Sono i principi desumibili dalla sentenza n. 11206 della Corte di cassazione.
La vicenda
Una società proponeva ricorso avverso l'avviso di rettifica Iva (anno d'imposta 1996), notificatole nel 2001, per omessa conservazione dei registri contabili e della documentazione fiscale (in base a pvc della Guardia di finanza, l'ufficio delle Entrate aveva contestato quanto sopra descritto e aveva determinato il volume d'affari ex articolo 55 del Dpr 633/1972).
Sia la Commissione tributaria provinciale sia la Commissione tributaria regionale accoglievano il ricorso della società: la motivazione riguardava la mancata produzione del pvc, nonostante l'appello dell'Agenzia sottolineasse che il processo verbale fosse stato depositato a seguito di ordinanza adottata dalla Ctp ex articolo 7, comma 3, del decreto legislativo 546/1992; il pvc acquisito non veniva utilizzato ai fini della decisione perché non era stato prodotto ab initio.
L'Agenzia proponeva ricorso per cassazione deducendo:
- violazione e falsa applicazione dell'articolo 7, comma 3, del Dlgs 546/1992, in quanto non era stata considerata la facoltà, che tale norma poneva1 in capo al giudice tributario, di rivolgere alle parti richieste il deposito di documenti "ritenuti necessari ai fini della soluzione della controversia", volte ad aumentare il materiale istruttorio
- violazione e falsa applicazione dell'articolo 115 c.p.c., in quanto il giudice tributario non aveva considerato "prova come tutte le altre ed a tutti gli effetti decisori" il pvc depositato
- contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.
La società proponeva controricorso deducendo l'inammissibilità del ricorso per cassazione proposto dall'Agenzia, eccependo la mancanza di indicazione del legale rappresentante e l'infondatezza dei motivi del ricorso. Inoltre, la società proponeva ricorso incidentale deducendo:
- la violazione dell'articolo 330 c.p.c., in quanto già l'appello in Ctr era inammissibile poiché notificato a indirizzo precedente a quello del domicilio dichiarato in sede di notifica della sentenza di primo grado
- la violazione e la falsa applicazione degli articoli 53, 20, 16 del Dlgs 546/1992, in quanto già l'appello in Ctr era inammissibile poiché notificato dal messo speciale dell'ufficio.
La sentenza
La Corte di cassazione chiarisce che è ammissibile il ricorso per cassazione promosso dell'Agenzia "in persona del direttore pro tempore" e che non è necessaria l'indicazione del nome della persona fisica, ma è sufficiente quella dell'istituzionale organo rappresentante legale.
La Corte dichiara manifestamente fondati i motivi del ricorso per cassazione dell'Agenzia e, in quanto strettamente collegati, li tratta congiuntamente.
Invece, dichiara manifestamente infondati i motivi di ricorso incidentale proposti dalla società:
- notificare l'atto di impugnazione in un luogo diverso da quello prescritto, tuttavia non privo di un astratto collegamento con il destinatario, comporta la nullità della notifica, ma non dell'impugnazione in senso sostanziale (peraltro tale nullità risulta sanata ex tunc al momento in cui l'intimato si costituisce in giudizio, dato il raggiungimento dell'effetto per cui la notifica stessa era stata effettuata)
- ex articolo 16 Dlgs 546/1992 il messo speciale dell'ufficio è abilitato alla notificazione degli atti dell'Amministrazione finanziaria.
Le conclusioni
La sentenza della Corte di cassazione fornisce due utili spunti di riflessione: uno sulla rilevanza ai fini processuali del pvc, una volta depositato, e l'altro sugli elementi legati all'efficacia e alla validità della notifica.
Il primo, in particolare, merita approfondimento in quanto si collega a un argomento, qual è l'ammissibilità di nuove prove documentali, intorno al quale più si discostano i riti civile e tributario.
La facoltà di richiedere il deposito di documenti (nel caso di specie il pvc) "ritenuti necessari ai fini della soluzione della controversia", come da norma contenuta nell'articolo 7, comma 3, del Dlgs 546/1992, è stata oggetto di due interpretazioni: l'ampliamento del materiale istruttorio, nell'ottica di mettere il giudice tributario in grado di disporre di un maggior numero di elementi su cui basare la propria decisione (interpretazione definita corretta dalla Corte di cassazione) oppure il mero soddisfacimento di una sua esigenza conoscitiva (interpretazione scelta dalle Commissioni tributarie). Le interpretazioni portano a conseguenze opposte perché incidono sulla rilevanza del documento depositato: nel primo caso, infatti, il pvc ha dignità di "prova come tutte le altre ed a tutti gli effetti decisori", quindi il giudice deve tenerne conto; nel secondo, il documento non deve essere necessariamente preso in considerazione ai fini della decisione.
Dal 2006, il comma 3 dell'articolo 7 non ha più valore normativo, essendo stato abrogato: vale, ovviamente ratione temporis, per le questioni ancora pendenti relative a fattispecie avvenute entro il 31 dicembre del 2005. Da tale data, la principale norma di riferimento per l'introduzione di nuove prove documentali rimane quella ex articolo 58, comma 2, Dlgs 546/1992, che permette alle parti di produrre nuovi documenti, ma solo nel giudizio d'appello (fermo restando la necessità di leggere tale articolo in combinato disposto con il contenuto del comma 1 dello stesso articolo 58 e con quello dell'articolo 57 - divieto di proporre domande nuove e nuove eccezioni - e dell'articolo 32 - termine perentorio per il deposito di documenti).
1. L'uso del tempo passato è dovuto all'avvenuta abrogazione dell'articolo 7, comma 3, del Dlgs 546/1992 dalla fine del 2005, per effetto dell'articolo 3-bis del decreto legge 203/2005, poi convertito.