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Giurisprudenza

Rapporto di consulenza sospetto:
senza prove salta la deducibilità

Quando l’ufficio rileva chiare e consistenti incongruenze sulle operazioni effettuate dal contribuente è quest’ultimo che deve “dissipare” ogni dubbio e convincere il Fisco

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In tema di fatture per operazioni inesistenti, l’Amministrazione finanziaria può liberamente superare le risultanze documentali, contrapponendo a esse circostanze ed elementi di fatto comprovanti la fittizietà delle operazioni e, in tal caso, l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle stesse si sposta nuovamente a carico del contribuente, il quale non potrà limitarsi a opporre la documentazione formale, ma dovrà, a sua volta, allegare elementi di prova in grado di dimostrarne la loro effettiva esistenza.
Lo ha ribadito la Cassazione con la sentenza 17301 dello scorso 30 luglio che, confermando un orientamento consolidato nell’ambito della giurisprudenza di legittimità, ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate.
 
La vicenda processuale
A seguito di una verifica fiscale nei confronti di una società di capitali relativa all’anno di imposta 2003, l’Agenzia delle Entrate recuperava a tassazione l’importo relativo a una consulenza ritenuta inesistente in quanto dissimulante un indebito (rectius indeducibile) pagamento nei confronti di un soggetto dipendente di una consociata statunitense.
 
Il ricorso della società, che eccepiva l’effettività della prestazione (relativa agli sviluppi del mercato degli orologi negli Stati Uniti), regolarmente remunerata attraverso bonifico bancario, veniva accolto in commissione tributaria provinciale con pronuncia poi confermata in secondo grado.
Secondo la Ctp l’emissione della fattura era conseguita a un contratto di consulenza regolarmente stipulato; inoltre, i compensi erano stati pagati con regolarità, onde non si poteva ritenere che le somme corrisposte fossero relative a operazioni inesistenti.
 
La Ctr, nel confermare la pronuncia di primo grado, inquadrava il fenomeno nell’ambito della simulazione relativa, ritenendo che gli elementi portati dall’ufficio a sostegno della ripresa fossero troppo evidenti e, per questo, non fossero indici di una volontà elusiva.
Secondo la tesi dell’Agenzia delle Entrate, il contratto di consulenza era servito a coprire la corresponsione di una parte di retribuzione (altrimenti indeducibile per la società verificata) a un dipendente di società estera collegata. Tale retribuzione rientrava in un complesso accordo negoziale (si trattava soprattutto di “patti parasociali”) intervenuto tra le due aziende, che prevedeva un accollo parziale del debito da parte della società italiana la quale, per poter dedurre fiscalmente il costo, era ricorsa al contratto di consulenza.
L’elemento che aveva insospettito i verificatori era rappresentato dal fatto che l’importo della consulenza costituiva esattamente la differenza tra la retribuzione complessiva da corrispondere al dipendente e la parte a carico della società americana.
 
I giudici di appello ritenevano “troppo trasparente” tale modus operandi: per questo motivo concludevano che le parti contraenti non avessero motivo di prevedere un tale congegno; per far ricadere parte del costo sulla società italiana bastava prevedere una retribuzione inferiore a carico della società americana per poi stipulare il contratto di consulenza senza esporsi alle “illazioni dell’ufficio”.
 
L’Agenzia delle Entrate proponeva allora ricorso per Cassazione denunciando, quale unico motivo, il vizio di insufficiente motivazione della pronuncia impugnata, ai sensi dell’articolo 360, n. 5) del cpc: la pronuncia di appello, infatti, presentava una motivazione apodittica e illogica, avendo trascurato gli elementi indiziari portati dall’ufficio a sostegno della fittizietà della prestazione di consulenza.
 
La pronuncia della Cassazione e ulteriori osservazioni
La Corte suprema, con la sentenza in commento, ha accolto il ricorso dell’Agenzia e ha cassato la sentenza di secondo grado con rinvio della controversia ad altra sezione della Commissione tributaria regionale.
 
La Cassazione ha condiviso in toto la doglianza dell’Amministrazione finanziaria, censurando la sentenza di secondo grado laddove, con motivazione apodittica, a fronte degli elementi forniti dall’ufficio in merito all’inesistenza dell’operazione, si era basata unicamente sul fatto che la fattura era stata pagata e che gli elementi addotti dall'Agenzia “provassero troppo”, come se la linearità del comportamento delle società coinvolte avesse dovuto escludere qualsiasi intento elusivo. Laddove infatti avessero voluto far ricadere parte del costo della consulenza sulla società italiana avrebbero potuto prevedere una retribuzione inferiore nei confronti del dipendente della società americana e stipulare poi un contratto di consulenza, evitando contestazioni da parte del Fisco.
 
Ne deriva che la motivazione “così argomentata, si risolve in una petizione di principio di insufficiente contenuto argomentativo, laddove non tiene conto degli elementi fattuali, considerati nel loro complesso, portati dall'Ufficio (in particolare “i patti parasociali”) al fine di ritenere il costo in esame non deducibile perché fittiziamente creato e che, ove congruamente valutati, avrebbero potuto, in tesi, condurre ad una diversa soluzione della controversia alla luce del principio pacifico per cui grava sul contribuente l’onere della prova dei fatti che danno luogo a oneri o costi deducibili”.
 
Con la pronuncia in commento la Cassazione ha dato seguito a un orientamento ormai consolidato in tema di operazioni inesistenti e di ripartizione dell’onere probatorio, in base al quale l'inesistenza di una determinata operazione deve essere provata, anche attraverso elementi indiziari (purché gravi, precisi e concordanti), dall'Amministrazione finanziaria, quale parte attrice sostanziale del rapporto tributario dedotto davanti all'organo giurisdizionale; laddove siano stati dedotti indizi idonei a confutare la veridicità dei documenti contabili, spetterà al contribuente l'onere di dimostrare l'effettiva esistenza delle operazioni, essendo insufficiente invocare la regolarità delle annotazioni contabili o esibire i mezzi di pagamento perché proprio tali condotte (formalmente corrette) sono di regola alla base dei documenti emessi per operazioni inesistenti (cfr, ex multis, Cassazione, sentenze 19332/2011, 3830/2010, 1134/2009 e 21303/2008).
 
Molte volte viene contestata, soprattutto in relazione alle prestazioni di servizi come le consulenze, più che l’inesistenza, l’antieconomicità dell’operazione, ovvero la “sproporzione” delle somme erogate rispetto all’attività prestata. Sul punto ormai la Cassazione afferma che, nei poteri dell'Amministrazione finanziaria in sede di accertamento, rientra la valutazione di congruità dei costi e dei ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni, e la rettifica di queste ultime, anche se non ricorrano irregolarità nella tenuta delle scritture contabili o vizi degli atti giuridici compiuti nell'esercizio dell'impresa, con negazione della deducibilità di un costo sproporzionato ai ricavi o all'oggetto dell'impresa.
L'onere della prova dell'inerenza dei costi gravante sul contribuente, pertanto, in presenza di argomentata contestazione, ha per oggetto anche la congruità di quei costi. Ciò in quanto “costituisce orientamento consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui, nell'accertamento delle imposte sui redditi e con riguardo alla determinazione del reddito d'impresa, l'onere della prova dei presupposti dei costi ed oneri deducibili concorrenti alla determinazione del reddito d'impresa, ivi compresa la loro inerenza e la loro diretta imputazione ad attività produttive di ricavi incombe al contribuente” (cfr, ex plurimis, Cassazione, sentenze 11514/2001, 4345/2003 e 4554/2010).
 
È stato, quindi, introdotto un concetto di inerenza quantitativa, che si aggiunge a quella qualitativa, la quale, secondo un'interpretazione dottrinale, è da considerarsi un concetto pregiuridico, implicito nella stessa nozione di reddito, che per dirsi tale deve essere calcolato al netto dei costi necessari o utili alla sua produzione.
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