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Giurisprudenza

Per il reato di falsa fatturazione
non rileva l’obiettivo prefissato

Pur ammettendo una parziale finalità di natura extra-tributaria, il dolo specifico può concorrere con essa, laddove comporti l’ottenimento di un indebito vantaggio fiscale

Si configura il reato di falsa fatturazione anche quando i documenti vengono emessi per scopi extra-tributari come, ad esempio, mantenere l’azienda operativa o creare una provvista di denaro personale. Nell’indebito risparmio fiscale si identifica, difatti, il dolo richiesto, quale elemento soggettivo, ai fini della condanna.
A fornire questi principi è stata la Cassazione con la sentenza 49190 del 29 ottobre 2018.
 
La vicenda processuale
La Corte d’appello, in parziale riforma della sentenza del tribunale, rideterminava la pena detentiva della reclusione nei confronti di due imprenditori. La stessa pronuncia confermava la responsabilità a carico dei due imputati e correi – nelle vesti di gestori di fatto rispettivamente della società A e della società B – in relazione all’emissione di fatture per operazioni inesistenti (articolo 8, Dlgs 74/2000), al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto.
La sentenza confermava, inoltre, il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (articolo 2, Dlgs 74/2000), contestato all’amministratore della società B, perché, al fine di evadere le imposte sui redditi, avvalendosi di fatture per operazioni inesistenti emesse dalla società A, aveva indicato nella dichiarazione 2014, ai fini delle imposte dirette, elementi passivi fittizi, nonché un’ingente imposta indetraibile nella dichiarazione Iva 2015.
Avverso la decisione dei giudici territoriali gli imputati hanno presentato ricorso per cassazione, sollevando diversi motivi di doglianza.
 
I motivi di ricorso
I legali degli imputati hanno eccepito, in primo luogo, la mancata contabilizzazione delle fatture oggetto di contestazione. Sul punto sono state contestate le sentenze di primo e secondo grado, nella parte in cui le pronunce hanno ravvisato l’introduzione di elementi passivi fittizi in sede di dichiarazione fiscale prodotta ai fini delle imposte sui redditi. Secondo la tesi difensiva, le fatture contestate non sarebbero mai state registrate nella contabilità societaria e, dunque, non sarebbero mai state annoverate, né utilizzate, tra gli elementi passivi fittizi nella dichiarazione dei redditi. Entrambe le decisioni di merito sarebbero, peraltro, incorse in errore, richiamando acriticamente, ad avviso degli imputati, l’informativa resa dalla Guardia di finanza.
 
La difesa degli imputati ha tentato, inoltre, di smontare la tesi accusatoria sostenendo l’assenza del dolo specifico consistente nella volontà di favorire l’evasione fiscale di terzi.
La sentenza impugnata avrebbe omesso, secondo i ricorrenti, ogni valutazione sull’elemento soggettivo del reato addebitato agli imputati, ossia, appunto, il dolo specifico richiesto dalla fattispecie incriminatrice. L’accertamento del dolo sarebbe stato limitato all’utilizzazione da parte delle fatture contestate in sede di dichiarazioni annuali; la pronuncia dei giudici d’appello, discostandosi dalle argomentazioni del giudice di primo grado, avrebbe fornito, sul punto, una motivazione “apodittica e disancorata” da ogni risultanza probatoria.
Si lamenta, in particolare, come la decisione impugnata non fornisca una motivazione idonea a comprendere quali siano gli elementi sulla cui base sia ravvisabile l’elemento soggettivo del reato, consistente, come detto, nel dolo specifico di favorire l’evasione fiscale di terzi.
Sarebbe mancato, ad avviso dei ricorrenti, qualsiasi approfondimento probatorio volto a rinvenire elementi da cui desumere che gli imputati abbiano agito per il conseguimento di un indebito vantaggio fiscale.
 
La motivazione della sentenza impugnata risulterebbe, inoltre, manifestamente illogica, in quanto disancorata dalle risultanze probatorie emerse dal quadro processuale.
I ricorrenti hanno dedotto, altresì, vizi della motivazione nonché l’erronea applicazione dell’articolo 62-bis cp, in merito al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
I giudici di merito, inoltre, non avrebbero tenuto conto della condotta riparatoria attuata fra il primo e il secondo grado di giudizio, consistita nell’incaricare i difensori di calcolare l’ammontare dovuto all’erario, al solo fine di eliminare le conseguenze dannose scaturite dai fatti contestati.
 
La decisione della Corte
I ricorsi presentati nell’interesse di entrambi gli imputati sono infondati.
I motivi di impugnazione relativi alla mancata contabilizzazione delle fatture oggetto di contestazione sono innanzitutto inammissibili, perché contenenti censure non proposte in grado d’appello. Mutando la precedente linea difensiva, si sostiene dinanzi alla Corte suprema che le fatture in questione non sarebbero mai state registrate nella contabilità societaria e, dunque, non sarebbero mai state utilizzate né indicate tra gli elementi passivi fittizi nella dichiarazione dei redditi.
I giudici rilevano che l’esame della documentazione prodotta a sostegno di tale nuova tesi “è precluso in sede di legittimità, non essendo consentita alla Corte, a norma dell’articolo 606 cpp, una rivalutazione del compendio istruttorio - e, in particolare, della documentazione contabile della società - ma solo un sindacato sul percorso logico seguito nella sentenza impugnata”.
A ogni modo, la deduzione difensiva secondo cui vi sarebbe stata esclusivamente una finalità extra-tributaria perseguita dall’imputato - consistita nell’adoperarsi per riportare all’operatività le sue società - si scontra con l’evidenza dei fatti, come ricostruiti nelle sentenze di primo e secondo grado. Una consapevolezza che risulta ampiamente confermata dagli accordi tra i coimputati circa le operazioni in questione, la cui dinamica è stata dettagliatamente ricostruita dai giudici di merito, in maniera coerente e conforme sia in primo che in secondo grado.
 
Contrariamente a quanto eccepito, dalla motivazione della pronuncia d’appello si evincono, in modo chiaro ed esaustivo, tutti gli elementi emergenti dall’istruttoria. Del resto, le indagini della Guardia di finanza avevano accertato una disordinata movimentazione di denaro dal conto della società B a quello della società A, in nessun caso corrispondente all’importo formalmente fatturato, ma costituita da somme oggetto di ulteriori suddivisioni a scopo evidentemente fraudolento.
 
Il motivo di doglianza con cui si eccepiscono vizi della motivazione in relazione alla valutazione del dolo specifico è infondato. La circostanza per cui le fatture sarebbero state emesse per fini extra-tributari, ossia per creare una provvista per esigenze personali, è irrilevante; pur ammettendo una parziale finalità extra-tributaria nell’operato degli imputati, il dolo specifico può concorrere con essa, laddove si ottenga un indebito vantaggio fiscale.
La stessa difesa afferma che la sentenza di primo grado aveva già adeguatamente preso in esame la questione, richiamando la sentenza delle Sezioni unite 27/2000 e precisando che “il dolo specifico dei delitti tributari può concorrere con altra e distinta finalità”.
Una ricostruzione confermata e fatta propria anche dalla Corte d’appello, che ha sottolineato come l’imputato abbia utilizzato le fatture per conseguire la detrazione di costi non deducibili, nella consapevolezza dell’inesistenza delle operazioni sottostanti.
 
Il motivo di impugnazione con cui si contesta il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche è inammissibile. La Corte d’appello ha correttamente valutato in senso negativo i gravi e specifici precedenti penali, indici di una notevole pericolosità sociale, nonché la mancanza di elementi positivi di giudizio. Né può essere condivisa la tesi secondo cui l’imputato avrebbe attuato una condotta riparatoria fra il primo e il secondo grado di giudizio; sul punto, la stessa difesa ammette che tale condotta non si è concretizzata nello spontaneo pagamento di alcunché, limitandosi al dare incarico allo studio legale di calcolare l’ammontare dovuto all’erario.
 
In conclusione, i giudici di legittimità ritengono configurabile il reato di falsa fatturazione anche quando i documenti vengono emessi con finalità extra-tributarie, come mantenere l’azienda operativa o creare una provvista di denaro personale. Nell’indebito risparmio fiscale si identifica, difatti, il dolo richiesto, quale elemento soggettivo, ai fini della condanna.
 
I ricorsi sono stati rigettati, con la conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
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