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Giurisprudenza

La rivalutazione civilistica
apre la strada a quella fiscale

Secondo le disposizioni introdotte con la legge di Stabilità 2014, l’operazione deve assumere necessariamente valenza anche ai fini tributari con l’applicazione dell’imposta sostitutiva

impresa

L’effettuazione di una rivalutazione civilistica dei beni d’impresa ai sensi della legge n. 147/2013 comporta anche una rivalutazione fiscale. Legittimo l’avviso di accertamento con il quale si recuperava l’imposta sostitutiva e veniva irrogata la sanzione per infedele dichiarazione. E’ questo il principio desumibile dalla sentenza n. 78/2019 emessa dalla Commissione tributaria di I grado di Trento.
 
I fatti di causa
Nel corso di un controllo da parte dell’Agenzia delle entrate, emergeva che una società aveva provveduto a effettuare contabilmente una rivalutazione di immobili ai sensi della legge n. 147/2013. In particolare, il comma 140 della citata disposizione prevede che è possibile “anche in deroga all’art. 2426 del codice civile e ad ogni altra disposizione di legge vigente in materia, rivalutare i beni d’impresa … ad esclusione degli immobili alla cui produzione o al cui scambio è diretta l’attività di impresa, risultanti dal bilancio dell’esercizio in corso al 31 dicembre 2012”.
Nel provvedimento impugnato, l’Ufficio aveva fatto leva sul disposto di cui al comma 143 della legge in commento a mente del quale “Il maggior valore attribuito ai beni in sede di rivalutazione si considera riconosciuto ai fini delle imposte sui redditi e dell’imposta regionale sulle attività produttive a decorrere dal terzo esercizio successivo a quello con riferimento al quale la rivalutazione è stata eseguita, mediante il versamento di un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e dell’imposta regionale sulle attività produttive e di eventuali addizionali nella misura del 16 per cento per i beni ammortizzabili e del 12 per cento per i beni non ammortizzabili”.
Pertanto l’Ufficio, coerentemente con quanto precisato nella circolare 13/2014, facendo proprio leva sul modo e sul tempo – indicativo presente (“si considera”) – aveva ritenuto che l’effettuazione (facoltativa) di una rivalutazione civilistica avrebbe comportato automaticamente l’effettuazione (a questo punto obbligatoria) anche di una rivalutazione fiscale con conseguente obbligo di versamento dell’imposta sostitutiva.
Pertanto veniva emesso avviso di accertamento con il quale si recuperava l’imposta sostitutiva non dichiarata (e non versata) e veniva irrogata la sanzione per infedele dichiarazione.
 
La parte si era costituita in giudizio sostenendo che l’effettuazione della sola rivalutazione civilistica era possibile in quanto espressamente prevista nella precedente legge di rivalutazione, articolo 15 del Dl 185/2008, ritenuta simile in quanto a ratio legis.
In secondo luogo, il riferimento all’articolo 2426 del codice civile contenuto nella legge 147/2013 era indice del fatto che la disposizione aveva una valenza eminentemente civilistica.
Infine si evidenziava che, poiché la norma disponeva che il maggior valore si considera riconosciuto ai fini fiscali solo con il versamento dell’imposta sostitutiva, in assenza del predetto versamento l’unica conseguenza sarebbe il mancato riconoscimento dei maggiori valori fiscali, ferma restando la validità civilistica dei nuovi maggiori valori rivalutati.
 
Il giudice di prime cure, respingendo tutte le argomentazioni del ricorrente, ha dato ragione all’ufficio sottolineando come la disposizione contestata (legge 147/2013) e quella richiamata da controparte (Dl 185/2008) “hanno un contenuto letterale diverso e quindi attribuire loro la stessa ratio legis significherebbe porsi inammissibilmente in contrasto con la lettera legis”. Infatti, sebbene il comma 16 del Dl 185/2008 attribuiva ai soggetti ivi indicati la facoltà di rivalutare i beni di impresa utilizzando modalità testuali molto simili a quelle usate dalla legge 147/2013, il successivo comma 20 disponeva che “il maggior valore attribuito ai beni in sede di rivalutazione può essere riconosciuto…”. Risulta pertanto evidente la differenza di formulazione tra il Dl 185/2008 che con il termine “può” attribuisce una facoltà e la legge 147/2013 che con il termine “si considera” attribuisce, senza alcun dubbio, un obbligo; in altre parole, una volta esercitata la facoltà di effettuazione di una rivalutazione civilistica diventa obbligatoria anche quella fiscale.
 
La motivazione della sentenza è ancora più interessante in quanto il giudice, per sottolineare ancora una volta l’obbligatorietà di effettuare il versamento dell’imposta sostitutiva connessa alla rivalutazione fiscale divenuta obbligatoria una volta optato per quella civilistica, si sofferma anche sulle finalità delle disposizioni che consentono le rivalutazioni; infatti viene evidenziato che la disciplina dettata dalla legge 147/2013, al pari di altre rivalutazioni ad eccezione di quella prevista dal Dl 185/2008, è stata concepita “non solo al fine di consentire alle società di effettuare le rivalutazioni dei beni d’impresa … per contrastare gli effetti negativi derivanti dalla congiuntura economico-finanziaria, ma anche allo scopo di incrementare il gettito fiscale attuato attribuendo carattere oneroso alla facoltà di rivalutazione”.
 
Nelle conclusioni della sentenza, infine, vengono escluse che ci siano obiettive condizioni di incertezza tali da consentire la disapplicazione delle sanzioni, come richiesto in subordine da controparte.
Inoltre viene evidenziato anche che “il contribuente ha consapevolmente contraddetto le indicazioni che l’Amministrazione Finanziaria aveva, in modo congruo e logico, illustrato nella circolare AE 4.6.2014, n. 13/E la quale è stata emanata in epoca antecedente le date di scadenza dei tre termini previsti dall’art. 1 co. 145 L. 147/2013 per il versamento delle tre rate dell’imposta sostitutiva”.
 

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