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Giurisprudenza

Ricorso introduttivo, termine ultimo per inoltrare proteste

L'integrazione dei motivi è ammessa solo nel caso in cui vengano depositati documenti non conosciuti

La vittoria dell'Agenzia è stata tutta una questione... preliminare. Si potrebbe sintetizzare così il risultato del ricorso promosso dall'Amministrazione e accolto dalla Commissione regionale Toscana, con la sentenza n. 23/32/08 (depositata il 27 maggio 2008). I giudici fiorentini, confermando dei principi pacificamente accettati sia in giurisprudenza che in dottrina, si sono, difatti, soffermati sull'impossibilità dell'allargamento del thema decidendum oltre i motivi contenuti nel ricorso introduttivo. Ridefinita la materia del contendere, il collegio ha, in ogni modo, riformato la sentenza impugnata, condannando la controparte alle spese di entrambi i gradi di giudizio.

I fatti di causa
L'ufficio, avendo constatato il mancato versamento di Iva e Irap, a seguito di controllo formale della dichiarazione di una società per l'anno 2000, aveva iscritto a ruolo le somme relative. La pretesa erariale veniva notificata al contribuente, tramite una cartella esattoriale, nel 2005.
La contribuente eccepiva, nel ricorso introduttivo, la decadenza della pretesa per violazione degli articoli 36-bis, Dpr 600/1973, e 25, Dpr 602/1973.

L'Agenzia, all'atto della costituzione in giudizio, evidenziava che il procedimento complessivo dell'iscrizione a ruolo, della consegna dello stesso ruolo al concessionario e della notifica della cartella al contribuente, erano avvenuti in conformità alla legge, visto che la cartella era stata notificata entro l'ultimo giorno del quarto mese successivo a quello di consegna del ruolo.

La causa non veniva posta immediatamente in decisione, causa vari rinvii, che permettevano al contribuente il deposito di tutta una serie di memorie.
In tali occasioni, la ricorrente provvedeva a integrare i motivi di ricorso originari:

  • eccependo che l'Irap iscritta a ruolo derivava dall'errata indicazione nel quadro IQ della dichiarazione, al fine del calcolo della base imponibile dell'imposta, di componenti positive che in realtà andavano escluse perché derivanti da un contratto di associazione in partecipazione, che veniva prodotto in giudizio
  • presentando, dopo la notifica del ricorso, una dichiarazione dei redditi sostitutiva di quella originariamente presentata per il 2000.

L'ufficio controdeduceva a tali memorie negando la possibilità per la società contribuente di presentare nuovi motivi di ricorso.

La Ctp, entrando nel merito della controversia, decideva di accogliere il ricorso proprio sulla base dei "nuovi motivi", dando rilievo sia al fatto che il contribuente avesse corretto l'errore commesso in dichiarazione, sia alla documentata non imponibilità, ai fini Irap, dei redditi derivanti dall'associazione in partecipazione.

Le censure in appello consistevano, da un lato, nella violazione da parte della sentenza di primo grado del divieto di introdurre nel processo nuovi motivi e, dall'altro, ribadivano la legittimità dell'operato dell'Amministrazione rispetto alle critiche formulate nel ricorso introduttivo.

Su tali basi, la Commissione regionale ha accolto l'appello dell'Agenzia, rilevando come i primi giudici avessero addirittura omesso di esaminare gli originari motivi per accogliere il ricorso sulla base delle nuove censure, con motivazione peraltro censurabile.
Infatti, il collegio ha ritenuto che, se la pronuncia fosse stata resa sull'originario thema decidendum (la pretesa tardività della notifica della pretesa erariale), la Ctp avrebbe dovuto osservare:

  • per quanto riguarda la censura prospettata sull'articolo 36-bis, che il termine previsto nel primo comma dello stesso, in base alla norma di interpretazione autentica contenuta nella legge 449/1997, è di natura ordinatoria e, quindi, il suo mancato rispetto non comporta alcuna decadenza
  • per quanto riguarda, invece, la tardiva notifica della cartella rispetto ai termini previsti dall'articolo 25 del Dpr 602/1973, che tale eccezione andava valutata alla luce della disposizione transitoria introdotta dell'articolo 1 della legge 156/2005 (in base a cui le cartelle, derivanti dai controlli formali ex articolo 36-bis, se relative a dichiarazioni presentate fino al 31/12/2001, dovevano essere notificate entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello della presentazione della dichiarazione).

In considerazione di ciò, quindi, la cartella derivante dal controllo formale della dichiarazione relativa all'anno d'imposta 2000, presentata nel 2001, doveva essere notificata entro il 31 dicembre del 2006; essa, quindi, essendo stata notificata nel 2005, risultava esente da censure di tardività.

Una motivazione in tali termini sarebbe stata più che sufficiente a fondare la decisione; tuttavia, il giudice di secondo grado ha ritenuto necessario pronunciarsi anche sul merito dei nuovi motivi, proposti in violazione delle regole processuali del giudizio tributario e ritenuti dalla Ctp idonei ad annullare la cartella di pagamento.

In particolare, i giudici, soffermandosi sul nuovo fatto dedotto nel giudizio della presentazione, dopo la notifica della cartella, di una dichiarazione rettificativa di quella originaria, che eliminava dalla base imponibile Irap i ricavi derivanti da un contratto di associazione in partecipazione, ha osservato che tale azione non era ammissibile alla luce delle norme che disciplinano la presentazione dell'Unico.
Il collegio, citando la disciplina introdotta nell'ordinamento con l'articolo 2, comma 8-bis, del Dpr 322/1998, sulla possibilità per il contribuente di rettificare a favore la dichiarazione (rectius, per correggere errori od omissioni che hanno determinato l'indicazione di un maggior reddito o di un maggior debito d'imposta), ha evidenziato che tale comportamento può essere messo in atto al massimo entro il termine di presentazione della dichiarazione dell'anno successivo.

Inoltre, la Ctr ha osservato che, nel caso sottoposto alla sua attenzione, la dichiarazione rettificativa era intervenuta addirittura dopo che l'Agenzia aveva comunicato gli esiti del controllo formale al contribuente, quindi, ben oltre i termini per un possibile ravvedimento.

Considerazioni
L'articolo 24 del Dlgs 546/1992 è chiaro nel prevedere che l'integrazione dei motivi del ricorso possa essere fatta solo quando vengano depositati, a opera delle altre parti o per ordine del giudice, documenti non conosciuti.
In tali casi, è prevista, infatti, la possibilità di inserire nel processo nuovi motivi, entro il termine perentorio di 60 giorni dal deposito dei nuovi documenti, attraverso la notifica di un atto, avente gli stessi requisiti del ricorso.

Tuttavia, va osservato che nella pratica spesso non viene seguito il "copione" della vicenda in esame (presentazione del ricorso da parte del contribuente, deposito delle controdeduzioni dell'Agenzia, aggiunta da parte del contribuente dei nuovi motivi in sede di deposito di documenti e di memorie), ma i motivi aggiunti vengono introdotti in maniera ermetica nel processo da parte del contribuente, tramite delle censure generiche all'atto impugnato.
Il riferimento è a quei casi in cui, essendo state eccepite questioni di massima, tipo la decadenza dal potere di accertamento o la carenza di motivazione del provvedimento, il contribuente censura con formule stereotipate il merito dell'atto (ad esempio, quando il contribuente afferma che i singoli rilievi sono assolutamente indimostrati nonché infondati in punto di diritto e di fatto, senza svolgere alcuna deduzione).
In tali situazioni, infatti, spesso, tramite lo strumento (previsto dall'articolo 32 del Dlgs 546/1992) delle memorie illustrative di tali motivi generici, vengono introdotti in realtà dei motivi aggiunti nel processo.

Affinché tale violazione processuale sia prontamente rilevabile da parte del giudice è consigliabile, in primo luogo, che la parte resistente svolga le proprie controdeduzioni solo sui motivi di ricorso presentati; inoltre, sarebbe preferibile che l'inammissibilità dei motivi generici venisse eccepita immediatamente in sede di costituzione in giudizio.
Il giudice, difatti, potrebbe ritenere che i motivi siano specifici proprio per il fatto che la controparte è riuscita comunque a prendere posizione su dei motivi per i quali solo in un secondo momento è stata richiesta l'inammissibilità per genericità.

Tale atteggiamento processuale è, peraltro, conforme all'orientamento della Cassazione, la quale, nella sentenza 8342/2006, ha rilevato che "l'art. 18, lett. e) del DLGS 546/1992, preve(de) quale requisito indispensabile del ricorso del contribuente l'indicazione in esso delle ragioni critiche degli elementi logici, giuridici e di fatto posti dall'amministrazione a fondamento degli atti impugnati al fine di consentire l'individuazione dell'ambito delle contestazioni. Pertanto, qualsiasi contestazione generica contenuta nel ricorso introduttivo del giudizio (nel caso concreto, il contribuente aveva prima in sede di ricorso censurato la carenza di motivazione dell'accertamento e solo in appello eccepito che gli spettasse un'esenzione), essendo inammissibile, non può essere esaminata dal giudice tributario mediante una surrettizia integrazione dei motivi del ricorso, peraltro ammissibile soltanto nei limiti e modi previsti... dall'art. 24 del DLGS 546/1992 - in base a nuove ragioni che implicano la valutazione di fatti e situazioni precedentemente non dedotti e quindi preclusa in quanto non tempestivamente formulate".

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