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Giurisprudenza

Sale and leaseback infragruppo: semaforo rosso dalla Suprema corte

Elusione e abuso di diritto. E’ quanto i giudici hanno riscontrato nell’operazione presa di mira dal Fisco

semaforo

Il leasing di beni ammortizzabili tra due società del medesimo gruppo d'imprese, privo di ragioni economiche, realizza una elusione tributaria. L'ammonimento è della Cassazione (sentenza 8481 dell'8 aprile).

Il caso
A una società veniva notificato un avviso di accertamento per recuperare canoni di leasing relativi ad alcune operazioni. La società era stata costituita con lo scopo di investire i finanziamenti infruttiferi richiesti ad altre società del gruppo; la stessa, quindi, acquistava l'intero capitale sociale di una srl, trasformandola in spa, aumentandone il capitale sociale. Grazie a esso, acquistava beni strumentali da compagini del gruppo, concedendoli in leasing ad altre.

L'interpretazione dell'Amministrazione finanziaria
Lo scopo di tali operazioni, ad avviso dell'ufficio, era esclusivamente quello di trarne vantaggi economici, finanziari e fiscali. Tali benefici sarebbero consistiti nella possibilità di effettuare ammortamenti dei beni acquistati (già ammortizzati dalle società utilizzatrici, e per giunta valutati non secondo bilancio, ma a valore di mercato) e nella possibilità di aggirare le norme che regolano i conferimenti e l'acquisto di beni di proprietà della società. L'operazione avrebbe così permesso alle società implicate di chiudere i bilanci con notevoli perdite. Attraverso lo strumento negoziale atipico del sale and lease-back, si sarebbe, pertanto, realizzata un'ipotesi di contratto contra legem.

La posizione della società
Ad avviso della società, l'infondatezza delle conclusioni dell'ufficio sarebbero derivate dall'insussistenza dei presupposti di fatto che costituiscono la necessaria premessa dell'accertamento fiscale, nonché dall'infondatezza della argomentazioni in diritto: occorre distinguere gli effetti del contratto dalla causa negoziale e riconoscere che gli effetti del contratto, quando si traducono in un risparmio d'imposta, non hanno nulla a che vedere con l'illiceità della causa e possono formare oggetto di contestazione fiscale solo in presenza di specifiche disposizioni normative tributarie. In pratica, dalla liceità civilistica del negozio di leasing discenderebbe, automaticamente, anche la sua liceità tributaria.

La decisione della Cassazione
La questione consiste nel domandarsi se sono tributariamente leciti i contratti di leasing di beni ammortizzabili stipulati tra due società del medesimo gruppo.
In base all'articolo 1322, comma 1, cc, se è vero che, nel pieno esercizio della libertà contrattuale, è possibile alle parti utilizzare anche figure atipiche di contratto, è altrettanto vero che il legislatore ha voluto che tali figure contrattuali atipiche debbano pur sempre essere dirette a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico.

Anche un lecito risparmio fiscale costituisce un interesse meritevole di tutela, ma la società ha posto in essere una serie di operazioni, tutte apparentemente lecite, il cui scopo finale è stato, tuttavia, quello di utilizzarle per riuscire, nelle pieghe dell'ordinamento giuridico, a ottenere un risparmio fiscale che, attraverso più limpidi canali, mai si sarebbe potuto realizzare.

Un primo elemento che fa ritenere quanto posto in essere non meritevole di tutela è che, nel caso di specie, tutti i beni oggetto di leasing non erano più ammortizzabili. La società, però, ha detratto i canoni di locazione finanziaria e quella di leasing ha potuto, nuovamente, porre in ammortamento tali beni; tale operazione, apparentemente lecita, non è meritevole di tutela perché il legislatore fiscale, con le quote di ammortamento, non concede tale possibilità di risparmio.

In altre parole, l'abuso di diritto realizzato attraverso l'operazione infrasocietaria di lease back si è manifestato sia nella detrazione dei canoni di locazione finanziaria da parte della società di gruppo locataria, sia nel rinnovato ammortamento da parte della società di gruppo locatrice dei beni oggetto di leasing, senza che, data l'appartenenza di entrambe le società al medesimo gruppo, si sia realizzato l'effetto economico proprio e caratterizzante della locazione finanziaria, ovvero una maggiore disponibilità di denaro.

Inoltre, prosegue la Cassazione, il leasing di beni ammortizzabili tra due società del medesimo gruppo è privo di ragioni economiche e realizza una elusione tributaria. Se una società di leasing è emanazione totale di un'altra, non esiste una contrapposizione giuridica di interessi tra la società che concede i beni in locazione finanziaria e la società che paga i relativi canoni; così i beni oggetto di leasing potrebbero anche essere stimati a valore di mercato (massimo potenziale valore) anziché di bilancio, situazione inaccettabile se la compagnia di leasing non fosse stata emanazione della prima società. L'identificazione tra società concedente e società beneficiaria del leasing ha completamente stravolto il contratto di sale and lease back che sarebbe, altrimenti, lecitamente utilizzabile.

L'equivalenza tra liceità civilistica e liceità tributaria dell'attività negoziale è, poi, contraddetta in via di principio dalla divisione nei due sub-sistemi normativi e dalla autonomia con cui il sistema tributario giudica l'elusione tributaria e l'abuso del diritto, potendo investire anche atti di autonomia privata leciti dal punto di vista civilistico.

Ulteriori considerazioni
L'elusione tributaria e il connesso abuso di diritto si realizzano, nella fattispecie in esame, in quanto si riconosca rilevanza tributaria all'unità sostanziale del gruppo di società. Il lease back su beni ammortizzabili di una società di uno stesso gruppo realizza un abuso del diritto e tale abuso ha fondamento in un principio costituzionale non scritto di divieto di utilizzazione di norme fiscali di favore per fini diversi da quelli per cui esse sono state create (cfr Cassazione, sentenza 30055/2008).

La prospettiva dell'autonomia delle società di gruppo rispetto al gruppo di società, imperniata sullo schermo della personalità giuridica delle singole compagini non è più accolta né dalla dottrina commercialistica, né dalla giurisprudenza di legittimità.

In dottrina è ormai affermata la concezione secondo la quale assume una posizione centrale l'impresa, che è eretta a punto di riferimento sostanziale della normativa, a prescindere dalla persona del suo titolare. Ne deriva una rilevanza giuridica unitaria anche del gruppo di società, superando il limite che potrebbe derivare dallo schermo delle personalità giuridiche delle singole società.

In giurisprudenza, poi, l'irrilevanza di tale schermo è fatta valere anche a proposito della conoscenza dello stato d'insolvenza ai fini della revocatoria fallimentare. In questo senso, la Cassazione (sentenza 6285/1995) ha affermato che "gli "schermi" costituiti dalla personalità giuridica e dall'autonomia patrimoniale delle singole società non escludono la possibilità che la conoscenza dello stato di insolvenza delle società del gruppo, o di una loro consistente parte, abbia contribuito, con altri elementi indiziari, a formare nel terzo la consapevolezza dello stato di decozione della società che ha compiuto l'atto della cui revocabilità si discute".

 

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