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Giurisprudenza

Ricorso in riassunzione, il quantum per definire la lite

Cassata la sentenza di secondo grado, non rivive l'efficacia di quella di primo grado

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Con il documento in commento (ordinanza n. 3/19/05 depositata il 21 settembre 2005) la Commissione tributaria regionale del Veneto ha avuto modo di pronunciarsi su due importanti aspetti relativi all'esatta applicazione della norma contenuta nell'articolo 16 delle legge n. 289/2002, che ha consentito ai contribuenti di definire, a domanda, le liti fiscali pendenti dinanzi alle commissioni tributarie o al giudice ordinario, in ogni grado del giudizio e anche a seguito di rinvio.

In particolare, le questioni affrontate dal Collegio riguardano:

  1. la corretta determinazione delle somme dovute ai fini della definizione nel caso in cui il giudizio, giunto innanzi alla Corte di cassazione, sia stato riassunto innanzi alla Commissione tributaria regionale alla quale la suprema Corte abbia fatto rinvio nella propria sentenza
  2. l'efficacia del condono nell'ipotesi in cui il contribuente abbia presentato istanza di definizione in termini, con versamento integrale della prima rata e parziale delle successive.

Con riferimento al primo aspetto, l'articolo 16 della legge n. 289/2002 dispone che, nell'ipotesi di liti di valore superiore a 2.000 euro, l'importo dovuto ai fini della definizione varia in funzione dell'esito dell'ultima pronuncia giurisprudenziale resa alla data di presentazione dell'istanza di condono (50 per cento in caso di esito favorevole all'Amministrazione finanziaria e 10 per cento nel caso opposto), con la precisazione che, nell'ipotesi in cui alcuna pronuncia sia stata resa a tale data, il quantum dovuto è pari al 30 per cento del valore della lite.

Ciò posto, con l'ordinanza in commento, i giudici si sono pronunciati in ordine al giusto importo (se il 30 per cento del valore della lite come voluto dall'Amministrazione finanziaria o il 10 per cento come, invece, sostenuto dai contribuenti appellanti) da versare al fine di definire un giudizio in cui, dopo le pronunce di primo e secondo grado favorevoli al contribuente, c'era stata la sentenza della suprema Corte, conclusasi con la cassazione con rinvio della pronuncia di appello e il successivo ricorso di riassunzione innanzi alla Commissione tributaria regionale del Veneto, alla quale la Corte aveva rinviato.

In proposito, i giudici si sono espressi nel senso di ritenere applicabile nel caso di specie la percentuale del 30 per cento del valore della lite, dovuta nell'ipotesi di assenza di pronunce giurisdizionali rese alla data di presentazione dell'istanza di definizione. E ciò in quanto, a giudizio del Collegio, non può essere attribuita efficacia alla sentenza di primo grado resa nel corso del processo (con cui, tra l'altro, i primi giudici avevano ritenuto meritevoli di accoglimento le argomentazioni dei contribuenti); tale sentenza, infatti, è stata - proseguono i giudici di secondo grado - assorbita e sostituita da quella di secondo grado, a sua volta annullata, ovvero cassata dalla suprema Corte.

Le argomentazioni esposte dai giudici veneti trovano riscontro nella giurisprudenza della suprema Corte, che in più occasioni ha avuto modo di pronunciarsi sugli effetti prodotti dall'annullamento con rinvio di una sentenza di appello, precisando come, cassata la sentenza di secondo grado, non rivive l'efficacia di quella di primo grado.

E vi è di più. Nel caso in cui le parti non provvedano nei termini di legge all'uopo stabiliti (ovvero un anno e 46 giorni dalla pubblicazione della sentenza della Cassazione) alla riassunzione del processo innanzi alla Commissione tributaria alla quale la suprema Corte abbia fatto rinvio, si verifica l'estinzione dell'intero processo, con salvezza dell'atto originariamente impugnato in primo grado (avviso di accertamento, avviso di liquidazione o ogni altro atto autonomamente impugnabile ai sensi dell'articolo 19 del Dlgs 546/92). Cosa diversa accade, invece, nell'ipotesi di mancata impugnazione di una sentenza di primo o secondo grado, che, con il passaggio in giudicato, si consolida nei contenuti, spiegando i propri effetti giuridici sull'atto originariamente impugnato.
Ciò, quindi, a ulteriore dimostrazione che, in costanza di un intervento della Cassazione che nel rendere la propria pronuncia abbia cassato con rinvio alla Ctr, perde di efficacia la precedente sentenza resa in primo grado; ne deriva che "non essendo, pertanto in presenza di una efficace sentenza di primo grado, si ritiene applicabile il numero 3 della lettera b) dell'art. 16" (ovvero il 30 per cento sul valore della lite quale importo dovuto ai fini della definizione di una lite contraddistinta dalla mancanza di pronunce rese alla data dell'istanza di definizione della controversia).

Con riferimento al secondo punto, nella fattispecie sottoposta all'attenzione della Ctr del Veneto, i contribuenti hanno versato la prima delle sei rate dovute in misura pari a un sesto dell'importo complessivamente dovuto ai fini della definizione (stabilito inizialmente in misura pari al 30 per cento del valore della controversia), per poi procedere a versare in un'unica soluzione l'eccedenza, liquidata adottando la percentuale del 10 per cento del valore della lite.
Il diniego di definizione della lite è stato impugnato innanzi alla Commissione tributaria regionale del Veneto che, in proposito, ha precisato che il versamento, entro la scadenza di legge prevista, dell'unica o prima rata della somma dovuta ai fini della definizione - che nel caso di specie è stato acclarato essere pari al 30 per cento del valore della lite - costituisce condizione sufficiente ai fini della validità della definizione, fermo restando il diritto dell'Amministrazione finanziaria al recupero delle rate successive non pagate del tutto o in parte.
Ne deriva che, nella specie, il diniego di definizione risulta privo di legittimità.

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