal solo impiego coordinato delle facoltà intellettive del professionista, delle sue attitudini e della sua iniziativa personale, poiché tutto questo è già tassato con l’Irpef.
E’ invece “il surplus” di attività, agevolata dalla struttura organizzativa che coadiuva e integra il professionista nelle incombenze ordinarie, a rientrare nell’imposizione.
Si tratta di una capacità produttiva impersonale e aggiuntiva che consiste nella coordinazione di capitale e lavoro altrui.
La sentenza, in esame, si chiude, comunque, con un tentativo di fornire uno strumento pratico per individuare l’autonoma organizzazione.
Innanzitutto, il professionista deve essere il responsabile dell’organizzazione e, quindi, non deve lavorare in strutture altrui e riferibili ad altrui responsabilità; in secondo luogo, l’impiego dei beni strumentali deve eccedere il minimo indispensabile per l’esercizio della professione, oppure ci si deve avvalere in modo non occasionale di lavoro altrui.
Resta, comunque, onere del contribuente che chiede il rimborso del tributo dimostrare la non ricorrenza delle suddette condizioni dinanzi alla Commissione tributaria, la cui sentenza, se congruamente motivata, è insindacabile dalla Cassazione.