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Giurisprudenza

La ritrattazione della dichiarazione
non blocca l’accertamento fiscale

La successione può essere sempre rettificata, ma quando ciò avviene in contenzioso, non basta ridimensionare il valore originariamente dichiarato, vanno prodotte prove

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La modifica della dichiarazione fiscale, effettuata successivamente alla notifica dell’avviso di rettifica dell’ufficio, non fa venire meno il potere di accertamento dell’Agenzia delle Entrate che può, quindi, individuare un imponibile superiore a quello dichiarato.
A precisarlo è la Corte di cassazione con la sentenza n. 23000 del 13 dicembre.
 
I fatti di causa
La vicenda riguarda l’impugnazione di un avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate rettificava il valore degli immobili caduti nella successione del dante causa di un contribuente.
 
La Commissione tributaria regionale, in riforma della sentenza di primo grado, annullava l’avviso di rettifica impugnato.
In particolare, i giudici di secondo grado ritenevano che l’ufficio non poteva procedere alla rettifica del valore degli immobili, in quanto il contribuente si era avvalso del disposto di cui all’articolo 34, comma 5, del Dlgs n. 346/1990, secondo il quale “Non sono sottoposti a rettifica il valore degli immobili iscritti in catasto con attribuzione di rendita dichiarato in misura non inferiore, per i terreni, a settantacinque volte il reddito dominicale risultante in catasto e, per i fabbricati, a cento volte il reddito risultante in catasto, aggiornati con i coefficienti stabiliti per le imposte sui redditi, né i valori della nuda proprietà e dei diritti reali di godimento sugli immobili stessi dichiarati in misura non inferiore a quella determinata su tale base a norma dell'art. 14…”.
Inoltre, secondo i giudici d’appello, l’errore contenuto nell’originaria denuncia di successione – in cui il valore dei cespiti caduti in successione era stato dichiarato moltiplicando la relativa rendita catastale per il coefficiente 100 (vigente fino al 31 dicembre 2003), invece che 110 (in vigore dall’1 gennaio 2004; articolo 2, comma 63, della legge 350/2003) – doveva ritenersi un mero errore materiale che era stato poi emendato in sede di ricorso giurisdizionale, in quanto il contribuente aveva chiesto che l’imposta di successione venisse ricalcolata su un imponibile determinato moltiplicando le rendite catastali per 110.
 
Avverso tale pronuncia proponeva ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, la quale censurava la violazione degli articoli 31, 33 e 34 del Dlgs n. 346/1990, in quanto i giudici di secondo grado avrebbero considerato emendabile, senza alcuna precisazione, la dichiarazione di successione dopo la notifica dell’atto impositivo. In sede di legittimità, il contribuente non si costituiva in giudizio.
 
La motivazione
Con la sentenza n. 23000/2012, la Corte di cassazione, nell’accogliere il ricorso del Fisco e conseguentemente nel cassare con rinvio la sentenza impugnata, ha ribadito l’orientamento giurisprudenziale formatosi in materia di emendabilità della dichiarazione fiscale.
 
Più precisamente, nel richiamare l’indirizzo ermeneutico espresso dalle sezioni unite con sentenza n. 14088/2004, la Cassazione ha precisato che “la dichiarazione di successione, come ogni dichiarazione fiscale, può essere ritrattata e modificata, anche dopo la scadenza del termine fissato nell’art. 31 del decreto legislativo n. 346/90” e che “la… mancata osservanza (del termine, n.d.r.) può comportare solo l’applicazione delle sanzioni di cui agli artt. 50 e seguenti dello stesso decreto”.
Tuttavia, per quel che riguarda gli effetti della modifica della dichiarazione, è stato precisato che gli stessi risultano diversi a seconda che tale modifica abbia luogo prima della notificazione dell’avviso di liquidazione della maggiore imposta oppure dopo.
Infatti, nel primo caso “l’Ufficio è tenuto a rispettare le risultanze della correzione, fermo restando l’esercizio dei suoi poteri in ordine ai valori emendati, ma con onere della prova a carico dell’Amministrazione”.
Nel secondo caso, invece, “pur non potendo considerarsi precluso l’esercizio della facoltà di correzione, quest’ultima, venendo necessariamente ad operare in sede contenziosa, pone a carico del contribuente l’onere di dimostrare la correttezza della modifica proposta (in tal senso, si vedano le sentenze 5361/06, 20852/07, 6609/11)”.
 
In particolare, con sentenza 10 marzo 2006, n. 5361, è stato, a chiare lettere, evidenziato che “la dichiarazione è utilmente emendabile… solo se intervenga prima dell’avviso di rettifica e liquidazione dell’imposta. Solo in tal caso, potrà sostenersi che l’Ufficio deve rispettare le risultanze della rettifica, con salvezza dei suoi poteri in ordine ai valori emendati dalla parte privata e con onere della prova a carico dell’Amministrazione finanziaria. Ma non è questa l’ipotesi… in esame, giacché il potere di emendare è stato in concreto esercitato dopo la notifica dell’avviso di liquidazione, formulato sulla base dei dati non ancora corretti. Tale rilievo… mentre non vale ad incidere sulla legittimità della (già avvenuta) liquidazione, non può precludere la facoltà del contribuente di rettificare l’errore: ma, venendo necessariamente ad operare in sede contenziosa, lascia a carico di quest’ultimo tutti gli oneri di dimostrazione sulla correttezza della rettifica proposta”.
 
Pertanto, se il valore degli immobili caduti in successione viene dichiarato di importo inferiore a quello risultante dall’applicazione dell’articolo 34, commi 5 e 7, del Dlgs n. 546/1992, lo stesso può essere sottoposto a rettifica. È fatta comunque salva la possibilità, per il contribuente, di modificare, in fase contenziosa, il valore dei cespiti originariamente dichiarato, così come resta fermo il potere del giudice di accertare l’effettivo valore imponibile, “apprezzando le prove e le argomentazioni rispettivamente addotte dal contribuente e dall’Agenzia delle entrate a sostegno delle rispettive valutazioni di detto valore”.
 
Il principio enunciato dalla Suprema corte
Il principio della modificabilità, in ogni tempo, delle dichiarazioni fiscali consente di ritrattare le dichiarazioni stesse, anche dopo la notifica dell’atto impositivo, ma non consente di collegare alla ritrattazione l’effetto di paralizzare ex post il potere di accertamento dell’Agenzia.
Ciò in quanto “quando permanga una differenza tra i nuovi valori indicati in fase contenziosa dal contribuente (modificativi di quelli contenuti nella originaria dichiarazione di successione) e i valori indicati nell’avviso di rettifica dell’Ufficio, il giudice deve procedere, sulla scorta delle allegazioni e delle prove dedotte in giudizio dalle parti, all’accertamento di merito del valore imponibile”.

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