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Giurisprudenza

Regime di perfezionamento passivo
solo se non arreca gravi pregiudizi

L’autorizzazione è concessa dalle autorità nazionali sempre che la concessione del beneficio non sia tale da ledere gli interessi essenziali dei trasformatori comunitari

Con la sentenza in rassegna (21 luglio 2016, causa n. C-4/15), la Corte di giustizia si è pronunciata su una questione riguardante la corretta interpretazione della disciplina del regime di perfezionamento passivo, prevista dal codice doganale comunitario istituito con regolamento (Cee) n. 2913/92 del 12 ottobre 1992, applicabile ratione temporis.
Al riguardo, giova preliminarmente ricordare che il regime doganale del perfezionamento passivo consente di esportare temporaneamente al di fuori del territorio doganale dell’Unione merci comunitarie per sottoporle a determinate operazioni di lavorazione (“perfezionamento”) e di immettere i prodotti risultanti da tali operazioni (“prodotti compensatori”) in libera pratica in esenzione – totale o parziale – dai dazi all’importazione (cfr articolo 145 del citato regolamento 2913/92). Tale regime è volto, in sostanza, a evitare l’imposizione doganale di merci esportate a fini di perfezionamento al momento della loro reimportazione nel territorio dell’Unione.
Per usufruire del regime doganale di perfezionamento passivo, è necessaria un’apposita autorizzazione: ai sensi dell’articolo 148, lettera c), del codice, tale autorizzazione è concessa dalle Autorità nazionali sempre che la concessione del beneficio del regime in esame non sia tale da arrecare “grave pregiudizio agli interessi essenziali dei trasformatori comunitari (condizioni economiche)”.
 
La questione portata all’attenzione dei giudici comunitari è volta a chiarire la nozione di “trasformatori comunitari”, nella misura in cui le menzionate “condizioni economiche” si riferiscono all’assenza di grave pregiudizio agli interessi essenziali di questi ultimi.
La controversia trae origine da una domanda presentata alle Autorità doganali olandesi per ottenere il rilascio di un’autorizzazione a ricorrere al regime di perfezionamento passivo. La società richiedente intendeva vincolare al regime in parola la benzina comunitaria, destinata a essere esportata per essere miscelata con bioetanolo proveniente da uno Stato terzo e non immesso in libera pratica nell’Unione; con tale miscela, che presentava un rapporto di circa 15 unità di benzina per 85 unità di bioetanolo, sarebbe stato ottenuto un biocarburante (l’“E85”) utilizzabile in determinati veicoli.
In particolare, da tale domanda emergeva che la società richiedente l’autorizzazione intendeva procedere alla produzione di detta miscela in alto mare: la benzina e il bioetanolo sarebbero stati caricati, in un porto olandese, a bordo di una nave, in due compartimenti separati da un divisorio; dopo la partenza di detta nave, non appena la stessa fosse giunta fuori dalle acque territoriali dell’Unione, tale divisorio sarebbe stato rimosso così che le due componenti si miscelassero grazie al moto ondoso che favorisce il processo anzidetto e, in seguito, la nave avrebbe fatto ritorno nei Paesi Bassi.
 
Ai giudici comunitari è stato chiesto, in sostanza, se il richiamato articolo 148, lettera c), del codice doganale debba essere interpretato nel senso che, nell’ambito di una domanda di autorizzazione a ricorrere al regime di perfezionamento passivo, al fine di valutare se le condizioni economiche cui è subordinato il ricorso a tale regime siano soddisfatte, è necessario tenere conto non solo degli interessi essenziali dei produttori comunitari di prodotti affini al prodotto finito risultante dalle operazioni di perfezionamento prospettate, ma anche di quelli dei produttori comunitari di prodotti affini alle materie prime o ai prodotti semifiniti non comunitari destinati a essere incorporati alle merci comunitarie di temporanea esportazione durante tali operazioni.
 
Secondo la Corte di giustizia, le condizioni economiche in questione dovrebbero essere interpretate in maniera tale da consentire alle Autorità doganali di prendere pienamente in considerazione eventuali conflitti di interessi nell’industria dell’Unione, garantendo che le agevolazioni che un operatore trarrebbe dal beneficio di detto regime non comportino, invece, svantaggi considerevoli per altri produttori comunitari.
Con riferimento ai menzionati conflitti di interessi, la Corte rileva che il beneficio del regime di perfezionamento passivo concesso a un operatore comunitario, poiché favorisce la delocalizzazione di operazioni di perfezionamento di merci comunitarie al di fuori dell’Unione, può pregiudicare per lo più gli interessi essenziali di industriali che realizzano, nell’Unione, operazioni di perfezionamento simili, vale a dire i produttori di prodotti affini a quello che risulterebbe dal perfezionamento passivo.
 
Tuttavia, in circostanze come quelle prospettate nel caso di specie – nelle quali l’operazione di perfezionamento che si intende effettuare comporta l’integrazione alle merci comunitarie temporaneamente esportate di una quantità considerevole di una materia prima non comunitaria, ossia di bioetanolo, e i dazi doganali relativi a tale materia prima, pari a circa il 40% ad valorem, sono sensibilmente più alti rispetto a quelli che sarebbero applicabili ai prodotti compensatori ottenuti all’esito di tale operazione, dal momento che l’“E85” è assoggettato a imposta pari al 6,5% ad valorem – i giudici comunitari osservano che il ricorso al regime del perfezionamento passivo sarebbe comunque tale da arrecare un grave pregiudizio agli interessi essenziali degli operatori che producono detta materia prima nell’Unione.
Infatti, effettuare la medesima operazione di perfezionamento al di fuori dell’Unione consentirebbe di importare nel territorio comunitario la parte corrispondente a questa stessa materia prima, sottraendosi al pagamento dei dazi doganali a essa applicabili e diretti per l’appunto a proteggere detti produttori comunitari da una simile importazione: in tale situazione, il beneficio del regime di perfezionamento passivo attribuirebbe all’operatore che richiede detto regime un vantaggio aggiuntivo, consistente nell’esenzione parziale che costui otterrebbe sui dazi doganali applicabili al prodotto compensatore, il che renderebbe quindi ancora più vantaggioso tale tipo di operazioni invero sfavorevoli agli interessi dei produttori dell’Unione.
 
In base alle considerazioni che precedono, la Corte ha quindi concluso che – in linea con quanto già dichiarato nella sentenza dell’11 maggio 2006, causa n. C-11/05, con riferimento al regime della trasformazione sotto controllo doganale – la nozione di “trasformatore comunitario”, di cui all’articolo 148, lettera c), del codice doganale, deve essere intesa come comprensiva non soltanto dei produttori comunitari di prodotti affini al prodotto che risulterebbe dalle operazioni di perfezionamento prospettate, ma anche dei produttori comunitari di prodotti affini alle materie prime o ai prodotti semifiniti non comunitari destinati a essere incorporati alle merci comunitarie di esportazione temporanea durante tali operazioni.
 
 
a cura di Giurisprudenza delle imposte edita da ASSONIME
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