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Giurisprudenza

Quando l’abuso fa decadere la detrazione

Oggetto della pronunzia della Corte è la controversia insorta tra il Regno Unito di Gran Bretagna e l’Università di Huddersfield

L’Istituto aveva progettato di ristrutturare due edifici su cui aveva acquisito un diritto di locazione. Poiché l’Iva assolta sui costi di ristrutturazione sarebbe stata recuperabile soltanto nella misura corrispondente al pro rata di detraibilità, l’Università aveva incoraggiato la messa a punto di un fiscal planning che le permetteva di detrarre integralmente l’imposta relativa ai costi predetti.
Oggetto della pronunzia della Corte, depositata il 21 febbraio, è la controversia insorta tra il Regno Unito di Gran Bretagna e l’Università di Huddersfield relativamente alla spettanza del diritto alla detrazione di imposta con riferimento a talune operazioni che il Fisco britannico non ritiene essere espressione di un’attività economicamente apprezzabile ai fini Iva. In particolare, a parere dell’Amministrazione fiscale anglosassone, la predetta Università avrebbe posto in essere determinate attività non per conseguire le finalità commerciali ed economiche ad esse normalmente sottese ma per ottenere un vantaggio fiscale di fatto non spettante.
La natura della controversia
La controversia sottoposta al vaglio della Corte, a seguito del rinvio operato dal giudice nazionale presso cui l’Università britannica aveva instaurato la controversia, concerne l’attività del predetto istituto di educazione superiore che presta, per lo più, servizi didattici esenti. Tale istituto aveva progettato di ristrutturare due edifici su cui aveva acquisito un diritto di locazione. Poiché l’Iva assolta sui costi di ristrutturazione sarebbe stata recuperabile soltanto nella misura corrispondente al pro rata di detraibilità, l’Università aveva incoraggiato la messa a punto di un fiscal planning che, coinvolgendo altre società, le consentisse di detrarre integralmente l’imposta relativa ai costi predetti.
L’artifizio societario
A tal fine veniva creato un "discretionary Trust", esercente attività rilevanti ai fini Iva,  retto da un trustee  nominato dall’Università. Al Trust veniva concesso in locazione, ad un prezzo simbolico, l’edificio oggetto dei  lavori di ristrutturazione; il Trust provvedeva, nel medesimo giorno, a concedere all’Università un under-lease back (e, cioè, la retrosublocazione del medesimo stabile) a un canone annuale irrisorio. Nel frattempo l’Università concludeva con una sua consociata, la Huddersfield Properties, un accordo per la futura esecuzione dei lavori dei ristrutturazione. Il piano così congegnato consentiva all’Università di detrarre l’imposta assolta sui predetti lavori edilizi, trattandosi di un servizio finalizzato a consentire l’esercizio dell’attività del Trust che, come ricordato in precedenza, aveva optato per l’assoggettabilità ad imposta delle proprie operazioni.
La posizione del Fisco britannico
L’Amministrazione fiscale del Regno Unito, rilevando che sia la creazione del Trust che  la concertata locazione e sublocazione dell’immobile veniva posta in essere soltanto per ottenere un vantaggio fiscale (diversamente precluso atteso che l’Università svolge attività didattiche esenti), senza alcun reale intento lucrativo e imprenditoriale, ha negato la possibilità di procedere alla detrazione dell’Iva relativa le spese di ristrutturazione.
Il rinvio ai giudici comunitari
La questione si è quindi spostata nella fase contenziosa,  instauratasi, a  seguito del rinvio del giudice a quo, dinanzi alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee. I giudici comunitari hanno dovuto prendere in considerazione due posizioni contrastanti: quella della ricorrente (Università) a cui giudizio l’affitto e la sublocazione di immobili sono operazioni imponibili e attività economiche ai sensi della sesta direttiva; quella del governo del Regno Unito secondo cui l’Università ha posto in essere una serie di operazioni il cui unico intento è il recupero di una imposta altrimenti indetraibile.
La posizione della Corte di Giustizia
La Corte ha preliminarmente rammentato che la giurisprudenza comunitaria ha dato sempre un’interpretazione molto ampia della nozione di "attività economiche" di cui all’articolo 4, n. 2 della sesta direttiva, riconoscendo che  essa fa riferimento a tutte le operazioni che intervengono nelle fasi produttive, distributive di beni e di erogazione di servizi. Ciò comporta che una determinata operazione, perché sia rilevante ai fini Iva, deve essere posta in essere da un soggetto che esercita in modo indipendente e organizzato una attività suscettibile di autonomo apprezzamento in termini economici, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di tale attività. In pratica i giudici, riproponendo le analoghe motivazioni  proposte alla base  delle sentenze relative ai procedimenti C-354/03, 355/03 e 484/03, hanno affermato che le nozioni di "cessioni di beni" e "prestazioni di servizi" hanno carattere obiettivo e non possono essere subordinate agli scopi elusivi o frodatori dei singoli. Diversamente, se si volesse riconoscere effettività alle sole attività economiche non utilizzate per scopi frodatori, si introdurrebbe una dannosa spirale di incertezza nell’applicazione del diritto.
Le conclusioni
Da ciò consegue, a parere della Corte, che le operazioni poste in essere dall’Università, in quanto integrano i criteri obiettivi di nozione di beni e prestazione di servizi, sono riconducibili alle attività economiche di cui al predetto articolo 4, n. 2 della sesta direttiva, a prescindere dalla circostanza che tali operazioni vengono materialmente poste in essere per ottenere un vantaggio fiscale senza altro obiettivo economico. Tuttavia, come già rilevato nella sentenza pronunziata nel procedimento C-255/02 (Halifax pcl vs Regno Unito), laddove il comportamento dell’Università integri un comportamento abusivo delle finalità che il legislatore comunitario si è ripromesso di conseguire mediante l’istituzione di un sistema comune dell’imposta sui consumi, in tal caso l’Amministrazione fiscale nazionale sarà legittimata a negare la detrazione di imposta. "La sesta direttiva, difatti, conclude la Corte, osta al diritto del soggetto passivo di dedurre l’Iva pagata a monte qualora le operazioni sulle quali tale diritto si basa integrano una pratica abusiva." 
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