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Giurisprudenza

Revocazione e rivalutazione prove:
piani d'indagine da tenere distinti

La prima si può invocare solo se la sentenza è stata emanata a seguito di un errore di fatto risultante dai documenti o atti di causa, non per riconsiderare gli elementi offerti dalle parti

immagine di una persona che guarda un foglio con la lente d'ingrandimento
La Ctr di Firenze, con la sentenza n. 1832 depositata il 24 luglio 2017, afferma a chiare lettere che, in sede di revocazione della sentenza, non vi è spazio alcuno per una nuova valutazione del materiale probatorio offerto nei precedenti gradi di giudizio.

I fatti di causa
Una società proponeva istanza di revocazione della sentenza della Ctr Toscana, che aveva accolto l'appello dell'Agenzia delle entrate, presentato contro la sentenza della Ctp, la quale aveva, a sua volta, in primo grado, annullato l'avviso di accertamento ai fini Iva, emanato a carico di tale compagine societaria.

Le eccezioni della società
A fondamento dell'istanza di revocazione, la società rilevava che i giudici di secondo grado - in accoglimento dell'appello dell'amministrazione finanziaria - si erano basati esclusivamente sulle dichiarazioni rese da un soggetto in sede di verifica fiscale.
In particolar modo, secondo la ricostruzione della difesa sociale, tale dichiarante avrebbe affermato che alcune lavorazioni venivano effettuate "presso" la sede di altra società collegata, mentre i giudici di seconda istanza, stravolgendo, a suo dire, il significato delle dichiarazioni rese dal suddetto teste, avrebbero ritenuto che tali lavorazioni erano effettuate "da" altra società: tale errore valutativo in ordine alla prova dichiarativa avrebbe avuto quale conseguenza l'accoglimento dell'appello.

La contribuente, in sede revocatoria, riproponeva in modo dettagliato il contenuto delle affermazioni del testimone, con l'intento di definirne gli esatti confini ed evidenziava compiutamente, per tale via, gli elementi probatori dai quali desumere l'effettività dei rapporti commerciali tra la stessa società e quella collegata, sottolineando (il ritenuto) errore interpretativo del giudice d'appello nella valutazione del materiale probatorio offerto, rispetto al differente vaglio interpretativo operato dai giudici di primo grado.

La sentenza dei giudici toscani
La Ctr, tuttavia, disattende le doglianze della società contribuente.
Nello specifico, la Commissione evidenzia come la giurisprudenza di legittimità sia granitica nell'affermare che il giudizio di revocazione non può essere equiparato in alcun modo a un giudizio di terza istanza, volto a rivalutare il materiale probatorio acquisito nei precedenti gradi di giudizio.
A conferma di tale impostazione viene richiamata una recente pronuncia (cfr Cassazione, 8828/2017), secondo cui "l'errore di fatto, quale motivo di revocazione della sentenza ai sensi dell'articolo 395 n. 4 c.p.c., deve consistere in una falsa percezione di quanto emerge dagli atti sottoposti al suo giudizio, concretatasi in una svista materiale su circostanze decisive, emergenti direttamente dagli atti con carattere di assoluta immediatezza e semplice e concreta rilevabilità, con esclusione di ogni apprezzamento in ordine alla valutazione in diritto delle risultanze processuali. Ne consegue che il vizio con il quale si imputi alla sentenza un'erronea valutazione delle prove raccolte è, di per sé, incompatibile con l'errore di fatto, essendo ascrivibile non già ad un errore di percezione, ma di un preteso errore di giudizio".

In applicazione del principio di diritto appena richiamato, l'istanza di revocazione viene rigettata.
Nella fattispecie concreta sottoposta al vaglio della Commissione, difatti, la società chiedeva una rilettura e una rivalutazione delle dichiarazioni del teste in relazione alle prove documentali raccolte in sede istruttoria, già oggetto di una diversa valutazione dei giudici di seconda istanza rispetto a quelli di prima istanza, "rivalutazione di terza istanza che non è propria del giudizio di revocazione", a parere della Ctr.

Osservazioni conclusive
La revocazione, istituto processuale previsto dagli articoli 395 e seguenti cpc, mira a ottenere una nuova valutazione della controversia da parte dello stesso giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata, alla luce di circostanze non valutate o non correttamente valutate al momento della decisione. Come noto, si tratta di un mezzo di impugnazione "a critica vincolata", in quanto, mediante il suo esperimento, possono essere fatti valere soltanto i motivi tassativamente indicati dall'articolo 395 cpc.

La dottrina, tradizionalmente, distingue la revocazione in "ordinaria" (nn. 4 e 5 dell'articolo 395 cpc) e "straordinaria" (nn. 1, 2, 3 e 6 del medesimo articolo) in relazione all'incidenza o meno, ai fini della sua esperibilità, del passaggio in giudicato della sentenza impugnata.
In altre parole, la revocazione ordinaria si fonda su vizi palesi, rilevabili dalla lettura della sentenza impugnata, mentre la revocazione straordinaria è giustificata dalla presenza di vizi occulti, conosciuti eventualmente dopo il passaggio in giudicato del provvedimento giurisdizionale.

Il numero 4 dell'articolo 395 cpc, che giustifica la revocazione della sentenza ove la stessa sia stata emanata in conseguenza di un errore di fatto risultante dagli atti o dai documenti di causa, non può essere tuttavia applicato - per pacifico orientamento giurisprudenziale di legittimità, richiamato anche dalla pronuncia in commento - all'attività di valutazione delle prove, siano esse documentali o dichiarative, offerte nel corso dei vari gradi di giudizio.
La disposizione è chiara nel senso di riconoscere tale tipologia di errore soltanto allorché la decisione sia fondata sulla scorta di un fatto incontestabilmente falso ovvero allorquando non sia stato considerato un fatto assolutamente vero, sempre che - in entrambe le ipotesi - tali fatti non abbiano espressamente rappresentato un punto controverso oggetto di discussione tra le parti.

Orbene, la diversa attività di valutazione delle prove - alla luce dell'articolo 116 cpc - è basata sul principio del libero convincimento del giudice, che implica la possibilità di discostarsi dagli esiti ermeneutici raggiunti nel precedente grado di giudizio, senza che ciò possa configurare alcun tipo di errore (di fatto o di diritto) nella valutazione probatoria, idoneo a giustificare la revocazione della sentenza. Il potere discrezionale riconosciuto al magistrato incontra, difatti, il solo limite costituito dalla necessità di adeguata motivazione in ordine alla rilevanza, attendibilità estrinseca e concludenza delle prove offerte dalle parti in giudizio.
 
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