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Giurisprudenza

Rimborso Iva, quando 2+2 non fa quattro

Il contribuente intendeva superare i limiti temporali posti per la proposizione dell'istanza

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Nel 2004 aveva chiesto un rimborso Iva "auto aziendali" e, combinando una disposizione del decreto Iva con un'altra del Dlgs sul contenzioso tributario (rispettivamente gli articoli 19, primo comma, Dpr 633/1972, e 21 del Dlgs 546/1992), pensava di averne diritto a partire dal 2000. La Ct di primo grado di Trento - sentenza n. 133 del 22 gennaio 2008 - non ha però assecondato la sua tesi: il rimborso spettava limitatamente al biennio precedente l'istanza.

La vicenda

Nel 2004, una società aveva inviato all'ufficio di Cavalese un'istanza di rimborso Iva.
La società aveva in proprietà delle auto, definite "da turismo" e descritte come "indispensabili all'attività imprenditoriale". Dal punto di vista fiscale, le spese d'acquisto e di utilizzo di quelle auto dovevano essere considerate "inerenti l'attività". Ne conseguiva il diritto alla detrazione dell'Iva pagata. Diritto non esercitato tempestivamente e che si intendeva far valere, nel 2004, non solo in riferimento al biennio precedente (come previsto dall'articolo 21 del Dlgs 546/1992) ma anche per gli anni addietro, a ritroso fino al 2000.

Considerato il silenzio dell'ufficio locale come "diniego tacito", la società nel luglio 2006 presentava un ricorso, argomentando l'illegittimità dell'articolo 19-bis1, lettere c) e d), del Dpr 633/1972 e rivendicando il diritto al rimborso oltre il termine previsto dall'articolo 21 del Dlgs 546/1992, pur agendo ai sensi della stessa norma.

Sul primo punto, la società affermava che l'introduzione e il mantenimento dell'indetraibilità oggettiva dell'Iva per l'acquisto e la manutenzione delle auto "da turismo" ledeva il diritto alla detrazione sul quale è fondato il sistema "imposta sul valore aggiunto". Nel ricorso si faceva presente come la Corte di giustizia Ue avesse chiarito già nel 1999 che "il diritto alla detrazione…non può essere soggetto a limitazioni…Le deroghe (nazionali) al diritto alla detrazione Iva devono essere interpretate restrittivamente". "Restrittivamente" nel senso che uno Stato Ue può limitare la detraibilità dell'Iva solo osservando scrupolosamente i principi della sesta direttiva: ragioni congiunturali (articolo17, paragrafo 7), di semplificazione o per evitare frodi o evasioni fiscali (articolo 27). A parere della società, nel caso in esame, l'indetraibilità dell'Iva sulle auto da turismo non era, quindi, in alcun modo giustificato.

Ma la difesa di parte non si esauriva qui.
La ricorrente, infatti, portava alla luce anche la sentenza della Corte di giustizia Ue "Metropol-Treuhand e Stadler", dalla quale si evince che uno Stato membro può essere autorizzato ad adottare misure temporanee (di indetraibilità dell'Iva) dirette a ovviare a una situazione congiunturale in cui si trova la sua economia in un determinato momento. La società trentina faceva notare come lo Stato italiano dal 1979 avesse prorogato di anno in anno, Finanziaria dopo Finanziaria, l'indetraibilità dell'Iva. Ragioni congiunturali che durano da più di 25 anni?
A questo andava aggiunto anche che l'Italia aveva cominciato a inanellare una serie di deroghe alla detraibilità dell'Iva senza la preventiva consultazione del "Comitato Iva", avvenuta solo nel 1981.

Infine, dopo tutta una serie di valutazioni critiche sul modo in cui la materia del diritto alla detrazione dell'imposta sul valore aggiunto era stata trattata nell'arco di due decenni, la società ricordava che l'incompatibilità dell'articolo 19-bis1 del Dpr 633/1972 con la sesta direttiva Iva era già stata riconosciuta dalla Ctp di Milano con la sentenza 115/47/05.
In ogni eventualità, al fine di ottenere una statuizione di principio, la società sollevava la questione innanzi alla Corte di giustizia Ue.

Sul secondo punto, la società dichiarava di avvalersi dell'articolo 21 del Dlgs 546/1992. Per cui, a rigore, il rimborso avrebbe dovuto riguardare l'Iva non detratta nel biennio precedente la presentazione dell'istanza all'ufficio, avvenuta nel 2004. La ricorrente, invece, arrivava ad argomentare che l'Iva da rimborsarle doveva, come detto, essere quella "divenuta esigibile a far data dal 1 gennaio 2000". Questo in virtù di un ragionamento del "2+2". Cioè, ai due anni di tempo previsti dal citato articolo 21 ("la domanda di restituzione, in mancanza di disposizioni specifiche, non può essere presentata dopo due anni dal pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione"), la società sommava anche i due anni previsti dall'articolo 19, primo comma, del Dpr 633/1972, in base al quale il diritto alla detrazione "può essere esercitato, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto a detrazione è sorto".

Praticamente, il "2+2" sarebbe stato giustificato dal fatto che "secondo la giurisprudenza di legittimità, il dies a quo [il giorno iniziale da cui decorre il diritto al rimborso] sarebbe quello in cui la somma oggetto di richiesta di rimborso è entrata nelle disponibilità del fisco". In altri termini, se non fosse esistito l'articolo 19-bis1, lettere c) e d), del Dpr 633/1972, la detrazione Iva sulle auto avrebbe potuto essere esercitata a far data dal 2000.

La difesa dell'ufficio
Con memoria dell'agosto 2006, l'ufficio di Cavalese ribatteva nel merito dei punti sollevati dalla società.

Relativamente all'articolo 19-bis1 del Dpr 633/1972, l'ufficio ricordava il carattere molto restrittivo dell'articolo 17 della sesta direttiva (molto più restrittivo dell'articolo 19-bis1), con la previsione di detraibilità solo per beni utilizzati direttamente nell'attività economica; le spese per l'acquisto di autovetture (da turismo) non impiegate attivamente per la produzione sarebbero spese di rappresentanza e, come tali, con Iva indetraibile.

Tra l'altro, per l'ufficio, il fatto di richiamare l'illegittimità dell'articolo 19-bis1 a nulla valeva, dato che le auto "da turismo" sarebbero comunque tra quei beni esclusi dalla detrazione in base alla direttiva Iva europea. La concreta inerenza delle auto rispetto all'attività economica svolta non era stata, poi, adeguatamente provata. In effetti, quelle auto "da turismo" (Jaguar 3.2 cc e Chrysler Grand Cherokee 4.7 cc) avrebbero potuto essere utilizzate anche per fini privati, comunque diversi da quelli aziendali.

Riguardo all'articolo 21 del Dlgs 546/1992, l'ufficio eccepiva la decadenza del diritto al rimborso per i pagamenti effettuati prima del 7 luglio 2002, considerato il fatto che la società aveva presentato istanza di rimborso il 7 luglio 2004. Cioè, semplicemente, il diritto al rimborso Iva vantato dalla società valeva solo per il biennio 2002-2004 e non a far data dal 2000, come paventato a conclusione della complessa argomentazione del "2+2".

La conclusione
In conclusione (senza considerare l'illegittimità del controverso articolo 19-bis1 del Dpr 633/1972 dichiarata dalla Corte di giustizia europea - causa C-228/05 - con susseguente emanazione del Dl 258/2006), i giudici, pur ritenendo che la prova della "non inerenza" dovesse essere portata dall'ufficio, non hanno potuto che sancire come l'articolo 21 del Dlgs 546/1992 desse diritto alla società di estendere la sua pretesa al rimborso fino al 6 luglio 2002 (l'istanza era stata presentata il 7 luglio 2004). Per l'Iva versata e non detratta prima del 7 luglio 2002, andando fino al 2000, non c'è argomentazione in punta di diritto del "2+2" che tenga. E su questo, la Commissione tributaria di primo grado di Trento ha confermato la posizione dell'ufficio delle Entrate.
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