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Giurisprudenza

La proposta querela di falso
sospende il processo, non lo cassa

Il giudice di merito non deve svolgere una funzione meramente passiva, prendendo semplicemente atto dell’istanza e arrestando il corso del procedimento a scapito della speditezza del giudizio

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In tema di contenzioso tributario, il disposto dell’articolo 39 del Dlgs n. 546/1992, secondo il quale il processo è sospeso, tra l’altro, quando è presentata querela di falso, impone di sospendere il giudizio dinanzi alle Commissioni tributarie fino al passaggio in giudicato della decisione in ordine alla querela stessa, trattandosi di accertamento pregiudiziale riservato ad altra giurisdizione, del quale il giudice tributario non può conoscere neppure incidenter tantum.

Così si è espressa la Corte di cassazione nell’ordinanza n. 25165 dello scorso 23 agosto.

La vicenda processuale
In sede di impugnazione di un estratto di ruolo dinanzi alla competente Commissione tributaria provinciale, un contribuente contestava gli avvisi di accertamento prodromici, affermando di non averne mai ricevuto notifica.
La sfavorevole pronuncia di prime cure veniva appellata dall’interessato il quale riproponeva l’eccezione riguardante la validità della notificazione degli atti impositivi, ribadendo la tesi secondo cui le attestazioni relative alla consegna dovevano soltanto apparentemente ritenersi da lui sottoscritte, anche perché all’epoca indicata nelle relate di notifica (21 luglio 2014) egli, come da documentazione versata in giudizio, risultava detenuto negli Stati Uniti.
Per questo motivo la stessa parte privata dapprima comunicava, e quindi documentava, di avere proposto querela di falso in ordine alle sottoscrizioni delle relate prodotte dall’ufficio.
Con sentenza n. 231 del 14 gennaio 2021, la Commissione tributaria regionale della Lombardia accoglieva il ricorso, ritenendo che, anche tenuto conto dei documenti dai quali risultava lo stato di detenzione dell’interessato al tempo della notifica, gli avvisi di accertamento non fossero stati notificati.
Ricorrendo in sede di legittimità, l’Agenzia delle entrate censurava il decisum del collegio meneghino, per violazione e falsa applicazione dell’articolo 2700 del codice civile e dell’articolo 295 cpc, per non avere la Ctr, a seguito della proposizione di querela di falso, sospeso il giudizio fino alla definizione con giudicato del processo civile sul falso stesso.

La pronuncia della Corte
La suprema Corte ha accolto il ricorso, confermando l’orientamento secondo il quale, in tema di contenzioso tributario, in ragione di quanto previsto dall’articolo 39 del Dlgs n. 546/1992, il giudice tributario deve sospendere il giudizio dinanzi a esso pendente fino al passaggio in giudicato o della decisione in ordine a una querela di falso o quando deve essere decisa in via pregiudiziale una questione sullo stato o la capacità delle persone (salvo che si tratti della capacità di stare in giudizio), perché – si legge nell’odierno arresto di legittimità – trattasi di un “accertamento pregiudiziale riservato ad altra giurisdizione, del quale il giudice tributario non può conoscere neppure ‘incidenter tantum’”.
 
A ulteriore supporto delle proprie argomentazioni, il Collegio di legittimità ha inoltre osservato che, a differenza di quanto ritenuto dal giudice di merito, neppure poteva aver rilievo la produzione, operata dalla parte privata, della documentazione del dipartimento della giustizia americana da cui si evinceva che l’interessato era stato detenuto in America dall’aprile 2014 al 16 marzo 2015, carteggio sulla cui base la Ctr aveva ritenuto la nullità delle notifiche degli atti impositivi.
La proposizione della querela di falso non ammette equipollenti laddove occorra contestare le risultanze dell’avviso di ricevimento che sia sottoscritto dall’agente postale, trattandosi di documento le cui attestazioni, relative alle attività compiute dall’incaricato del recapito al momento della consegna del piego, godono di forza certificatoria pari a quella dell’atto pubblico.

Osservazioni
La disciplina positiva in tema di notificazione di atti tributari prevede che detta attività, finalizzata a realizzare la legale conoscenza dell’atto in capo al destinatario, oltre che “personalmente”, per il tramite di un agente notificatore, quale, ad esempio, il messo comunale o il messo speciale autorizzato dell’ufficio, può essere effettuata attraverso la posta elettronica certificata nonché avvalendosi del servizio postale, in quest’ultimo caso mediante spedizione dell’atto in busta chiusa, a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento.
In particolare, secondo quanto più volte affermato dalla suprema Corte, la raccomandata con avviso di ricevimento – che, ai sensi dell’articolo 4, terzo comma, della legge n. 890/1982, “costituisce prova dell’eseguita notificazione” – certifica la fase essenziale dell’iter di notificazione postale (cfr Cassazione, nn. 7761/2022 e 29220, 22897 e 1305 del 2021) e le relative attestazioni, sottoscritte dall’operatore postale, godono della stessa fede privilegiata attribuita alla relata (cfr Cassazione, nn. 11461, 6041, 4160 e 147 del 2022).
In particolare, il Giudice di legittimità è fermo nel ritenere che l’avviso di ricevimento è assistito dall’efficacia probatoria di cui all’articolo 2700 cod. civ. e, avendo natura di atto pubblico, è eventualmente impugnabile soltanto attraverso la querela di falso (cfr Cassazione, nn. 26595, 26514, 25220, 23698, tutte del 2022).
Pertanto, laddove venga incardinato il giudizio civile di falso per contestare le risultanze materiali (eccependo, ad esempio, la contraffazione o l’alterazione), ovvero il contenuto (falsità ideologica) di un atto avente fede privilegiata, che la controparte voglia utilizzare nel giudizio tributario e che assuma rilevanza ai fini della decisione, il giudice del processo fiscale è tenuto a sospendere il giudizio dinanzi ad esso incardinato.

Come spiegato dal Collegio di legittimità, peraltro, la Commissione tributaria non è chiamata a svolgere una funzione meramente passiva, prendendo semplicemente atto dell’istanza e arrestando il corso del procedimento a scapito della speditezza del giudizio garantita dalle regole del giusto processo, dovendo invece “verificare la pertinenza di tale iniziativa processuale in relazione al documento impugnato e la sua rilevanza ai fini della decisione perché il provvedimento sospensivo non finisca per costituire un inutile intralcio alla giurisdizione” e, in definitiva, “apprezzare l’idoneità della proposta querela ad arrestare il corso del processo” (cfr Cassazione, n. 2354/2022).

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