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Giurisprudenza

Sala d’attesa per il rimborso Iva
dell’accusato di frode fiscale

Legittimo lo stop cautelare adottato dall’ufficio in difesa degli interessi dell’Erario. Si tratta comunque di una sospensione in pendenza di giudizio e non di diniego

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Con l’ordinanza 7630 del 25 marzo, la Cassazione ha stabilito che, in virtù dell’articolo 38-bis, comma 3, del Dpr 633/1972, l’Amministrazione può legittimamente sospendere l’esecuzione di un rimborso Iva, qualora, a carico dell’istante, sia stato instaurato un procedimento penale per l’emissione o l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti; tale misura ha natura cautelare in quanto perdura sino all’esito conclusivo del procedimento stesso quando, a seconda dell’esito, può sfociare in un diniego definitivo o, nel caso di assoluzione, nell’erogazione del rimborso.

 
La vicenda processuale
La vicenda giudiziaria riguarda l’impugnazione, da parte di una società, della comunicazione di sospensione del rimborso Iva del terzo trimestre del 2005.
L’Agenzia delle Entrate giustificava tale sospensione in considerazione della pendenza di un procedimento penale, per frode fiscale, nei confronti dell’amministratore della società istante, con riferimento al quale non era stata ancora emessa alcuna pronuncia favorevole passata in giudicato, ma era stato richiesto il rinvio a giudizio da parte del pubblico ministero.
 
La Commissione tributaria provinciale accoglieva il ricorso proposto dal contribuente con sentenza che, successivamente, veniva confermata dal giudice di secondo grado. In particolare la Ctr rilevava che “l’atto impugnato doveva intendersi come rifiuto di rimborso, e quindi era impugnabile” e che “l’imposta andava rimborsata, pur nell’incertezza se la contribuente avesse o meno prestato la garanzia, costituita da cauzione o fideiussione, sicché in caso positivo l’agenzia sarebbe stata ugualmente tutelata”.
 
Avverso la decisione d’appello proponeva ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, deducendo la violazione e/o la falsa applicazione dell’articolo 19 del Dlgs 546/1992, che contempla il novero degli atti impugnabili dinanzi al giudice tributario, nonché il vizio di motivazione della sentenza.
In particolare, con riferimento al primo motivo di ricorso, l’ufficio rilevava che l’atto contestato era una comunicazione di sospensione di un rimborso, peraltro obbligatoria, e non un rifiuto di rimborso in senso stretto: conseguentemente, non poteva ritenersi un atto impugnabile. Con il secondo motivo di ricorso, l’Agenzia evidenziava che la sospensione doveva perdurare sino all’esito del processo penale, in quanto solo sulla base di una sentenza definitiva di condanna poteva essere emanato il rifiuto di rimborso.
Resisteva con controricorso la società, medio tempore fallita, a mezzo del curatore.
 
La sentenza della Cassazione
Con l’ordinanza 7630/2013, la Cassazione, nell’accogliere il ricorso del Fisco, ha fornito alcuni chiarimenti sia in ordine alla proponibilità dell’azione giudiziale, per quel che riguarda il novero degli atti impugnabili, sia in ordine alla legittimità del provvedimento di sospensione del rimborso in pendenza di un procedimento penale nei confronti del contribuente.
 
In particolare, con riferimento al primo motivo di ricorso, la Corte suprema ha precisato che l’elencazione degli atti impugnabili individuati dall’articolo 19 del Dlgs 546/1992, per quanto tassativa, vada interpretata in senso estensivo “fino a comprendervi ‘le notizie’ o ‘note’ comunicate dall’Ufficio che, pur non rivestendo l’aspetto formale proprio di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili, portino comunque a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa, suscitandone l’interesse (inteso con riferimento all’art. 100 cod. proc. civ.) a chiederne il controllo di legittimità in sede giurisdizionale, come la comunicazione di sospensione del rimborso in via cautelativa… (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 17010 del 05/10/2012 n. 16100 del 22/07/2011 n. 7344 del 2012)”. La Corte richiama a questo proposito la giurisprudenza (tutt’altro che pacifica, a dire la verità) formatasi in materia di avvisi bonari ex articolo 36-bis del Dpr 600/1973.
 
I giudici di legittimità hanno, invece, ritenuto fondato il secondo motivo di ricorso per cassazione. Più nello specifico, hanno osservato che l’articolo 38-bis, comma 3, del Dpr 633/1972 - concernente la sospensione dell’esecuzione dei rimborsi Iva fino alla definizione del procedimento penale instaurato a carico dell’istante per utilizzazione e/o emissione di fatture per operazioni inesistenti - “delinea un meccanismo sospensivo solo in relazione alle ipotesi in cui sia stato instaurato, a carico dell’istante medesimo, un procedimento penale… ed assolve alla funzione di tutelare l’interesse dell’Erario a recuperare, in via di autotutela, quanto eventualmente sarebbe stato percepito indebitamente dal contribuente… (V. pure Cass. Sentenza n. 15532 del 11/08/2004)”.
La sospensione del rimborso costituisce, peraltro, “una legittima facoltà dell’amministrazione estesa a tutte le ipotesi di applicabilità di sanzioni anche di altra natura, giusta la novella introdotta col D.Lgs. n. 472/97”. Infatti, l’articolo 23 del Dlgs 472/1997, “nel fissare il principio generale della sospensione dei pagamenti di crediti in favore dei contribuenti autori di violazioni finanziarie, raggiunti da atti di contestazione o irrogazione di sanzioni, ancorché non definitivi, fa riferimento a qualsiasi tipo di pagamento, e quindi anche a quello in argomento, ed ha, quindi, implicitamente abrogato, quale norma successiva, avente rango non inferiore ed identica funzione cautelare alla precedente, l’art. 38 bis del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, che limitava la possibilità dell’amministrazione di sospendere l’erogazione di rimborsi alla sola ipotesi di contestazione di specifici reati” (vedi anche Cassazione, sentenza 16535/2010).
 
Alla luce delle considerazioni che precedono, la Corte di cassazione, nel decidere la causa nel merito, ai sensi dell’articolo 384, secondo comma, del codice di procedura civile, ha rigettato il ricorso introduttivo proposto dalla società contribuente, condannandola al pagamento delle spese di lite.
 
Ulteriori considerazioni
Chiamata a pronunciarsi sull’ambito di applicazione dell’articolo 23 del Dlgs 472/1997 e, in generale, sulla sospensione dei pagamenti a opera dell’Amministrazione finanziaria, la giurisprudenza di legittimità ha stabilito che, prevedendo un efficace sistema di garanzie per il recupero di quanto indebitamente versato dall’Erario, la disposizione dell’articolo 38-bis del decreto Iva, in tema di rimborsi accelerati, prevale su quella in materia di fermo amministrativo (riguardante, tra l’altro, rapporti tra più pubbliche amministrazioni), escludendo così la possibilità di sospendere l’esecuzione dei pagamenti al di fuori della specifica ipotesi (relativa alla contestazione di reati ben determinati) di cui al suindicato articolo.
Nel caso affrontato, però, la Corte (con un provvedimento di rigetto del ricorso dell’Agenzia delle Entrate, Cassazione sentenza 10199/ 2003) chiariva che la decisione sarebbe stata diversa se fosse stato possibile applicare la disposizione, di portata generale, di cui all’articolo 23 (ritenuta non applicabile, ratione temporis, alla fattispecie esaminata).
 
Tale principio è stato confermato e sviluppato da successive pronunce che hanno ritenuto che la diposizione contenuta nell’articolo 23 abbia implicitamente abrogato l’articolo 38-bis nella parte in cui ricollega soltanto alla contestazione di alcuni specifici reati la possibilità di sospensione dell’esecuzione dei rimborsi su cauzione.
L’articolo 15 delle disposizioni sulla legge in generale, conformemente a una posizione già espressa dalla dottrina, non a caso ha previsto, accanto all’abrogazione espressa, quella implicita per incompatibilità fra le nuove diposizioni e le precedenti o perché la nuova legge regola l’intera materia già disciplinata dalla legge anteriore (lex posterior derogat priori).
 
L’articolo 23 del Dlgs 472/1997 deve essere letto come norma generale, riferita a qualsiasi tipo di pagamento, concedendo all’Amministrazione finanziaria la possibilità di sospenderne l’esecuzione per il solo fatto dell’avvenuta emissione di un atto di contestazione o irrogazione sanzioni. Essendo una norma successiva a quella relativa all’articolo 38-bis, avente rango non inferiore e di identica funzione cautelare, deve concludersi per l’abrogazione implicita di quest’ultima e per l’applicazione generalizzata di tale facoltà.
 
Né varrebbe l’obiezione per cui il criterio di specialità prevarrebbe sempre su quello cronologico. Tale antinomia non può essere risolta in astratto, ma in concreto, ovvero interpretando di volta in volta la volontà del legislatore. Si è cioè affermato (Cassazione, sezione lavoro, sentenza 4420/1995) che il principio lex posterior generalis non derogat priori speciali non può valere e deve cedere all’applicazione della legge successiva ogni qual volta dal contenuto di quest’ultima si evinca la volontà di abrogare quella speciale anteriore ovvero emerga una inconciliabilità tale da rendere inconcepibile la coesistenza delle due normative.
 
Nel caso di specie, non sembrano esservi dubbi sulla prevalenza del successivo articolo 23 nel quadro di una maggior tutela della collettività e dell’Erario che, a fronte di una richiesta di rimborso, non ha soltanto l’interesse a recuperare gli eventuali pagamenti non dovuti, ma anche quello a non effettuare inutili anticipazioni, con pregiudizi non sempre scongiurabili dal sistema di garanzie previsto dall’articolo 38-bis.
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