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Giurisprudenza

Riscossione a tempo di prescrizione
se l’ultima parola tocca al giudice

Quando la contesa tributaria arriva in tribunale e si giunge al “verdetto” finale, è definitivamente superata la fase amministrativa e, con essa, i termini di decadenza

sveglia
Qualora la legittimità dell’accertamento del reddito sia definitivamente decisa dal giudice, la cartella di pagamento, contenente le somme dovute, può essere notificata, ai sensi dell’articolo 2953 cc, entro l’ordinario termine decennale di prescrizione. L’articolo 25, comma 1, lettera c), del Dpr 602/1973 si applica solo per gli accertamenti definitivi per mancata impugnazione.
Questo è l’importante principio contenuto nella sentenza n. 18/40/12 della Ctr di Milano, del 20 gennaio.
 
Fatto
A seguito di una pronuncia favorevole della Corte di cassazione depositata nel 2007, l’ufficio aveva iscritto a ruolo quanto dovuto dal contribuente e la consequenziale cartella era stata notificata, a mezzo del servizio postale, nel mese di luglio 2009, quindi entro il termine di cui all’articolo 25 del Dpr 602/1973.
L’esito della notifica era stato negativo, perché le Poste avevano comunicato che il destinatario “era risultato” trasferito (in realtà, la sede del contribuente - una società di persone - era stata fissata presso lo studio di un commercialista, ma questa domiciliazione non era mai stata comunicata all’Agenzia). Il concessionario della riscossione, sempre a mezzo del servizio postale, rinotificava, a febbraio 2010, allo stesso indirizzo, la cartella, che questa volta veniva consegnata al destinatario.
 
Il contribuente impugnava la cartella eccependo la tardiva notifica, perché effettuata (febbraio 2010) oltre il termine previsto dall’articolo 25 del Dpr 602/1973.
L’ufficio, oltre a replicare che, ai fini del termine di decadenza, occorreva fare riferimento, in virtù della scissione soggettiva dell’efficacia della notificazione (articoli 149 cpc, 60 Dpr 600/1973 e 16, ultimo comma, Dlgs 546/1992), alla notifica avvenuta nel mese di luglio, in ogni caso rilevava che anche la consegna effettuata a febbraio fosse nei termini, perché la riscossione dei tributi accertati e definitivi a seguito di sentenza passata in giudicato, è soggetta alla prescrizione ordinaria e non al termine di decadenza stabilito dall’articolo 25.
 
La decisione
I giudici di Milano, dopo avere rilevato che “manca la certezza della domiciliazione per cause ascrivibili all’odierna appellante”, perché il contribuente (avendo nel corso del giudizio chiarito che la sede legale fosse ubicata presso lo studio di un commercialista) non aveva mai comunicato, né all’Agenzia né all’Esatri, ai sensi dell’articolo 60, lettera d), del Dpr 600/1973, l’elezione di domicilio presso lo studio professionale (né era stato provato che al numero civico indicato come sede legale vi fosse unicamente il domicilio dello studio professionale), hanno, in ogni caso, ritenuto che la notifica della cartella di pagamento, relativa ad accertamenti impugnati e divenuti definitivi con sentenza passata in giudicato, sia soggetta al termine di prescrizione e non di decadenza.
La Commissione tributaria regionale ha innanzitutto affermato che, nel caso in esame, “non siamo in presenza della fase amministrativa, nell’ambito della quale vige il disposto ex art. 25 comma 1 lettera c) dpr 602/1973….detta fase concerne l’emissione di cartelle a seguito di avvisi divenuti definitivi per mancata impugnazione entro i termini stabiliti dalla legge”.
Conseguentemente, ha chiarito che “nella fattispecie vige la normativa concernente la fase processuale…trova applicazione l’art. 68 D.Lgs. 546/92, che non contiene alcun specifico riferimento al termine di prescrizione del diritto alla riscossione a seguito di sentenza passata in giudicato, quindi l’ente impositore farà riferimento al principio generale ex art. 2953 che sancisce il termine di prescrizione decennale”.
A conferma di quanto deciso, i giudici hanno richiamato la Suprema corte a sezioni unite (sentenza 25790/2009) che, tra l’altro, aveva così argomentato: “…Nella specie….non si discute più di eventuali decadenze, che attengono alla fase amministrativa esaurita…nella specie non siamo in presenza dell’attività di esecuzione di un atto amministrativo di accertamento divenuto definitivo, perché manca il presupposto dell’acquiescenza all’atto stesso da parte del destinatario”.
 
Il commento
L’accertamento del diritto dell’Amministrazione all’esazione dei tributi, allorquando sia stato sub iudice e si ancori, conseguentemente, a una sentenza, trova fondamento in un provvedimento giurisdizionale e non rientra più nell’ambito di applicazione dell’articolo 25 del Dpr 602/1973 (fase squisitamente amministrativa e quindi precontenziosa), ma in quella dell’articolo 68 del Dlgs 546/1992, ai sensi del quale è la sentenza il presupposto che legittima l’iscrizione a ruolo della somma giudizialmente accertata.
 
La lettura dell’articolo 25, infatti, dà conferma di quanto appena assunto.
La norma dispone che: “Le cartelle di pagamento relative alle imposte sui redditi devono essere notificate:… c) entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello in cui l'accertamento è diventato definitivo, per le somme dovute in base agli accertamenti.
 
Poiché, però, l’articolo 68 non contiene alcun riferimento specifico al termine di prescrizione del diritto alla riscossione a seguito di sentenza passata in giudicato, l’ente impositore dovrà far riferimento al principio generale dell’actio iudicati di cui all’articolo 2953 cc (termine generale di prescrizione decennale).
Questa conclusione trova ampio respiro nella sentenza della Corte di cassazione n. 25790/2009 (conformi, Cassazione 1967/2005 e 1339/2001).
Con questa pronuncia le sezioni unite sono state chiamate a chiarire definitivamente se, rispetto alle sanzioni tributarie, trovasse o meno applicazione l’articolo 2953 del codice civile.
Lo specifico riferimento al tema delle sanzioni non deve trarre nell’equivoco di ritenere la pronuncia lontana dal tema in discussione poiché, come si legge in sentenza, il dubbio – in ordine all’operatività del noto principio di diritto romano dell’actio iudicati – in seno al Supremo organo residuava solo rispetto all’atto di irrogazione delle sanzioni, essendo di contro pacifica la sua applicazione rispetto all’obbligazione dei tributi (imposte comprese).
 
In particolare, il giudice di legittimità ha affermato che “.....il titolo in base al quale l'Ufficio vittorioso agisce iure esecutionis non è più l'atto che conteneva la domanda di imposta bensì la pronuncia del giudice...”.
Questa forza sostitutiva che si attribuisce alla sentenza (totale o parziale che sia) è il naturale corollario della natura del processo tributario. Se è vero, come è vero, che il giudizio tributario ha natura di impugnazione-merito, va da sé che, in questa sede, il giudice conosce del merito della pretesa fiscale che, se ritiene condivisibile, “consacra” nella sentenza. Il diritto di credito vantato dall'Amministrazione (e veicolato dall’avviso di accertamento) viene definitivamente accertato, nell’an e nel quantum, nella sentenza, la quale, diventata res iudicata, va portata a esecuzione.
In conclusione, quindi, si può dire che l’articolo 25 del Dpr 602/1973, nel prevedere termini decadenziali per provvedere all’iscrizione a ruolo, non può trovare spazio in ipotesi di riscossione a seguito di giudicato.
 
Fa propendere per questa conclusione anche un altro elemento, finora non considerato.
La decadenza legale costituisce sempre un istituto eccezionale in quanto deroga al principio generale, secondo il quale l’esercizio dei diritti soggettivi non è sottoposto a limiti e il titolare può esercitarli quando vuole, come e dove gli pare opportuno. Quindi le norme che stabiliscono decadenze non sono suscettibili di analogia.
In ossequio ai principi costituzionali e di civiltà giuridica, in materia tributaria, ogni decadenza deve essere espressamente prevista, sicchè, in mancanza di esplicita previsione, l’atto può essere compiuto dall’interessato fino a quando ciò non gli venga precluso dalla sopravvenuta prescizione del relativo diritto.
 
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