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Giurisprudenza

Il richiamo al verbale della Gdf
non viola l’obbligo di motivazione

L’ufficio non ha arrecato alcun pregiudizio al contraddittorio ma ha semplicemente condiviso le conclusioni del pvc cui fa riferimento, elementi peraltro già noti al contribuente

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L’avviso di accertamento che nella motivazione opera un richiamo per relationem alle conclusioni del pvc redatto dalla Guardia di finanza non è illegittimo per mancanza di autonoma valutazione da parte dell’Ufficio degli elementi da quella acquisiti, né pregiudica il pieno esplicarsi del diritto di difesa dell’interessato.
Questo, in breve, il principio confermato dalla V sezione della Cassazione con l’ordinanza n. 19381 del 17 settembre 2020, dove è stato altresì ribadito che l’adesione dell’Ufficio alle valutazioni dell’organo verificatore non impone che siano esposti anche i motivi per i quali non sono accolte le contrarie argomentazioni addotte dall’interessato.

La vicenda processuale
Un contribuente impugnava dinanzi alla Commissione tributaria provinciale un avviso di accertamento per l’anno 2006.
L’istante rilevava che il richiamo per relationem, contenuto nell’atto, al processo verbale stilato dalla Guardia di finanza che aveva proceduto alla verifica fiscale nei suoi confronti, doveva considerarsi illegittimo per violazione delle norme che impongono all’Ufficio di motivare i propri atti, e perché privo di adeguate valutazioni in merito alle puntuali doglianze che essa parte aveva esternato nel corso dell’istruttoria.
La pronuncia di primo grado, sfavorevole alla parte privata, veniva confermata dalla Ctr Abruzzo con la sentenza n. 505/2012.
Nel ricorso in Cassazione, il contribuente riproponeva le censure non accolte nei gradi di merito, denunciando la non conformità a legge del relativo decisum.

La pronuncia della Corte
Nel respingere il gravame, i giudici di legittimità hanno ribadito l’orientamento secondo il quale l’avviso di accertamento che nella motivazione faccia rinvio “per relationem” alle conclusioni contenute nel verbale redatto dalla Guardia di finanza nell’esercizio dei poteri di polizia tributaria non è illegittimo per mancanza di autonoma valutazione da parte dell’Ufficio degli elementi da quella acquisiti.
Piuttosto, precisa la pronuncia, detto rinvio va interpretato nel senso che l’Ufficio, condividendo le conclusioni dell’atto cui fa riferimento, “ha inteso realizzare una economia di scrittura che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio”.
Tale motivazione, sottolineano poi i giudici, è sufficiente a individuare la causa giustificativa del recupero a tassazione in relazione al contenuto dell’atto richiamato, senza che da ciò derivi una lesione del diritto di difesa del contribuente, diritto che può esplicitarsi “sia negando i fatti costitutivi della pretesa fiscale, sia contrastando le risultanze dell’atto impositivo mediante acquisizione di ulteriore documentazione e di altri elementi probatori idonei a dimostrare la insussistenza della pretesa fiscale”.
Anche l’ulteriore profilo con il quale la parte asseriva l’illegittimità dell’atto perché, a suo dire, nel momento in cui aderisce alle conclusioni della Guardia di finanza, l’Ufficio dovrebbe necessariamente motivare le ragioni per cui non accoglie quelle della parte, è stato ritenuto non fondato in quanto, spiegano gli Ermellini, l’adesione alle valutazioni dell’organo verificatore “non impone che, in una sorta di circolo vizioso, siano esposti anche i motivi per i quali non sono accolte quelle contrarie, posto che esse, se valide, sono idonee di per sé a sostenere la motivazione, senza che ne sia necessaria un’altra confutativa che nulla di più potrebbe apportare”.
Alla reiezione del ricorso si è accompagnata anche la condanna della parte privata al pagamento degli oneri del giudizio di legittimità.

Osservazioni
La pronuncia in commento conferma un quadro interpretativo che appare decisamente consolidato, anche da altre pronunce di legittimità intervenute in tempi recenti (da ultimo, Cassazione, sentenza  n. 16836/2020, n. 10559/2020 e n. 7662/2020).
Sull’argomento, si segnala inoltre Cassazione n. 15593/2020, la quale ha osservato che la motivazione per relationem può avvenire anche “con il rinvio pedissequo alle conclusioni contenute in un atto istruttorio (nella specie il p.v.c. della Guardia di finanza), senza che ciò arrechi alcun pregiudizio al diritto del contribuente”; ciò in quanto l’avviso di accertamento, rappresenta “l’atto conclusivo di una sequenza procedimentale a cui possono partecipare anche organi amministrativi diversi”.
In queste ipotesi, la scelta dell’Amministrazione finanziaria non può essere di per sé censurata dal giudice di merito, al quale spetta soltanto il potere di valutare se, dal richiamo globale all’atto strumentale, sia derivata un’inadeguatezza o un’insufficienza della motivazione dell’atto finale.

Di rilievo, infine, Cassazione n. 14995/2020, ove si legge che, in tema di motivazione per relationem degli atti d’imposizione tributaria, l’articolo 7, comma 1, della legge n. 212/2000 – ai sensi del quale, gli atti dell’amministrazione finanziaria “sono motivati secondo quanto prescritto dall’articolo 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, concernente la motivazione dei provvedimenti amministrativi, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione. Se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama” - non trova applicazione per gli atti di cui il contribuente abbia già avuto integrale e legale conoscenza per effetto di precedente comunicazione.
D’altra parte, spiega la medesima pronuncia, anche l’articolo 42, secondo comma, del D n. 600/1973, prevede che solo se la motivazione fa riferimento a un altro atto non conosciuto né ricevuto dal contribuente questo deve essere allegato all’atto che lo richiama, sempre fatta salva l’ipotesi che quest’ultimo non ne riproduca già il contenuto essenziale.

 

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