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Giurisprudenza

Con prospetto rimanenze irregolare,
accertamento induttivo giustificato

È fondamentale non solo la tenuta delle scritture ausiliarie di magazzino e delle distinte necessarie alla compilazione dell’inventario, ma anche la loro corretta e ordinata compilazione

In caso di omessa presentazione del prospetto analitico delle rimanenze iniziali e finali, l’ufficio può procedere ad accertamento di tipo induttivo, attraverso una determinazione della percentuale di ricarico dei prezzi di vendita rispetto a quelli di acquisito. Ciò in quanto l’omissione determina l’impossibilità di una ricostruzione analitica dei ricavi con conseguente inattendibilità complessiva delle scritture contabili.
Lo ha stabilito la Cassazione con la sentenza n. 24016 del 24 novembre 2016, con cui ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate.

 
La vicenda processuale
Con più avvisi di accertamento, l’Agenzia delle Entrate richiedeva a una società di persone maggiori Iva e Irap e, ai relativi soci, una maggiore Irpef: il tutto sulla base di un processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di finanza, con cui era stata contestata un’errata modalità di valutazione delle rimanenze che non erano state raggruppate per categorie omogenee per natura e valore, in violazione del disposto di cui all’articolo 15 del Dpr 600/1973, nonché l’omessa conservazione delle distinte. Tali rilievi avevano dato origine agli avvisi di accertamento impugnati, emessi con il metodo induttivo.
 
I ricorsi instaurati dai contribuenti venivano rigettati dalla Ctp di Nuoro, con sentenza poi riformata in grado di appello con conseguente annullamento degli atti impugnati.
La Ctr ha ritenuto, in particolare, che difettavano i requisiti per l’accertamento induttivo in quanto l’indicazione in bilancio e nel libro degli inventari delle rimanenze non distinte per categorie omogene rappresenta solamente un’irregolarità formale incapace di inficiare l’intero impianto contabile rendendolo inattendibile.
 
Con il successivo ricorso per cassazione, l’Agenzia delle Entrate denunciava, tra l’altro, violazione dell’articolo 39 e dell’articolo 15, Dpr 600/1973, per avere la Ctr ritenuto irregolarità solamente formali, non idonee a fondare l’accertamento induttivo, l’indicazione in bilancio e nel libro degli inventari delle rimanenze non distinte per categorie omogenee e la mancata conservazione delle distinte di cui all’articolo 15, Dpr 600/1973.
 
La pronuncia della Cassazione
La Corte suprema ha considerato fondato il motivo di ricorso, cassando con rinvio la sentenza impugnata.
Secondo i giudici, “l’omissione delle scritture ausiliarie di magazzino, infatti, generando un impedimento alla corretta analisi dei contenuti dell’inventario, rifluisce indubbiamente sulla possibilità per gli accertatori di ricostruire analiticamente i ricavi di esercizio e determina perciò quella ‘inattendibilità complessiva delle scritture contabili’ che è presupposto normativamente previsto ai fini del ricorso alla modalità induttiva dell'accertamento (cfr. sez. 6-5, n. 14501 del 2015, sez. 5 n. 7653 del 2012, n. 16499 del 2006, n. 13816 del 2003)”.
La pronuncia impugnata ha fatto, dunque, malgoverno di tale principio nel momento in cui ha escluso che tali violazioni potessero legittimare un avviso di accertamento con metodo induttivo.
 
Ulteriori osservazioni
L’articolo 15, secondo comma, del Dpr 600/1973, stabilisce che “l’inventario, oltre agli elementi prescritti dal codice civile o da leggi speciali, deve indicare la consistenza dei beni raggruppati in categorie omogenee per natura e valore e il valore attribuito a ciascun gruppo. Ove dall’inventario non si rilevino gli elementi che costituiscono ciascun gruppo e la loro ubicazione, devono essere tenute a disposizione dell’ufficio delle imposte le distinte che sono servite per la compilazione dell’inventario”.
 
La pronuncia in commento si pone in linea con l’orientamento prevalente della giurisprudenza di legittimità, molto rigoroso sugli effetti della mancata o irregolare tenuta della contabilità di magazzino.
Secondo la sentenza 16477/2014, una valutazione delle rimanenze effettuata in maniera complessiva e non analitica o per gruppi omogenei di beni, come prescritto dall’articolo 15, comma 2, Dpr 600/1973, legittima l’accertamento induttivo ai sensi del successivo articolo 39, comma 2, lettera d): in questi casi, l’Amministrazione finanziaria può utilizzare presunzioni “supersemplici”, prive dei caratteri di gravità, precisione e concordanza.
 
Nel caso di specie, in cui l’inventario era stato tenuto in maniera irregolare, non è valso a sanare tale lacuna neppure il riferimento al bilancio e alla nota integrativa. Infatti, “l’inventario e il bilancio costituiscono scritture contabili distinte, aventi contenuto e finalità diverse, ai sensi dell’art 15 del DPR n. 600 del 1973 e dell’art. 2217 del codice civile, ed alla cui redazione sono obbligati i soggetti indicati nel primo comma dell’art. 13 del citato DPR. Ne deriva che la violazione consistente nell’omessa o irregolare redazione dell’inventario non può ritenersi sanata, né resa meramente formale, dall’avvenuta redazione del bilancio” (cfr Cassazione, 8273/2003).
Con tale ultima pronuncia, la Cassazione ha anche chiarito che l’inventario e il bilancio sono scritture aventi una diversa finalità: “il bilancio…deve contenere l’indicazione e la valutazione delle attività e passività relative all’impresa …l’inventario ai sensi dell’art. 2217 c.c., si chiude con il bilancio e con il conto dei profitti e delle perdite, il quale deve dimostrare con evidenza e verità gli utili conseguiti o le perdite subite”.
 
Tali scritture contabili non sono, quindi, fungibili e il contribuente può salvarsi dall’accertamento induttivo solo mettendo a disposizione dell’ufficio le distinte che sono servite per la compilazione dell’inventario.
La Cassazione, in definitiva, considera fondamentale non solo la tenuta delle scritture ausiliarie di magazzino nonché delle distinte necessarie alla compilazione dell’inventario, ma anche la corretta e ordinata compilazione delle stesse.
 
Del resto, è chiaro, sul punto, il Dpr 570/1996 (recante il regolamento per la determinazione dei criteri in base ai quali la contabilità ordinaria è considerata inattendibile), secondo cui le irregolarità delle scritture contabili si considerano gravi al punto da rendere inattendibile la contabilità, tra l’altro, quando “i criteri adottati per la valutazione delle rimanenze non sono indicati nella nota integrativa o nel libro degli inventari”.
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