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Giurisprudenza

Rettifica della rendita proposta
anche oltre il termine di un anno

La procedura Docfa consente di “suggerire” il classamento dell’immobile in modo da accelerare formazione e aggiornamento del catasto, ma non comprime il potere di rettifica dell’ufficio

La sezione V della Corte di cassazione, con ordinanza n. 20823 del 6 settembre 2017, ha affrontato, tra l’altro, la questione del termine previsto per l’esercizio del potere dell’ufficio di rettificare il classamento proposto dal proprietario dell’immobile, affermando che detto potere può essere esercitato anche oltre il termine annuale di cui all’articolo 1, comma 3, Dm 701/1994, al quale va attribuita natura meramente ordinatoria.
 
La vicenda
La questione esaminata dalla Corte suprema trae origine dall’impugnazione di un atto di classamento in rettifica, con il quale l’allora Agenzia del territorio rettificava – da 2 a 3, in seguito alla fusione di subalterni catastali – la classe denunciata dal proprietario dell’immobile con la procedura Docfa, di cui al Dm 701/1994.
Com’è noto, tale procedura è volta a dichiarare in catasto le nuove costruzioni e le variazioni dello stato dei beni che influiscano sul classamento o sulla consistenza dell’unità immobiliare (ad esempio, per fusione o frazionamento, cambio di destinazione, nuova distribuzione degli spazi interni, eccetera); l’articolo 1, comma 2, del citato Dm prevede che il dichiarante “… propone anche l’attribuzione della categoria, classe e relativa rendita catastale, per le unità a destinazione ordinaria, o l’attribuzione della categoria e della rendita, per le unità a destinazione speciale o particolare …”.
 
Il ricorrente eccepiva la decadenza dell’ufficio dal potere di modificare la rendita proposta nelle forme della procedura Docfa, poiché l’atto di classamento in rettifica risultava notificato oltre il termine annuale contenuto nell’articolo 1, comma 3, del decreto ministeriale.
Tale disposizione prevede, infatti, che la rendita indicata nel Docfa “rimane negli atti catastali come «rendita proposta» fino a quando l’ufficio non provvede con mezzi di accertamento informatici o tradizionali, anche a campione, e comunque entro dodici mesi dalla data di presentazione delle dichiarazioni di cui al comma 1, alla determinazione della rendita catastale definitiva …”.
 
La Commissione tributaria regionale di Venezia confermava la tesi sostenuta dal proprietario dell’immobile, affermando che il potere di rettifica doveva essere esercitato dall’ufficio entro detto termine di un anno, tenuto conto anche dell’assenza di opere.
Inoltre, la Ctr riteneva la rettifica non fondata motivando con riferimento alla classe 2 di un immobile “coevo e contiguo”.
 
Avverso detta sentenza, proponeva ricorso in Cassazione l’Agenzia del territorio, denunciando la violazione di legge in relazione al termine per la rettifica e l’insufficiente motivazione.
 
I principi affermati dalla Corte di cassazione
Con la pronuncia in commento, la Corte suprema è giunta a cassare la sentenza della Ctr di Venezia in relazione a entrambi i motivi di impugnazione.
In particolare, in relazione all’esercizio del potere di accertamento, i giudici di legittimità hanno statuito che “la procedura DOCFA consente al proprietario dell’immobile di proporne la rendita in modo da accelerare formazione e aggiornamento del catasto, ma non comprime in alcun modo il potere di rettifica dell’ufficio”, con la conseguenza che quest’ultimo può esercitarlo anche oltre il termine annuale previsto dal comma 3 dell’articolo 1 del Dm 701/1994, che ha natura meramente ordinatoria.
 
Come già affermato dalla Corte di cassazione in pronunce precedenti[1], la natura perentoria del termine oltre a non essere prevista dalla norma regolamentare[2], neppure può ricavarsi dalla disciplina legislativa della materia, “con la quale è assolutamente incompatibile un limite temporale alla modificazione o all’aggiornamento delle rendite catastali”.
In altri termini, la procedura ha “il solo scopo di rendere più rapida la formazione del catasto ed il suo aggiornamento”, attribuendo alle dichiarazioni presentate la funzione di “rendita proposta”, fino a quando l’ufficio finanziario non provveda alla determinazione della rendita definitiva, ma non introduce a carico dell’ufficio un termine perentorio per l’espletamento di tale attività.
 
Anche in relazione alla lamentata insufficiente motivazione della sentenza della Ctr di Venezia, i giudici hanno condiviso le eccezioni sollevate dall’ufficio, rilevando che quest’ultimo aveva rappresentato – già nel grado di appello – di aver avviato la rettifica anche per l’immobile evocato in comparazione, circostanza ignorata dal giudice.
 
Osservazioni
La pronuncia della Corte di cassazione in commento si pone in linea con i precedenti sulla questione e conferma le indicazioni contenute nei documenti di prassi dell’amministrazione finanziaria.
Al riguardo, si richiama la circolare dell’allora Agenzia del territorio n. 7/2005, nella quale già si faceva presente che detta disposizione è da intendersi essenzialmente sollecitatoria (rectius propulsiva) rispetto alle attività di competenza dell’amministrazione catastale, rilevando che il secondo periodo del comma 3 dell’articolo 1 attribuisce all’amministrazione finanziaria la facoltà “di verificare, ai sensi dell’art. 4, comma 21, del DL 853/84, convertito con modificazioni nella L. 17 febbraio 1985, n. 17, le caratteristiche degli immobili oggetto delle dichiarazioni di cui al comma 1 ed eventualmente modificarne le risultanze censuarie iscritte in catasto”.
 
Il regolamento di cui trattasi, quindi, pur indicando modalità e termini tesi indubbiamente alla semplificazione e accelerazione delle attività degli uffici catastali (come ribadito dalla Corte di cassazione nelle numerose pronunce), riconosce, in ogni caso, a quest’ultimi la facoltà di procedere a controlli successivi, secondo le modalità previste dalla specifica legislazione di settore.
Invero, lo stesso documento di prassi sollecita gli uffici, ove possibile, al rispetto di tale termine ordinatorio soprattutto in considerazione della rilevanza della rendita catastale ai fini fiscali.
 
Si ricorda, infatti, che l’articolo 74, comma 1, della legge 342/2000, ha disposto che “A decorrere dal 1º gennaio 2000, gli atti comunque attributivi o modificativi delle rendite catastali per terreni e fabbricati sono efficaci solo a decorrere dalla loro notificazione, a cura dell’ufficio del territorio competente, ai soggetti intestatari della partita. Dall’avvenuta notificazione decorre il termine di cui all’articolo 21 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, e successive modificazioni, per proporre il ricorso di cui all’articolo 2, comma 3, dello stesso decreto legislativo. Dell’avvenuta notificazione gli uffici competenti danno tempestiva comunicazione ai comuni interessati”.
 
[1] cfr Cassazione, 6411/2014, 7392 e 7380 del 2011, 14818/2010, 21139/2009, 22230/2008 e 16824/2006.
[2] cfr Cassazione 16824/2006, secondo la quale “Essendo l’esercizio del potere regolamentare soggetto ai principi di riserva di legge e di legalità, tali disposizioni non avrebbero però potuto autonomamente introdurre previsioni limitative delle facoltà delle parti o degli stessi poteri fisiologici dell’amministrazione”.
 
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