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Giurisprudenza

Ritenuta “nazionale” alle royalties
se il vero partner non è di Singapore

L’Agenzia ha correttamente ritenuto di assoggettare le somme non all’aliquota prevista dalla convenzione contro le doppie imposizioni visto che il fornitore della città-Stato emetteva solo le fatture

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La Corte di giustizia tributaria di I grado di Torino ha chiarito, con la sentenza n. 136 del 14 febbraio 2023, in linea con principio di diritto n. 5/20023 dell’Agenzia delle entrate, che i corrispettivi pagati dalla società italiana di distribuzione di software al fornitore di Singapore, semplice intermediario di una società Usa, non sono qualificabili come business profits, ma come canoni e licenze soggetti alla ritenuta d’imposta. La stessa Corte ha altresì precisato che le relative royalties, in quanto pagate a una mera “conduit”, devono essere assoggettate alla ritenuta interna del 30% e non a quella convenzionale Italia-Singapore del 15 per cento.

In “armonia” con il principio di diritto dell’Agenzia
In questa era “digitale” risulta importante individuare una corretta qualificazione della natura dei compensi corrisposti per l'uso o la concessione in uso di software. Al riguardo, su questa rivista, a inizio marzo, è stata effettuata una puntuale analisi (vedi articolo “Diritti d’autore per uso di software. Riflessioni sulla potestà impositiva”), che trae origine dal principio di diritto n. 5/2023, pubblicato dall’Agenzia delle entrate.

In detto principio viene chiarito che:

  • l'articolo 2, n. 8, della legge sul diritto di autore include tra le opere protette “i programmi per elaboratore, in qualsiasi forma espressi purché originali quale risultato di creazione intellettuale dell'autore”
  • ai sensi dell'articolo 23, comma 2, lettera c) del Tuir, i compensi percepiti per l'utilizzazione di opere dell'ingegno si considerano prodotti nel territorio dello Stato, se corrisposti da soggetti ivi residenti o da stabili organizzazioni nel territorio stesso di soggetti non residenti
  • l'articolo 25 del Dpr n. 600/1973 stabilisce che i compensi di cui all'articolo 23, comma 2, lettera c), del Tuir, corrisposti a non residenti, sono soggetti a una ritenuta del 30% a titolo di imposta sulla parte imponibile del loro ammontare.

Tramite il medesimo principio l’Amministrazione finanziaria ha spiegato che, nel caso in cui esista una normativa convenzionale, la stessa dovrebbe prevalere rispetto all'ordinamento nazionale, come previsto dall'articolo 169 del Tuir e dall'articolo 75 del Dpr n. 600/1973, come confermato anche dalla giurisprudenza costituzionale.

Nello stesso periodo in cui è stato pubblicato il principio di diritto 5/2023, la Corte di giustizia tributaria di I grado di Torino ha fornito utili precisazione con la sentenza in commento.

Fatti di causa
L’Amministrazione finanziaria ha contestato a un distributore di prodotti software l’omessa effettuazione e versamento di ritenute alla fonte a titolo di imposta sui corrispettivi pagati per le licenze fatturate dal proprio fornitore di Singapore. Più precisamente il distributore italiano avrebbe applicato l’aliquota prevista dalla Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra l’Italia e Singapore, pari al 15%, invece dell’aliquota domestica del 30% prevista dall’articolo 25, comma 4 del Dpr 600/1973.

Dalla lettura della sentenza emerge che i prodotti informatici venivano venduti da un famoso gruppo americano per il tramite di una società controllata di Singapore, che appariva anche comproprietaria dei relativi diritti immateriali.
Dall’attività istruttoria è emerso che i corrispettivi pagati al fornitore della città-Stato asiatica rappresentavano royalties, da assoggettare, conseguentemente, a ritenuta.
Dall’analisi della sentenza si rileva che l’Amministrazione finanziaria ha contestato l’assoggettamento dei canoni alla ritenuta alla fonte domestica del 30%, prevista dal suindicato articolo 25, comma 4 del Dpr n. 600/1973, perché la ritenuta prevista dalla Convenzione contro le doppie imposizioni Ita-Sing non sarebbe stata applicabile in quanto il fornitore di Singapore non poteva essere il beneficiario effettivo delle royalties.
Quest’ultima conclusione si basa sul fatto che il distributore italiano aveva intrattenuto tutti i rapporti commerciali con il gruppo americano e non con la società controllata di Singapore, la quale si sarebbe limitata solamente all’emissione delle fatture fiscali.

Decisione della Corte di giustizia tributaria
I giudici di merito hanno rilevato che l’attività svolta dal distributore italiano si riferiva alla vendita di software che venivano utilizzati in progetti complessi sviluppati sulle singole esigenze dei clienti finali, quindi la distribuzione si riferiva a prodotti altamente personalizzati alle richieste aziendali del committente, conseguentemente i compensi corrisposti al titolare dei diritti di autore non potevano essere qualificati come business profit, ovvero redditi d’impresa, ma come canoni e royalties da assoggettare a ritenuta.
Risulta importante sottolineare che i giudici, per qualificare il corrispettivo come royalties, non hanno tenuto in considerazione, correttamente, se i diritti acquisiti dal distributore comprendevano anche il “diritto di riprodurre il programma stesso”, ossia il diritto di intervenire sul software potendovi apportare delle modifiche.

Un altro elemento interessante analizzato dai giudici di Torino si riferisce al fatto che il contribuente ha eccepito la pretesa nullità degli atti impugnati, in quanto in contrasto con una risposta a un interpello qualificatorio, presentato ai sensi dell’articolo 11 dello Statuto del contribuente dal fornitore di Singapore.

Al riguardo, in prima battuta i giudici hanno chiarito che l’ufficio accertatore ha ampiamente dimostrato che la questione oggetto dell’istanza fosse difforme dalla concreta realtà imprenditoriale constatata durante l’attività istruttoria, conseguentemente viene meno l’efficacia vincolante della risposta all’interpello, come ampiamente chiarito nella circolare 9/E del 2016. In seconda battuta è stato spiegato che eventualmente l’efficacia vincolante della risposta all’interpello potrebbe essere eccepita dal fornitore di Singapore, ovvero il contribuente che ha presentato l’interpello e non dal distributore italiano in ragione della diversità soggettiva dei contribuenti coinvolti.

Sicuramente di interesse è la decisione relativa all’applicabilità dell’aliquota convenzionale in sostituzione di quella domestica.
Visto che il fornitore di Singapore si è limitato alla mera emissione delle fatture fiscali, i giudici di merito qualificano il fornitore come “una mera società c.d. conduit che svolge una funzione di intermediaria nella riscossione delle royalties […] perseguendo una politica di pianificazione organizzativa e fiscale”.
I giudici ritengono non sufficiente che i bilanci del fornitore di Singapore indichino costi del lavoro dipendente e che abbia degli utili di esercizio, infatti scrivono “non dimostra che le operazioni commerciali siano imputabili a tale società, ma che tali operazioni siano attribuite alla società all’interno del Gruppo allo scopo di una pianificazione fiscale”, quindi il fornitore non può essere considerato il beneficiario effettivo e conseguentemente le royalties devono scontare la ritenuta domestica pari al 30 per cento

Conclusioni
Il mese scorso l’Agenzia delle entrate, con il principio di diritto n. 5, ha richiamato il paragrafo 12.2 dell’articolo 12 del Commentario al modello Ocse, il quale chiarisce che i diritti sui programmi di computer rappresentano una forma di proprietà intellettuale.
Lo stesso commentario, al paragrafo 13.1 evidenzia che i corrispettivi pagati per l'acquisizione di diritti parziali sul diritto d'autore, ovvero riferiti trasferimenti non totali del diritto d'autore, rappresentano un canone per il quale il corrispettivo viene riconosciuto per la concessione del diritto di usare il programma in casi in cui l'utilizzo del programma costituirebbe una violazione del diritto d'autore.
Invece, il paragrafo 14.4 sottrae dal campo di applicazione delle ritenute i contratti di mera distribuzione di programmi informatici. L’Italia, in relazione a quest’ultima interpretazione, ha espresso riserve (vedasi paragrafo 31.2) poiché ritiene che il paragrafo 14.4 vada applicato case by case e neppure in tutti i casi di “mera distribuzione”.

In estrema sintesi, il principio di diritto n. 5/2023 sottolinea che i canoni relativi alle licenze per riprodurre e distribuire al pubblico un software che incorpora il programma protetto dal diritto d'autore o per modificare e diffondere in pubblico il programma, sono corrisposti per lo sfruttamento di diritti che altrimenti apparterrebbero esclusivamente al titolare del diritto di autore, conseguentemente devono essere soggetti a ritenuta d’imposta, in base alla ripartizione della potestà impositiva eventualmente prevista dalle singole convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia.

Dello stesso tenore è la sentenza della Corte di giustizia tributaria di I grado di Torino, nella quale viene riconosciuto che i corrispettivi pagati per la distribuzione di software non sono qualificabili come business profits, ma come canoni e licenze soggetti a ritenuta d’imposta. I giudici di prime cure hanno altresì chiarito che se le royalties vengono pagate a una cosiddetta conduit le stesse devono essere assoggettate alle ritenute domestiche pari al 30 per cento.

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