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Giurisprudenza

Prova testimoniale nelle liti fiscali:
strumento a carattere “eccezionale”

Secondo l’orientamento più recente potrà essere acquisita solo in relazione a risultanze emergenti da dati esterni, quindi di non diretta attestazione da parte dei verbalizzanti

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La nuova disciplina in tema di ammissione della prova testimoniale nel processo tributario rimette all'apprezzamento del giudice la valutazione sulla necessarietà dell'assunzione della testimonianza ai fini della decisione, attribuendole un carattere di eccezionalità. La legge n. 130/2022 ha modificato il quadro normativo di riferimento in tema di acquisizione delle prove testimoniali nel processo tributario.
Il nuovo articolo 7, comma 4, del Dlgs 546/92, prevede infatti che “4. Non è ammesso il giuramento. La Corte di giustizia tributaria, ove lo ritenga necessario ai fini della decisione e anche senza l'accordo delle parti, può ammettere la prova testimoniale, assunta con le forme di cui all'articolo 257-bis del codice di procedura civile. Nei casi in cui la pretesa tributaria sia fondata su verbali o altri atti facenti fede sino a querela di falso, la prova è ammessa soltanto su circostanze di fatto diverse da quelle attestate dal pubblico ufficiale.”.
Lo strumento è senz’altro una novità nel panorama del processo tributario e necessita ancora di essere “assimilato” nella pratica delle Corti di giustizia tributaria.

A tal fine può allora essere utile richiamare due tra i primi e più recenti precedenti sul tema, rispettivamente della Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio e della Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Toscana, che, a prescindere dal merito delle questioni affrontate (comunque entrambe indagini finanziarie), hanno in sostanza affermato il carattere di “eccezionalità” dello strumento processuale.
La Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, sezione XV, con la sentenza 16/02/2023, n. 800, ha in particolare ricordato che è pacifico che le dichiarazioni di terzi rese in sede extraprocessuale sono ammesse nel processo tributario, spettando al giudice il potere-dovere di valutare dette dichiarazioni nel contesto probatorio emergente dagli atti.
Nella specie i giudici di primo grado avevano errato a considerare tali dichiarazioni quali "prove testimoniali" (all’epoca) non ammesse nel processo tributario, riferendosi il (precedente) divieto solo alla prova da assumere direttamente da parte del giudice, con le garanzie del contraddittorio, formulazione di specifici capitoli e prestazione di un giuramento da parte del terzo assunto quale teste.
Le dichiarazioni del terzo, prodotte sia dal contribuente che dall’Amministrazione finanziaria, rilevano i giudici, assumono dunque senz’altro valore probatorio alla stregua degli elementi indiziari, e, qualora rivestano i caratteri di gravità, precisione e concordanza di cui all'articolo 2729 cc, danno luogo a presunzioni.

Ricorda del resto la Cgt che il legislatore della riforma della giustizia tributaria ha modificato il comma 4 dell'articolo 7, Dlgs. n. 546/1992, sostituendo la previsione di inammissibilità del giuramento e della prova testimoniale dell'originale formulazione della norma, con una piuttosto articolata disciplina, che continua a contemplare il divieto di giuramento, ma che introduce la prova testimoniale nel processo tributario.
Per valutare pienamente la portata della modifica la Corte fa quindi un rapido excursus in merito all'interpretazione che la giurisprudenza di legittimità ha dato della disciplina precedente, laddove la Cassazione ha più volte affermato che il divieto di prova testimoniale nell'ambito del processo tributario doveva intendersi comunque limitato alla sola prova testimoniale assunta secondo la procedura prevista dall'articolo 244 cpc e seguenti, ammettendosi invece l'utilizzo delle dichiarazioni assunte in sede extraprocessuale.
A tali dichiarazioni la giurisprudenza di legittimità, proprio per la mancanza di quelle garanzie che invece presidiano l'assunzione rituale della prova testimoniale, come detto, ha attribuito il valore probatorio proprio degli elementi indiziari.
L'intervento del legislatore della riforma, pur confermando il divieto di giuramento, ha legittimato l'utilizzo della prova testimoniale nel processo tributario, la cui ammissibilità è rimessa però alla scelta del giudice, nei casi in cui la ritenga “necessaria ai fini della decisione” (espressione peraltro non presente nella prima versione della norma).

La nuova disposizione, secondo la Cgt del Lazio, suscita qualche dubbio nella parte in cui viene rimessa all'apprezzamento del giudice la valutazione sulla necessarietà dell'assunzione della testimonianza, ricalcando così lo “schema” della previsione contenuta nell'articolo 58 del Dlgs. n. 546/1992 sull'ammissibilità delle nuove prove in appello.
I giudici, nell’auspicare che non si riproducano le stesse dispute dottrinarie sulla distinzione tra prova necessaria e prova indispensabile innescate sull'articolo 58 citato concludono comunque nel senso che la formulazione del comma 4 attribuisce alla prova testimoniale un carattere di “eccezionalità, che potrebbe rendere il ricorso a tale strumento quantomeno inconsueto”.
Lo stesso giudice rileva altresì che la diffusione dell’utilizzo non sarà nemmeno agevolata dal rinvio alla complessa procedura prevista nel giudizio civile per l'assunzione della prova testimoniale scritta, laddove, tra l'altro, il richiamo all’articolo 257-bis cpc determina una potenziale incongruenza, considerato che il comma 4 dell'art. 7 prevede che la Corte di giustizia tributaria possa disporre l'assunzione della prova testimoniale anche d'ufficio, mentre il suddetto articolo del cpc disciplina esclusivamente l'ipotesi in cui la richiesta di assunzione provenga da una delle parti.

Sulla stessa linea di “prudenza” sembra porsi poi anche la sentenza della Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Toscana, Sezione 1, 09.06.2023, n. 522, la quale ha considerato non accoglibile la prova testimoniale avanzata dalla contribuente, sia perché la testimonianza sarebbe stata resa da soggetti legati da rapporti di parentela e sia perché la causa era comunque, a giudizio della Corte, già matura per la decisione sotto il profilo istruttorio.
Infine una riflessione in ordine alla previsione di cui all’ultimo periodo del citato articolo 7, comma 4, in base al quale, come visto, “Nei casi in cui la pretesa tributaria sia fondata su verbali o altri atti facenti fede sino a querela di falso, la prova è ammessa soltanto su circostanze di fatto diverse da quelle attestate dal pubblico ufficiale”.

Facendo sul punto qualche ragionamento tecnico, anche sulla base della pregressa giurisprudenza di legittimità, come affermato dalla Corte di cassazione (ordinanza n. 15823/2020), in tema di accertamenti tributari, il processo verbale di constatazione assume un valore probatorio diverso a seconda della natura dei fatti da esso attestati, poiché in generale è possibile distinguere vari livelli di attendibilità e cioè:
(a) il verbale è assistito da fede privilegiata, ai sensi dell'articolo 2700 codice civile, relativamente ai fatti attestati dal pubblico ufficiale come da lui compiuti, o avvenuti in sua presenza, o che abbia potuto conoscere senza alcun margine di apprezzamento o di percezione sensoriale, nonché quanto alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale e alle dichiarazioni a lui rese. Questi dunque sembrano rientrare appieno nella previsione normativa di esclusione della possibilità di prova testimoniale
(b) in ordine invece alla veridicità sostanziale delle dichiarazioni al pubblico ufficiale rese dalle parti o da terzi — ovvero anche alla veridicità sostanziale del contenuto di documenti formati dalla stessa parte o da terzi — essa rileva in termini di prova, nel senso che consente la prova contraria, che può essere fornita qualora la specifica indicazione delle fonti di conoscenza consenta al giudice e alle parti l'eventuale controllo e la valutazione del contenuto delle dichiarazioni. Queste dunque sembrano ammettere la prova testimoniale;
(c) in mancanza, infine, della indicazione specifica dei soggetti le cui dichiarazioni vengono riportate nel verbale, le stesse costituiscono comunque un elemento di prova che il giudice deve valutare in concorso con gli altri elementi, e che può essere disatteso in caso di motivata intrinseca inattendibilità, o di contrasto con gli altri elementi acquisiti nel giudizio, attesa la certezza, e qui fino a querela di falso, che quei documenti sono comunque stati esaminati dall'agente verificatore (Cassazione n. 28060/2017, Cassazione n. 24461/2018). Anche queste, nei limiti indicati, sembrano dunque ammettere la prova testimoniale.

In sostanza, sembra potersi concludere che la prova testimoniale potrà essere acquisita solo in relazione a risultanze, oggetto di valutazione, emergenti da "dati esterni", e quindi di non diretta attestazione da parte dei verbalizzanti, come da essi compiuti, o avvenuti in loro presenza.

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