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Giurisprudenza

Quietanza su fattura falsa.
Equivale a evasione fiscale

Commette un reato il trasportatore che firma il documento per attestare l’avvenuto pagamento e la spedizione dei beni, essendo a conoscenza che lo stesso era fittizio

simbolo di uguaglianza
 Confermando la condanna nei confronti di un imputato che aveva firmato la quietanza a fronte di fatture che sapeva essere false, con la sentenza 35730 del 3 ottobre, la Corte di cassazione ha stabilito sostanzialmente che la quietanza di pagamento del documento fittizio e l’attestazione dell’avvenuto trasporto dei beni equivale ad evasione.
 
I dati del processo
Il fatto riguarda un imputato che trasportava merce presso un agriturismo e spesso, come aveva ricostruito la Guardia di finanza, aveva firmato quietanze di pagamento su fatture risultate poi false. Da qui la denuncia per violazione degli articoli 2 e 8 del Dlgs 74/2000, che prevedono, rispettivamente, il reato di dichiarazione fraudolenta e il reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti.
 
Il tribunale e la Corte d’appello, con una doppia conforme, avevano condannato l’indagato ritenendolo complice dell’evasione fiscale.
In particolare, la Corte d’appello aveva confermato la pronuncia del Tribunale con cui l’imputato - in una frode carosello - era stato condannato alla pena della reclusione, come responsabile in concorso (articolo 110 del codice penale) del reato di dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di fatture per operazioni inesistenti (articolo 2, comma 1, Dlgs 74/2000), per avere apposto la propria firma a titolo di quietanza, e quale conducente, su fatture e sui documenti di trasporto emessi a fronte di operazioni inesistenti, utilizzati da altra impresa nella presentazione della dichiarazione annuale dei redditi ma intestati a un agriturismo per supportare le avvenute operazioni commerciali, nonché del reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti (articolo 8 del Dlgs 74/2000), per consentire a imprese terze l’evasione delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto.
 
Nel successivo ricorso per Cassazione, l’indagato lamentava, sostanzialmente, che la sentenza impugnata avesse ritenuto ammissibile il concorso di persone nel reato in capo al medesimo soggetto - vietato dall’articolo 9 del Dlgs 74/2000, che deroga al concorso di persone nel reato (articolo 110 del codice penale) - tra l’articolo 2 (dichiarazione fraudolenta) e l’articolo 8 (emissione di fatture per operazioni inesistenti). Lamentava inoltre plurimi vizi di motivazione, quali, in particolare, la mancanza dei presupposti per la sussistenza delle operazioni inesistenti contrastate, la manifesta illogicità della motivazione sull’elemento soggettivo del reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti, eccetera.
 
La decisione
La Suprema corte respinge il ricorso e, a fondamento della decisione, chiarisce in primo luogo che, secondo consolidata giurisprudenza di legittimità (Cassazione, sentenze 24167/2003, 25129/2008, 14862/2010, 35453/2010 e 16550/2011), in tema di emissione di fatture per operazioni inesistenti di cui all’articolo 8 del Dlgs 74/2000, il regime disciplinato dal successivo articolo 9, che esclude la possibilità di concorso reciproco fra il reato portato dall’articolo 2 e quello previsto dall’articolo 8, ha la finalità di evitare che la medesima condotta sostanziale sia punita due volte per distinti titolo di reato, ma non introduce alcuna deroga ai principi generali in tema di concorso di persone nel reato, fissati dall’articolo 110 del codice penale.
Ne deriva che, nel caso di specie, non si infrange il divieto della doppia condanna in quanto le operazioni contestate all’imputato sono diverse tra loro.
 
Dopo avere fissato questo principio, entrando nel merito della questione, la Corte rileva la correttezza dell’operato dei giudici di merito, i quali, con motivazione adeguata e immune da vizi logici, hanno accertato, sia attraverso il materiale documentale sia mediante acquisizioni testimoniali, la ricorrenza nel caso concreto dei presupposti di legge per la conferma dei reati ascritti, atteso che gli stessi giudici hanno valorizzato l’attività di sottoscrizione per quietanza non già in termini di concorso nell’emissione del documento (di per sé completo ed efficace a prescindere dalla sottoscrizione) bensì di utilizzo della fattura stessa con finalità elusiva nella sistematica delle imposte.
 
Infatti, la regolarità dell’emissione della fattura non è influenzata nella sua struttura ontologica dalla sottoscrizione per quietanza, atteso che quest’ultima, a fronte di un rapporto fittizio, serve evidentemente a rendere credibile l’esistenza di un rapporto reale che giustifica l’emissione della fattura. La quietanza è un documento che non svolge un ruolo probatorio in ambito tributario, ma solo in un altro contesto (esempio, ai soli fini di prova civilistica).
 
In ultima analisi, l’esistenza di una fattura avente tutti i suoi elementi costitutivi è un presupposto essenziale per la qualificazione della fattispecie di dichiarazione fraudolenta, al fine di evadere l’imposta sul valore aggiunto e, di riflesso, le imposte sui redditi.
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