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Giurisprudenza

Quando una cessione intracomunitaria non è imponibile?

A questo interrogativo ha risposto la Corte di Giustizia con la sentenza emanata oggi e sollevata in tre distinti procedimenti

bandiere europee
Alla base dell’esenzione fiscale dell’operazione intracomunitaria vi è l’idea che, durante il regime transitorio, l’Iva, in quanto imposta al consumo, debba continuare a essere riscossa nello Stato membro in cui avviene il consumo (principio del Paese di destinazione). La Corte di Giustizia dell’Unione europea si è pronunziata oggi sugli oneri documentali in presenza dei quali una transazione può regolarmente definirsi come "operazione intracomunitaria" e fruire, di conseguenza, del titolo di non imponibilità. La questione è stata sollevata in tre distinti procedimenti: oltre alla controversia esaminata in questa sede (causa C-146/05), nei procedimenti C- 409/04 e C-184/05.

L’oggetto della controversia
In tutti i casi si controverte in ordine alla riconoscibilità dell’esenzione fiscale per una cessione intra comunitaria nei casi in cui, nonostante sia pacifico che l’operazione sia avvenuta, la parte non ha fornito, entro i termini previsti dalla legislazione nazionale, la prova contabile della transazione.

La normativa comunitaria
Come ampiamente noto, il principio dell’esenzione fiscale di una cessione intracomunitaria si rinviene nell’articolo 28 quater, punto A, lett. a), della sesta direttiva. Alla base dell’esenzione fiscale della cessione intracomunitaria vi è l’idea che, durante il regime transitorio, l’Iva, in quanto imposta al consumo, debba continuare a essere riscossa nello Stato membro in cui avviene il consumo (principio del paese di destinazione). Per evitare una doppia imposizione, la cessione intracomunitaria, cui corrisponde un acquisto intracomunitario soggetto ad imposizione fiscale, deve essere esentata nel Paese di origine. La sesta direttiva non contiene, però, indicazioni specifiche su quali prove documentali un soggetto passivo debba fornire per dimostrare la effettiva sussistenza di una cessione intracomunitaria. L’articolo 22 fornisce soltanto alcune indicazioni generali per le registrazioni contabili del soggetto passivo, per la redazione delle fatture e per le dichiarazioni d’imposta, lasciando per il resto agli Stati membri la possibilità di "stabilire altri obblighi che essi ritengano necessari ad assicurare l’esatta riscossione dell’imposta e ad evitare le frodi".

I precedenti in materia
Tuttavia, la Corte ha ribadito (vedi sentenza Halifax del 21/2/2006) che "i provvedimenti che gli Stati membri possono adottare ai sensi dell’art. 22, n. 8, della sesta direttiva per assicurare l’esatta riscossione dell’imposta ed evitare frodi non devono eccedere quanto è necessario a tal fine" e che i provvedimenti in oggetto "non possono essere utilizzati in modo tale da mettere in discussione la neutralità dell’Iva, che costituisce un principio fondamentale del sistema comune dell’Iva istituito dalla normativa comunitaria in materia".

Il principio di proporzionalità
La Corte di Giustizia, nel risolvere la controversia in esame, si è lasciata guidare dal citato principio di proporzionalità sottolineando che "per valutare se sia stata effettuata un’operazione, occorre far riferimento solo a criteri oggettivi, non rilevando né l’intenzione del soggetto passivo, né lo scopo di una cessione" o la mancata tempestiva produzione delle prove contabili.

L’oggetto della controversia
La controversia in esame riguarda la Collée KG, società controllante di una rivendita di automobili a responsabilità limitata con sede in Germania, che, in veste di concessionario della A-AG, vende automobili per conto di quest’ultima. La Collée KG S.r.l. ha diritto ad una provvigione da parte della A-AG solo per le vendite stipulate con acquirenti della zona circostante. Nella primavera del 1994 la Collée KG s.r.l. stipula un contratto di compravendita di 20 autovetture dimostrative con un concessionario belga che, pagato il prezzo pattuito alla concessionaria, provvede al materiale ritiro dei veicoli.  Per ottenere la provvigione da parte della A-AG, la Collée KG s.r.l. coinvolge un commerciante d’auto, con sede in Germania nella zona circostante, il quale si dichiara disponibile, dietro corrispettivo, ad acquistare pro forma le autovetture dimostrative e a rivenderle poi al concessionario belga, facendo figurare nella propria dichiarazione i.v.a. l’imposta assolta per la transazione "fittizia".

I rilievi del Fisco tedesco
L’amministrazione fiscale tedesca, a seguito di una verifica, disconosce la detrazione dell’Iva operata dal commerciante tedesco, rilevando che quest’ultimo è intervenuto nella transazione solo come prestanome. Successivamente l’erario, esperiti i controlli a carico della Collée KG s.r.l e accertato che la stessa non ha tempestivamente proceduto alla registrazione della vendita intracomunitaria delle autovetture al concessionario belga, nega che la cessione in parola possa beneficiare della non imponibilità in assenza dei prescritti adempimenti contabili. La società, difatti, avendo inizialmente simulato una cessione nazionale per fruire della provvigione, aveva inizialmente registrato la operazione predetta come imponibile e, solo in un momento successivo, l’aveva considerata come "cessione intracomunitaria esente da imposta".

Il deferimento alla Corte di Giustizia
La controversia è stata portata all’attenzione del giudice nazionale che ha preferito devolverla alla competenza della Corte di Giustizia cui è stato chiesto, in buona sostanza, di valutare se la mera inosservanza da parte del soggetto passivo di un determinato requisito formale, nel caso di specie la mancata produzione delle prove contabili nei termini prescritti, possa portare a negare l’esenzione fiscale di una cessione intracomunitaria. In particolare, è stato chiesto se sia contraria alla sesta direttiva una prassi dell’Amministrazione tributaria nazionale, secondo cui il solo fatto di produrre fuori termini la prova contabile dell’esistenza di una non contestata cessione intracomunitaria, comporti, di per sé, la negazione dell’esenzione fiscale.

Il ragionamento della Corte
L’iter decisorio seguito dalla Corte si è basato essenzialmente sulla opportunità di far prevalere la realtà sostanziale sugli obblighi formali. I giudici, partendo dal rilievo consolidato che le operazioni vanno tassate prendendo in considerazione le loro caratteristiche oggettive, hanno constatato che nella fattispecie in esame, come emerge altresì dalla decisione di rinvio, è stata incontestabilmente effettuata una cessione intracomunitaria. A tal riguardo, il principio di neutralità fiscale esige che l’esenzione dall’Iva sia accordata se i requisiti sostanziali sono soddisfatti, pur in assenza di taluni requisiti formali.

Le conclusioni
In particolare, proseguono i giudici, la circostanza che la cessione intracomunitaria sia stata inizialmente occultata e solo successivamente regolarmente registrata non può essere assimilata ad un’operazione inficiata da frode fiscale né può costituire un abuso delle norme comunitarie, laddove sia appurato che ciò non sia stato fatto per conseguire un indebito vantaggio fiscale. La Corte conclude rilevando che, se gli Stati sono legittimati ad applicare sanzioni e ammende per reprimere frodi e raggiri che tesi a compromettere la riscossione delle entrate erariali, tuttavia tali sanzioni non devono superare la gravità dell’abuso. Certamente verrebbe superato tale limite, e conseguentemente violato il principio di proporzionalità, se fosse negato il titolo di esenzione a una operazione intracomunitaria per il solo fatto di un ritardo nella registrazione contabile della cessione.
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