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Giurisprudenza

Proventi da prostituzione: diversi ma comunque redditi

A fondamento il principio costituzionale in base al quale ciascuno è tenuto a concorrere alle spese pubbliche in base alla propria capacità contributiva

Soldi in mano
La giurisprudenza tributaria torna a occuparsi della particolare questione dei redditi derivanti da attività di prostituzione; dopo la pronuncia della Commissione tributaria provinciale di Milano n. 272 del 2005 (cfr M. Denaro, "Proventi da prostituzione non tassabili", in FISCOoggi, 6 febbraio 2006), favorevole al contribuente, è la volta della Ctp di Firenze. Con la sentenza n. 146, depositata l'8 maggio 2007, i giudici fiorentini giungono a conclusioni del tutto diverse rispetto a quelli milanesi.

La prostituzione, a causa delle preoccupazioni che suscita dal punto di vista del rispetto della dignità umana, nonché delle sue implicazioni in termini di ordine pubblico, è un'attività che indiscutibilmente "fa notizia", ma che, prevedendo un corrispettivo sinallagmatico della prestazione, deve essere ricondotta a tassazione.
L'attività, fiscalmente, deve essere considerata alla stregua di qualsiasi servizio fornito a fronte di una retribuzione: la natura particolare del servizio non deve distogliere e deviare l'attenzione dall'aspetto economico rilevante (prestazione/controprestazione) che la rende fonte di reddito imponibile.

La rilevanza economica e fiscale dell'attività di prostituzione, prima dell'intervento dei giudici tributari, era già stata riconosciuta dalla Corte di giustizia europea.
Nella causa n. C-268/99 (sentenza del 20 novembre 2001), i giudici sono stati chiamati a pronunciarsi espressamente sulla qualificazione dell'attività di prostituzione: se l'attività, esercitata in qualità di lavoratore autonomo, potesse essere considerata economica.

La questione sottoposta al vaglio della Corte di giustizia prendeva le mosse dalla problematica inerente la concessione di permessi di soggiorno, giustificati da motivi di lavoro, richiesti da cittadini appartenenti a Stati non membri della Comunità (all'epoca dei fatti, Polonia e Repubblica Ceca) presso stati membri (Olanda).

I giudici, premesso che "… secondo una giurisprudenza costante, una prestazione di lavoro subordinato o una prestazione di servizi retribuita dev'essere considerata come attività economica ai sensi dell'art. 2 del Trattato CE, purché le attività esercitate siano reali ed effettive e non tali da presentarsi come puramente marginali ed accessorie (v., in particolare, sentenza 11 aprile 2000, cause riunite C-51/96 e C-191/97)", hanno ritenuto l'attività di prostituzione riconducibile alla qualifica di attività economica, in considerazione del fatto che essa costituisce un'attività tramite la quale il prestatore soddisfa, a titolo oneroso, una domanda del beneficiario senza produrre o trasferire beni materiali.
I giudici comunitari testualmente hanno riconosciuto che "la prostituzione costituisce una prestazione di servizi retribuita la quale, come emerge dal punto 33 della presente sentenza, rientra nella nozione di attività economiche".

Non solo: la Corte ha riconosciuto all'attività di prostituzione anche la qualifica di attività da lavoro autonomo, a condizione che la stessa non sia prevista come illegale nel Paese membro di riferimento (in molti Stati membri la prostituzione non è vietata in quanto tale, ma sono vietati alcuni fenomeni tipici che di solito vi sono connessi, quali adescamento, tratta, sfruttamento eccetera), a nulla rilevando qualsiasi valutazione morale della stessa (secondo la Corte spetta allo Stato membro vietare la pratica di attività considerate immorali; qualora ciò non avvenga e l'attività asseritamene immorale sia lecitamente praticata, non potrà esserci nessuna conseguenza sotto tale profilo).

In Italia, pur mancando una legislazione specifica che riconosca e regolamenti l'attività di prostituzione sotto i vari profili considerati, nello specifico settore fiscale si dovrà aver riguardo alle regole generali inserite nel Tuir. Sotto tale profilo differiscono le decisioni tributarie di merito di Milano e quella di Firenze.
La Ctp di Milano aveva riconosciuto non inquadrabili in alcuna categoria di reddito, così come individuate dall'articolo 6 del Tuir, i proventi dell'attività di prostituzione, tassabili nemmeno alla stregua di proventi illeciti, ex articolo 14, comma 4, legge n. 537/1993 (così qualificati durante la fase contenziosa e non in accertamento).

Il caso sottoposto ai giudici fiorentini, pur essendo sempre relativo ad attività di prostituzione, diverge dal precedente per l'impostazione normativa e motivazionale dell'atto impugnato; esso trae origine da una verifica generale svolta attraverso l'utilizzo delle indagini bancarie, alle quali si era fatto ricorso in quanto il soggetto verificato risultava possessore di notevoli beni indicativi di capacità contributiva (autovetture di lusso, disponibilità di numerosi appartamento e altro).
Le indagini bancarie avevano permesso di evidenziare numerose movimentazioni di denaro che non trovavano alcun riscontro nelle dichiarazioni dei redditi (nell'arco temporale verificato, dal 1996 al 2003, non sempre era stata presentata la dichiarazione dei redditi; quando l'adempimento c'era stato, la dichiarazione non risultava coerente con gli importi movimentati nei conti esaminati).

L'ufficio provvedeva alla tassazione dei redditi in quanto riconducibili a quelli indicati dall'articolo 67, comma 1, lettera l), del Tuir (articolo 81 nella precedente formulazione), quali redditi diversi, indipendentemente dalla qualifica degli stessi come proventi da prostituzione o di altro genere, in quanto derivanti da attività di lavoro autonomo non esercitate abitualmente o dall'assunzione di obblighi di fare non fare o permettere.

In sede di ricorso, la contribuente, pur riconoscendo la natura di redditi derivanti da attività di prostituzione, domandava l'annullamento degli avvisi di accertamento in quanto tali redditi non sarebbero stati - a suo dire - soggetti a tassazione, e comunque, non riconducibili a redditi diversi così come affermato dall'ufficio.
L'ufficio insisteva per la correttezza di siffatta qualificazione, adducendo che la categoria residuale dei redditi diversi è idonea a inquadrare fiscalmente aspetti particolari di espressione di capacità contributiva, come quello in esame.

Del resto, la Cassazione, con la sentenza n. 1436 del 25 gennaio 2006, ha riconosciuto che nell'ipotesi di accertamenti basati su risultanze di indagini bancarie è irrilevante l'eventuale collocazione del reddito nell'ambito delle categorie indicate dall'articolo 6 del Tuir.

La Ctp di Firenze ha confermato l'operato dell'ufficio sotto l'aspetto normativo, rideterminando parzialmente la pretesa erariale, riconoscendo, ad alcune movimentazioni bancarie, l'estraneità all'attività economica. Per i giudici, l'attività di prostituzione genera un reddito che, espressione di capacità contributiva, deve essere sottoposto a tassazione.

Diversamente da quanto rilevato dalla precedente giurisprudenza milanese, il reddito da prostituzione è correttamente ascrivibile tra quelli indicati nell'articolo 6 del Tuir; in particolare, nella categoria dei redditi diversi e, quindi, riconducibile all'ipotesi prevista dall'articolo 67, comma 1, lettera l).

I giudici hanno riconosciuto la condotta dell'Amministrazione finanziaria "…pienamente legittima dal momento che la norma richiamata sembra rispondere proprio all'esigenza, avvertita dal legislatore, di ricondurre a tassazione tutte quelle espressioni economiche, connesse all'assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere, idonee a concorrere alla spesa pubblica, in attuazione del disposto di cui all'art. 53 della Costituzione. Non essendo ammissibile che determinati soggetti possano eludere il dovere di contribuire al sostenimento dei costi dei servizi collettivi, di cui essi stessi beneficiano".

In definitiva, il reddito derivante da attività di prostituzione, al pari di qualsiasi altra tipologia reddituale, deve essere sottoposto a tassazione, in quanto espressione di una attività economica in cui, a fronte di una prestazione, si ha una controprestazione monetaria; la tassazione trova la sua fonte normativa nella categoria residuale dei redditi diversi, di cui al citato articolo 67, che attrae tutte quelle espressioni economiche non diversamente tipicizzate dal legislatore tributario.

La categoria residuale di cui all'articolo 67 trova il proprio fondamento normativo nell'articolo 53 della Costituzione, secondo il quale ciascuno è tenuto a contribuire alle spese pubbliche in base alla propria capacità contributiva.
A questo principio generale possono essere portate eccezioni, necessariamente e tassativamente indicate dal legislatore, e comunque giustificate, a livello sociale, da motivi del tutto particolari.
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