La scrittura privata non autenticata di mero riconoscimento di debito, ai fini dell’imposta di registro, è da ricondurre all’articolo 4, parte II della tariffa, che assoggetta, in caso d’uso, le scritture private non autenticate, non aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale, a imposta fissa.
Tuttavia, la valutazione della natura dell’atto va fatta caso per caso, all’esito d’interpretazione dell’articolo 20 del Tur.
Con la sentenza n. 7682 del 16 marzo 2023 le sezioni unite della Corte di cassazione hanno chiarito il regime della tassazione della ricognizione di debito ai fini dell’imposta di registro.
Preliminarmente, si ricorda che ai sensi dell’articolo 1 del Dpr n. 131/1986 (Tur), l’imposta di registro si applica, nella misura indicata nella tariffa allegata al testo unico, agli atti soggetti a registrazione e a quelli volontariamente presentati per la registrazione.
La tariffa citata è divisa in due parti. Ai sensi dell’articolo 5 Tur sono soggetti a registrazione in termine fisso gli atti indicati nella parte prima della tariffa e in caso d’uso quelli indicati nella parte seconda.
Come pure si legge nella sentenza in commento, il contrasto interpretativo risente della mancata previsione, da parte del Testo unico richiamato, del trattamento fiscale ai fini dell’imposta di registro della ricognizione di debito, laddove il Rd n. 3269/1923, all’articolo 8 della tariffa, allegato A, come modificato dalla legge n. 261/1953, assoggettava la ricognizione di debito all’aliquota proporzionale dell’1,5 per cento.
Nel silenzio della vigente disciplina, in via di tendenziale schematizzazione, si sono sviluppati orientamenti giurisprudenziali contrastanti:
- la prima tesi ritiene che la ricognizione di debito possa farsi rientrare nell’ambito dell’articolo 9 della tariffa, parte I, del Tur, che assoggetta all’imposizione proporzionale nella misura del 3% “gli atti diversi da quelli altrove indicati aventi ad oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale” (cfr Cassazione n. 24107/14)
- diverso orientamento ha affermato che, laddove dalla ricognizione non risulti l’esistenza dell’atto costitutivo di un rapporto patrimoniale sottostante, di modo che non è dato verificare se per esso risulti già versata o meno l’imposta dovuta, la dichiarazione, priva di contenuto patrimoniale, non comportando alcuna innovazione rispetto all’obbligazione contratta, deve ricondursi alla previsione di cui all’articolo 3, parte prima, della tariffa, che prevede l’assoggettamento all’imposta proporzionale nella misura dell’1% degli “atti di natura dichiarativa, relativi a beni o rapporti di qualsiasi natura”, sempre soggetti all’obbligo di registrazione in termine fisso (ex multis, Cassazione ordinaria n. 15190/2021, Cassazione n. 3379/2020)
- secondo un terzo orientamento, la ricognizione di debito ha natura meramente dichiarativa, poiché si milita a confermare un’obbligazione già esistente. In quanto mera dichiarazione di scienza, non è applicabile l’articolo 9, parte prima, della tariffa, né l’articolo 3, parte prima della tariffa, ma l’articolo 4, parte II, della tariffa, secondo cui sono assoggettate, in caso d’uso, a imposta di registro in misura fissa, per quanto qui rileva, le scritture private non autenticate non aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale (cfr Cassazione n. 15268/2021 e n. 481/2018)
- una pronuncia isolata ha assoggettato la ricognizione di debito a imposta proporzionale di registro nella misura dello 0,50%, in relazione all’articolo 6, parte I, della tariffa.
Gli orientamenti richiamati, a detta delle sezioni unite, risentono della divergenza rilevabile, in ambito civilistico, dell’affermazione della natura negoziale o meno della ricognizione di debito. I primi due orientamenti citati, evidentemente, muovono dalla condivisione della natura di dichiarazione di volontà della ricognizione di debito.
Ai fini dell’esame del trattamento fiscale, allora, non si può prescindere dall’analisi della natura giuridica della ricognizione di debito, come disciplinata dall’articolo 1988 del codice civile: questa non costituisce autonoma fonte di obbligazione, ma determina un’astrazione meramente processuale della causa debendi, comportante una semplice relevatio ab onere probandi, per la quale il destinatario della ricognizione di debito è dispensato dall’onere di provare l’esistenza del rapporto fondamentale, che si presume fino a prova contraria.
Quanto agli atti di natura dichiarativa, la sentenza dà atto che nell’unico genus si distinguono:
- atti o negozi dichiarativi riferibili a fattispecie in cui, per effetto del negozio dichiarativo, si ha una modifica della situazione giuridica preesistente, senza che a ciò segua la produzione di effetti obbligatori reali (come nella divisione)
- atti o negozi ricognitivi, finalizzati a manifestare consapevolezza rispetto a una situazione giuridica preesisente che non viene innovata
- atti o negozi di accertamento, la cui causa sia quella di rimuovere un’oggettiva situazione di incertezza.
Occorre una valutazione da effettuare caso per caso, che muova dalla natura dell’atto: ove l’atto di riconoscimento del debito sia propriamente un atto meramente ricognitivo, atto giuridico in senso stretto dal quale non scaturisce alcun effetto reale o obbligatorio, non può individuarsi un effetto dichiarativo dell’atto stesso. Pertanto, non sarà applicabile l’articolo 3, parte I, della tariffa, che assoggetta a registrazione in termine fisso con l’aliquota dell’1% gli “atti di natura dichiarativa relativi a beni o rapporti di qualsiasi natura”.
Così inteso, le sezioni unite ritengono che la scrittura privata non autenticata di mero riconoscimento di debito, ai fini dell’imposta di registro, sia da ricondurre all’articolo 4, parte II della tariffa, che assoggetta, in caso d’uso, le scritture private non autenticate non aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale a imposta fissa. Così statuito, con riguardo specificamente al caso in esame, la sentenza chiarisce che il deposito di documento ai fini probatori in procedimento contenzioso non costituisce “caso d’uso” in relazione all’articolo 6 del Tur.
In conclusione, la Corte di piazza Cavour chiarisce che, in ogni caso, il giudice di merito debba pervenire alla qualificazione della natura dell’atto all’esito d’interpretazione dello stesso ex articolo 20 Tur che dispone “l’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici, dell'atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall'atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi”.