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Giurisprudenza

Reddito d’impresa e sisma in Sicilia:
l’agevolazione vuole il de minimis

La Commissione Ue ha però affermato che l’esclusione dal beneficio non vale nell’ipotesi di “ aiuto individuale”, ma sta al giudice di merito verificare che ricorrono le condizioni di ammissibilità

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Il titolare di reddito d’impresa operante nelle province di Catania, Ragusa e Siracusa colpite dal sisma del 1990 non ha diritto al rimborso delle imposte versate per il triennio 1990-1992 in misura superiore al 10% previsto dall’articolo 9, comma 17, della legge n. 289/2002, salvo che ricorrano i presupposti per l’applicabilità della cosiddetta regola del de minimis accertata dal giudice di merito (Cassazione, ordinanza n. 18146 del 5 luglio 2019).

Nella sentenza in commento i giudici di legittimità tornano ad affrontare la questione dei limiti di applicabilità del beneficio rappresentato dal diritto al rimborso della quota pari al 90% dell’Ilor e dell’Irpef versate nel triennio 1990-1992 previsto dall’articolo 9, comma 17, della legge n. 289/2002 in favore dei soggetti colpiti dal sisma del 13 e 16 dicembre 1990, che ha interessato le province di Catania, Ragusa e Siracusa.
Il beneficio, a norma dell’articolo 1, comma 665, prima parte della legge n.190/2014, non è stato riconosciuto dalla Cassazione (pronuncia n. 15026/2017) spettante agli esercenti attività di impresa “per i quali l'applicazione dell'agevolazione è sospesa nelle more della verifica della compatibilità del beneficio con l'ordinamento dell'Unione europea”. Tale verifica si è conclusa con la decisione della Commissione Ue 14 agosto 2015, C (2015) 5549, con la quale è stata esclusa la compatibilità di detto beneficio con l’ordinamento comunitario, incompatibilità già affermata dalla Corte di Giustizia pronunciata riguardo alle disposizioni condonistiche di cui alla legge n.289/2002 con il sistema comune dell’Iva, con la sentenza della Grande sezione 17 luglio 2008, n.C-132/06.

Alla luce di detto ormai consolidato quadro normativo e giurisprudenziale – che viene puntualmente riportato nel corpo della motivazione – la Corte suprema, chiamata, nel caso di specie, a stabilire se spetti o meno il diritto al rimborso delle imposte pagate nel 1992 da un soggetto esercente attività di impresa (attività di fabbricazione di pasticceria) e residente in una delle province colpite dal sisma, ha cassato la sentenza della Commissione tributaria regionale, che aveva riconosciuto il rimborso, con una importante precisazione.
Il giudice di legittimità ha, infatti, ribadito che – come espressamente riconosciuto dalla stessa Commissione Ue nella richiamata decisione del 2015 – l’esclusione dal beneficio per i titolari di reddito d’impresa non vale nell’ipotesi in cui si tratti di “aiuto individuale” e, quindi, sussistano le condizioni previste dal Regolamento Ce n. 1407/2013 o n. 717/2014 per ritenere l’aiuto rientrante in quelli cosiddetti de minimis. In questo caso il beneficio (nella specie il rimborso delle imposte) può essere fruito anche dal titolare di reddito d’impresa (Cassazione, pronunce nn. 22377/2017 e 29905/2017).

In proposito il Supremo collegio, nel riportare ampi stralci della decisione della Commissione, nella pronuncia in commento, ha evidenziato che la sussistenza delle condizioni individuate dal regolamento applicabile deve essere accertata dal giudice di merito. Questi, per poterlo legittimamente ritenere fruibile dall’esercente attività di impresa deve verificare che in concreto sussistano le condizioni per ritenerlo un aiuto “compatibile”.
Le condizioni richieste sono che il richiedente deve aver subito danni causati dalla calamità naturale (paragrafo 150 della decisione citata); deve sussistere un “nesso chiaro e diretto” tra i danni subiti dall’impresa e l’aiuto di stato concesso (paragrafo 136 della decisione citata); il beneficiario deve avere necessariamente la sede dell’impresa nella località colpita dal sisma e non si deve essere realizzata una “sovra-compensazione” rispetto ai danni subiti, ad esempio, per effetto di rimborsi assicurativi.
La sentenza della Corte di cassazione in esame ha anche precisato che l’entità dell’aiuto – che, ovviamente non deve superare la soglia fissata dal diritto Ue per i cosiddetti contribuenti minimi – deve essere provata con riferimento all’intero periodo di tre anni, come già evidenziato dalla Cassazione tributaria nella decisione n. 14465/2017 e onerato della relativa prova è il contribuente.

Il Collegio di legittimità, sulla base delle cennate considerazioni, ha concluso cassando la sentenza con rinvio in quanto la Ctr aveva riconosciuto la spettanza del rimborso senza valutare se l’aiuto avesse o meno i requisiti per essere considerato de minimis. A questi effetti i giudici hanno precisato che, in considerazione del fatto che la possibilità di riconoscimento “in via del tutto eccezionale” del beneficio anche all’esercente attività d’impresa è stata riconosciuta dallo ius superveniens (decisione vincolante della Commissione Ue), in sede di rinvio al contribuente è riconosciuta la possibilità di produrre nuovi documenti, che prima non erano indispensabili, comprovanti la spettanza del beneficio e ciò in deroga al principio secondo il quale il giudizio di rinvio è un giudizio “chiuso”, che esclude la produzione di nuovi documenti.
Sul tema si veda anche quanto statuito dalla Corte di legittimità con riguardo all’applicabilità dei principi espressi nella sentenza in commento ai titolari di redditi di lavoro autonomo, assimilati agli imprenditori, in quanto anch’essi esercenti attività di impresa nel senso euro-unitario di attività economica, che offre beni o servizi su un determinato mercato, n. 5923 del 28 febbraio 2019.


a cura di Giurisprudenza delle imposte edita da ASSONIME

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