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Giurisprudenza

Residenza in Svizzera, casa a Rapallo:
le imposte vanno assolte in Italia

Nel caso in esame, i consumi superiori a quelli di un nucleo di tre o quattro persone hanno dimostrato la presenza continuativa nel territorio italiano del contribuente e dei suoi familiari

immagine panoramica di Rapallo

In tema di reati tributari, ai sensi del combinato disposto dell’articolo 2 del Dpr n. 917/1986 e dell’articolo 43 codice civile, è obbligato a presentare una delle dichiarazioni relative alle imposte sui redditi o all’Iva colui che ha la residenza fiscale in Italia, per tale dovendosi intendere anche chi, pur risiedendo all’estero, stabilisca in Italia, per la maggior parte del periodo d’imposta, il suo domicilio, inteso come la sede principale degli interessi economici e delle relazioni personali.
Nel caso di specie la presenza continuativa in Italia del contribuente e della sua famiglia era dimostrata dal fatto che nell’abitazione italiana si erano registrati consumi mediamente superiori a quelli di un nucleo familiare di tre/quattro persone.
Lo ha sancito la Corte di cassazione che, con la sentenza n. 42567 del 17 ottobre 2019, ha respinto il ricorso di un imputato, confermando quindi l’esito di condanna dei gradi di merito.

La vicenda processuale e la pronuncia della Cassazione
Al contribuente veniva contestato il reato di cui all’articolo 4 del Dlgs n. 74/2000 per avere, quale intermediario finanziario fittiziamente residente in Svizzera, omesso di indicare alcuni compensi percepiti negli anni 2010, 2011 e 2012.
Col ricorso il contribuente denunciava violazione dell’articolo 32 del Dpr n. 600/1973, evidenziando che la pronuncia di colpevolezza si era basata esclusivamente sulle presunzioni da indagini finanziarie operate dalla Guardia di finanza, indagini che tra l’altro si erano rivelate incomplete essendo mancato l’accertamento della provenienza degli assegni versati sul conto dell’imputato.
Con altro motivo denunciava la violazione dell’articolo 4 della Convenzione tra Italia e Svizzera in ordine all’individuazione del paese di residenza fiscale.

La Cassazione ha rigettato il ricorso evidenziando come la Corte d’appello avesse valorizzato diversi elementi che facevano propendere per la residenza in Italia.
In particolare, il contribuente aveva prestato una consulenza di notevole importo nei confronti di una società di Milano, per la durata di sei mesi; inoltre a Milano aveva stipulato un contratto di locazione di un immobile per un anno, contratto debitamente registrato; per non parlare poi degli ingenti importi transitati sui conti correnti italiani scovati attraverso l’uso di indagini finanziarie o delle operazioni allo sportello effettuate in 275 giorni diversi.
Infine, la circostanza ritenuta sintomatica della presenza stabile in Italia, a dispetto della sua residenza formale in Svizzera, è stata inoltre individuata nel fatto che la moglie e la figlia dell'imputato fossero residenti a Rapallo dove dimoravano in maniera continuativa, come peraltro desumibile dalla verifica sui consumi di kw annui dell'abitazione, che, in due anni, sono risultati mediamente superiori a 7.000 kw, ovvero quasi il doppio del consumo medio annuo di un nucleo familiare di tre/quattro persone.
La lettura di tutti questi elementi probatori correlati ha consentito ai giudici di merito di pervenire alla conclusione, tutt'altro che irragionevole, che il professionista svolgesse la sua attività professionale in Italia, in quanto quivi era il centro dei suoi interessi professionali, economici e personali.
Sono state ad ogni modo accolte alcune deduzioni difensive tanto è vero che, alla luce di acquisizioni documentali, sono stati ridimensionati i ricavi occultati (per la presenza di giroconti o di assegni versati ma stornati in quanto insoluti) ma non in maniera tale da arrivare al di sotto delle soglie di punibilità.

Ulteriori osservazioni
La pronuncia si pone quindi nel solco della giurisprudenza di legittimità secondo cui le presunzioni legali previste dalle norme tributarie, pur non potendo costituire di per sé fonte di prova della commissione del reato, assumono tuttavia il valore di dati di fatto, che devono essere valutati liberamente dal giudice penale unitamente a elementi di riscontro che diano certezza dell' esistenza della condotta criminosa (in senso conforme Cassazione, sentenze 13334/2019 e 7078/2013).

Il principio del doppio binario, ovvero dell’autonomia del procedimento penale rispetto a quello tributario, non esclude che, ai fini della formazione del suo convincimento, il giudice penale possa avvalersi anche di presunzioni tratte dall’ambito tributario (nel caso di specie basate sulle movimentazioni bancarie), con l’unico limite rappresentato dal fatto che tali elementi vengano assunti “non con l’efficacia di certezza legale, ma come dati processuali oggetto di libera valutazione ai fini probatori” (Cassazione, sentenze n. 9043/2013 e 20883/2015).

In altri termini ferma restando l’autonomia degli ambiti penale e tributario, il giudice penale, mentre non è vincolato dalle valutazioni compiute in sede di accertamento, può tuttavia con adeguata motivazione apprezzare gli elementi induttivi in detta sede valorizzati per trarne elementi probatori, che  ritenga  idonei a  sorreggere il suo convincimento obiettivo. Nel caso di specie tali valutazioni erano state opportunamente effettuate dai giudici di merito che avevano valorizzato diversi elementi a supporto della residenza italiana dell’imputato.

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