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Giurisprudenza

Scaricare la colpa non funziona:
l’assist è delle norme tributarie

Va sanzionato il contribuente, anche se denuncia il professionista che ha omesso di presentare la sua dichiarazione. Dalla legge gli strumenti per tutelarsi prima

dito puntato
Con la sentenza 133/11/2011 del 21 ottobre, i giudici della Commissione tributaria provinciale di Firenze hanno affermato che, anche laddove sia provata “la denuncia presentata dalla società ed il rinvio a giudizio del professionista autore della condotta criminosa contestata … tali fatti non sono però sufficienti ad eliminare la responsabilità della ricorrente”, non essendo possibile invocare l’esimente di cui all’articolo 6, comma 3, del Dlgs 472/1997, in base al quale “… il contribuente non è punibile quando dimostra che il pagamento del tributo non è stato eseguito per fatto denunciato all’A.G. ed addebitabile esclusivamente a terzi”.
 
Nel caso all’esame dei giudici di primo grado, in particolare:
  1. la società aveva omesso di presentare la dichiarazione
  2. all’omissione della dichiarazione seguiva per l’ufficio, ex lege, la possibilità di procedere ad accertamento induttivo, avvalendosi dunque di presunzioni semplici non assistite dai requisiti di gravità, precisione e concordanza (ex articolo 2729 c.c.)
  3. la società, in sede di contraddittorio per accertamento, non aveva prodotto la documentazione richiestale dall’ufficio al fine di acquisire eventuali giustificazioni in ordine a eventuali motivi di recupero di minori imposte rispetto a quelle emergenti dai criteri utilizzati in sede accertativa.
 
Il ricorrente sosteneva dunque che tutta la colpa (della omessa dichiarazione, della mancata presentazione della documentazione richiesta, eccetera) non era stata sua, ma solo del professionista che gli teneva la contabilità, contro il quale, infatti, aveva anche presentato querela per truffa.
A parere del contribuente, pertanto, non essendo l’inadempimento tributario dovuto a causa a lui imputabile, non gli dovevano essere applicate le sanzioni.
 
Secondo la Commissione, però, questa linea difensiva non era accoglibile.
A parte il fatto che neppure veniva indicato come era poi andato a finire il procedimento penale eventualmente avviato a carico del professionista “incriminato”, tuttavia anche tale giustificazione non poteva esimere il contribuente dalla responsabilità (fiscale) delle sanzioni correlate al mancato pagamento dell’imposta dovuta.
A prescindere, infatti, dalle eventuali responsabilità penali o civilistiche, ciò di cui il contribuente era chiamato a rispondere, con l’accertamento impugnato, era esclusivamente la responsabilità fiscale di quanto da lui dovuto a titolo di imposta per l’anno relativamente al quale aveva omesso di presentare la dichiarazione.
La sanzione posta a carico del soggetto inadempiente era, dunque, conseguenza automatica e proporzionale al tributo evaso.

Nell’invio telematico delle dichiarazioni fiscali da parte dell’intermediario (professionista), del resto, sussiste una autonoma e specifica forma di responsabilità riscontrabile a carico dello stesso.La buona fede del contribuente (anche laddove fosse stata provata e nel caso di specie non lo era) non lo mette, quindi, al riparo dalle conseguenze accertative ai fini fiscali.
Accade spesso, infatti, di assistere a contenziosi in cui il contribuente impugna l’avviso di accertamento, sostenendo di essere stato vittima del proprio commercialista, il quale, senza plausibile giustificazione, non ha trasmesso in via telematica al competente ufficio la dichiarazione dei redditi. Il contribuente sostiene, sempre, in questi casi, di essere all’oscuro del mancato invio e in perfetta buona fede.
L’assenza di colpa (comunque da dimostrarsi) dovrebbe allora condurre a suo avviso all’illegittimità dell’accertamento.
A prescindere o meno dalla connivenza con il proprio professionista, il contribuente però, come detto, non può in questi casi esimersi dal pagare quanto dovuto, anche a titolo di sanzioni.
L’intermediario risponderà, infatti, per le proprie violazioni e sarà sottoposto alle specifiche sanzioni previste; ma queste saranno comunque diverse rispetto a quelle a carico del contribuente, solo soggetto di imposta e unico “referente” di fronte all’Erario.
 
L’omessa trasmissione della dichiarazione da parte degli intermediari abilitati costituisce, difatti, una violazione autonoma, che soggiace alla sanzione amministrativa da 516 a 5.164 euro per ogni dichiarazione non trasmessa (articolo 7-bis del Dlgs 241/1997).
Per tali violazioni, laddove commesse ripetutamente, sono previste, inoltre, delle pene accessorie.
L’articolo 8, lettera f), del Dm 31 luglio 1998 (regolamento recante indicazioni sulle modalità tecniche per la trasmissione telematica delle dichiarazioni) dispone, per esempio, in tal caso anche la revoca dell’abilitazione.
 
Al tempo stesso, però, in presenza di dichiarazione omessa, quale anche quella nel caso in esame, oltre a comminare a carico del professionista le suddette sanzioni, l’ufficio è legittimato a determinare induttivamente l’imposta dovuta dal contribuente sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza.
E a nulla vale, per il contribuente, eccepire la propria buona fede.
 
Va ricordato, infatti, che, proprio in caso di invio telematico delle dichiarazioni, l’articolo 3, comma 6, del Dpr 435/2001, stabilisce che le banche e gli uffici postali rilasciano, anche se non richiesta, ricevuta di presentazione della dichiarazione.
Gli intermediari, contestualmente alla ricezione della stessa o dell’assunzione dell’incarico per la sua predisposizione, devono poi rilasciare al contribuente o al sostituto di imposta l’impegno a trasmettere in via telematica all’Agenzia delle Entrate i dati contenuti nella dichiarazione, nonché, entro trenta giorni dal termine previsto per la presentazione in via telematica, la stessa dichiarazione trasmessa e la copia della comunicazione dell’Agenzia di ricezione della dichiarazione.
Il comma 9, poi, stabilisce che i contribuenti e i sostituti di imposta, che presentano la dichiarazione in via telematica, direttamente o tramite i soggetti di cui ai commi 2-bis e 3, devono conservare, per il periodo previsto dall’articolo 43 del Dpr 600/1973, la dichiarazione debitamente sottoscritta, nonché i documenti rilasciati dal soggetto incaricato di predisporre la dichiarazione.
Infine, al comma 10, è previsto che la prova della presentazione della dichiarazione è data dalla comunicazione dell’Agenzia delle Entrate attestante l’avvenuto ricevimento della dichiarazione presentata in via telematica.
 
Insomma, il legislatore si è premurato di evitare che i contribuenti si potessero nascondere dietro la “scusa” che erano all’oscuro del mancato invio e ha, a tal fine, predisposto specifici obblighi a carico degli stessi, tra cui appunto quello di conservare copia della comunicazione dell’Agenzia di ricezione della dichiarazione, sola prova dell’avvenuta presentazione.
 
Se, perciò, fino all’entrata in vigore del Dpr 435/2001, il contribuente, sotto il profilo della responsabilità per sanzioni, doveva solo preoccuparsi di consegnare la propria dichiarazione all’intermediario in tempo utile, perché la stessa potesse essere presentata entro i termini previsti, essendo poi esonerato da responsabilità, a seguito delle descritte disposizioni normative non ha più scuse, essendo la stessa legge a stabilire gli oneri probatori di cui si deve fare carico per essere esente da sanzioni o responsabilità (quanto meno per culpa in vigilando).
E, come noto, ignorantia legis non excusat.
 
Resta, dunque, in questi casi confermata in pieno la legittimità dell’accertamento, anche sotto il profilo della sanzione applicabile, senza dimenticare in ogni caso che, comunque, l’onere della prova in merito alla sua assenza di colpa spetta sempre al contribuente (magari previa produzione della decisione di condanna del professionista passata in giudicato).
Il contribuente, eventualmente, in questo caso, a prescindere dal giudizio tributario, potrà poi comunque esperire azione di responsabilità civile verso il professionista inadempiente.
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