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Giurisprudenza

La residenza non giustifica l’esenzione

Nel mirino la normativa tedesca che riconosce un credito di imposta ai percettori di dividendi distribuiti da società con sede in Germania

Secondo la Corte Ue è contraria al diritto comunitario una disposizione che subordina la concessione di un’esenzione dall’imposta sul reddito, a cui sono soggetti i dividendi versati a persone fisiche in possesso di azioni, alla condizione che siano versati da società con sede nello Stato membro. La Corte di Giustizia è stata investita (procedimento C-292/04) di una questione concernente la pretesa violazione da parte di uno Stato membro della normativa riguardante la libertà di circolazione, all’interno dell’Unione, dei capitali. La violazione contestata, a cui è stata fornita risposta con la sentenza emanata ieri, riguarda il diritto tributario tedesco che prevede la fruizione di un credito di imposta per i percettori di dividendi distribuiti da società con sede in Germania.

La normativa tributaria della Germania
In pratica l’articolo 36 della normativa tedesca riguardante l’imposta sul reddito delle società consente ai contribuenti di detrarre, da quanto dovuto all’Erario a titolo di imposta sul reddito, quasi la metà dei dividendi percepiti da società a condizione che queste ultime siano residenti nel predetto Stato. La ratio di tale disposizione, rimasta in vigore sino al 2001, è di evitare la doppia tassazione degli utili al momento della loro distribuzione agli azionisti. Tale sistema è stato soppiantato per essere sostituito dalla tassazione della sola metà dei dividendi percepiti. In questo modo si riesce comunque a evitare la duplice imposizione della medesima manifestazione di ricchezza sia pure senza passare attraverso l’escamotage del credito di imposta.

La richiesta formulata alla Corte Ue
Alla Corte è stato chiesto di pronunziarsi non soltanto sulla legittimità della normativa anzidetta ma, altresì, di valutare se l’eventuale sentenza di condanna debba avere carattere retroattivo o meno. È il caso di rammentare che le sentenze della Corte di Giustizia Ue, in quanto dirette a stabilire la corretta interpretazione del diritto comunitario, hanno normalmente efficacia ex tunc proprio perché la pronunzia dei giudici non ha elementi di per sè innovativi. Tuttavia, sussistono dei casi in cui, ricorrendo situazioni obiettivamente valutabili, è consentito ai giudici comunitari limitare nel tempo e, cioè, con effetto ex nunc, gli effetti della sentenza.

I casi particolari
Ciò accade quando vi sia il rischio di gravi ripercussioni economiche dovute all’elevato numero di rapporti giuridici costituiti in buona fede sulla base della normativa nazionale. Ciò significa che il legislatore del singolo Stato deve essere stato indotto a un comportamento non conforme alla normativa comunitaria a causa di una obiettiva incertezza circa la portata delle disposizioni comunitarie cui ha potuto contribuire il comportamento della Commissione o di un altro Stato membro. Quando ciò accade, e i giudici riconoscono l’opportunità di limitare nel tempo gli effetti della sentenza, la prescritta limitazione opera esclusivamente per i rapporti giuridici che formano oggetto della cognizione dei giudici in quel determinato procedimento. Insomma la limitazione opera esclusivamente "inter partes". Tale restrizione risponde all’esigenza di tutelare e preservare la certezza dell’applicazione del diritto e, in particolare, la parità di trattamento degli Stati membri per ciò che concerne l’osservanza generale delle disposizioni a carattere comunitario.

Il giustificato affidamento non è un’attenuante
Nel caso prospettato non sembra si possa invocare, a discarico della normativa adottata dalla Germania, la circostanza del "giustificato affidamento". Difatti già nel 1995 la Commissione europea aveva segnalato al governo tedesco che il sistema adottato, in ordine al riconoscimento del credito di imposta per i soli dividendi distribuiti dalle  società con sede in Germania, fosse lesivo delle fondamentali libertà garantire dal Trattato. La Commissione, tuttavia, aveva rinunziato ad avviare la prescritta procedura di infrazione in quanto l’Amministrazione tedesca si era dichiarata disponibile a una immediata revisione della normativa contestata. Ora, a parere della Corte, la circostanza che la Commissione non abbia instaurato a carico della Germania la procedura pre-contenziosa non può costituire una scriminante a cui il governo tedesco può appellarsi per giustificare il proprio comportamento oggetto di contestazione.

I precedenti di giurisprudenza
Infatti secondo la Corte, e le precedenti sentenze riguardanti fattispecie similari (sentenza Verkooijen, sentenza Lenz e Manninen, sentenza Test Claimants) lo confermano, è contraria al diritto comunitario una disposizione che subordina la concessione di una esenzione dall’imposta sul reddito a cui sono soggetti i dividendi versati a persone fisiche in possesso di azioni alla condizione che tali dividendi siano versati da società aventi sede nel detto Stato membro. Disposizioni di questo tipo hanno un effetto potenzialmente dissuasivo nei confronti dei contribuenti tedeschi ad investire in società aventi sede in un diverso Stato membro. Con la conseguenza di creare un obiettivo ostacolo alla raccolta di capitali e alla libera circolazione all’interno dell’Unione. Pertanto la Corte ritiene che la normativa contestata sia contraria agli scopi e ai princìpi del diritto comunitario e che la sentenza resa in questa sede debba dispiegare normalmente i propri effetti con efficacia ex tunc.
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