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Giurisprudenza

Per il recupero del credito, start
dall’effettivo utilizzo della somma

E le quote già compensate senza averne diritto possono essere richieste dagli uffici del Fisco al contribuente anche se fruite in periodi d’imposta ormai non più accertabili

Il termine di decadenza per il recupero dei crediti d’imposta spalmabili in più anni, risultati inesistenti dai controlli effettuati dall’Agenzia delle Entrate, decorre non dal periodo in cui il diritto al bonus è sorto, ma da quando la somma è stata, nelle diverse annualità, effettivamente utilizzata in compensazione (Cassazione, 15190/2016).

L’iter processuale di merito
Una società di capitali impugnava un avviso di recupero emesso ai sensi dell’articolo1, comma 421, della legge 311/2004, notificato il 5 aprile 2007, con il quale veniva ripreso a tassazione un credito d’imposta, ex articolo 8 della legge 388/2000, maturato nell’anno d’imposta 2001, indicato nella dichiarazione dei redditi del 2002 e utilizzato in compensazione nelle annualità dal 2002 al 2005.

La Ctp di Palermo respingeva il ricorso.
La Ctr della Sicilia accoglieva l’appello in base alla circostanza che l’ufficio era incorso nella decadenza dal potere accertativo, avendo provveduto alla notifica dell’avviso di recupero in data 5 aprile 2007 ossia oltre il termine di quattro anni previsto dall’articolo 43 del Dpr 600/1973, decorrente, nel caso esaminato, dal 31 dicembre 2002, anno nel quale il credito era stato esposto in dichiarazione.

Avverso la pronuncia dei giudici di secondo grado, l’Agenzia delle Entrate ha interposto ricorso per cassazione affidato a un unico motivo.
In particolare, l’ufficio ha dedotto violazione e falsa applicazione di legge, ai sensi dell’articolo 360, comma 1, n. 3), cpc, in relazione all’articolo 43, comma 1, del Dpr 600/1973, e all’articolo 27, commi da 16 a 20, del Dl 185/2008.
La tesi erariale ha sostenuto che il credito recuperato a tassazione era stato esposto nella dichiarazione dei redditi per l’anno 2002 e l’ammontare residuo era stato poi riportato nelle annualità successive, fino al 2005.
Di conseguenza, il termine iniziale di cui al richiamato articolo 43 doveva essere computato a partire dall’anno di presentazione della dichiarazione nella quale il credito era stato indebitamente utilizzato, cioè, nella fattispecie, dal credito usufruito a mezzo modello F24 del 16 gennaio 2002, indicato nella dichiarazione presentata nel 2003.

La società contribuente ha resistito con controricorso illustrato da memoria.

La decisione
La Cassazione, con la sentenza 15190 del 22 luglio 2016, ha accolto il ricorso proposto dall’Amministrazione sulla base delle seguenti motivazioni.
In via preliminare, i giudici di legittimità sono partiti dall’analisi della normativa in materia di agevolazioni per gli investimenti nelle aree svantaggiate, previste dall’articolo 8 della legge 388/2000 richiamando:
  • il comma 5, primo periodo, per cui: “Il credito d'imposta è determinato con riguardo ai nuovi investimenti eseguiti in ciascun periodo d'imposta e va indicato nella relativa dichiarazione dei redditi
  • il successivo comma 7, con il quale il legislatore ha inteso disciplinare la casistica circa la fruibilità del credito d’imposta in argomento in relazione a differenti presupposti fattuali e/o temporali (ad esempio, beni oggetto dell’agevolazione non entrati in funzione entro il secondo periodo d’imposta successivo a quello della loro acquisizione o ultimazione; dismissione, cessione a terzi, destinazione a finalità estranee all’esercizio dell’impresa di beni entro il quinto periodo d’imposta successivo a quello nel quale sono entrati in funzione; eccetera).
La disamina della normativa di settore ha portato la Cassazione a stabilire il principio per cui l’avviso di recupero, da emanare, a norma dell’articolo 43 del Dpr 600/1973, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione (termine prorogato a otto anni dall’articolo 27, commi da 16 a 20, del Dl 185/2008), ha la funzione non solo di recuperare il credito utilizzato oltre la percentuale consentita, ma anche di sanzionare l’inesistenza di detto credito impiegato in compensazione.

Pertanto, se da un lato l’uso del credito è rimesso alla discrezionalità del contribuente beneficiario per quanto attiene la scelta del periodo d’imposta, dall’altro, il controllo, cui è tenuta l’Amministrazione, sulla spettanza dello stesso, deve essere esercitato nel rispetto dei predetti termini di decadenza e in relazione a ogni singolo periodo d’imposta.
L’interpretazione dell’articolo 43, così come fornita dalla Cassazione, è suffragata dalle disposizioni che, nel tempo, sono state emanate per regolamentare la riscossione dei crediti indebitamente utilizzati:
  • articolo 1, comma 421, della legge 311/2004
  • articolo 27, commi 16 e 17, del Dl 185/2008, convertito nella legge 2/2009.
Le richiamate prescrizioni hanno evidenziato i contorni dell’attività accertativa che l’ufficio deve porre in essere in materia, specificando che essa non si deve limitare all’accertamento sulla tempistica e sulla percentuale di fruibilità del credito, ma necessariamente deve estendersi alla verifica circa l’esistenza dello stesso.

In conclusione, i giudici di legittimità, accogliendo il motivo di ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate, hanno consentito all’avviso di recupero del credito d’imposta, previsto dall’articolo 8 della legge 388/2000, di estendere i propri effetti oltre il perimetro naturale della sua efficacia accertativa, prevedendone l’utilizzo per la ripresa a tassazione di crediti portati in compensazione, ma ritenuti inesistenti, anche nell’ipotesi in cui il relativo termine di controllo sia scaduto con riferimento a pregressi periodi d’imposta.
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