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Giurisprudenza

Le scritte sulle cabine fotografiche
sono pubblicità, altro che insegne

Per la natura intrinseca dei messaggi esposti e per la non equiparabilità della struttura utilizzata a una sede aziendale, non meritano l’esenzione dalla relativa imposta

cabina fotografica

Le cabine automatiche per la riproduzione fotografica pagano l’imposta comunale di pubblicità sia perché non costituiscono sede legale o effettiva della società, e neppure sue pertinenze, sia perché i cartelli e le scritte apposte sulla macchinetta non possono essere considerati come insegna di esercizio. Lo ha chiarito la Cassazione con l’ordinanza n. 11455 del 30 aprile.
 
I fatti
Una concessionaria del comune ha notificato a una srl un avviso di accertamento per gli anni 2012, 2013, e 2014 al fine di recuperare l’imposta comunale di pubblicità non versata, relativa ai pannelli apposti sul perimetro esterno di apparecchi fotografici automatici (cabine idonee a rilasciare, con meccanismo automatizzato, foto, foto per documenti, fototessera, eccetera).
 
La contribuente ha proposto ricorso in Commissione provinciale, sostenendo che i mezzi pubblicitari (scritte e cartelli) oggetto di contestazione erano esenti da imposta (ex articolo 17, comma 1-bis, Dlgs 507/1993), in quanto, da un parte, le scritte presentavano i requisiti di dimensione (inferiori a 5 mq) propri dell’insegna di esercizio e avevano lo scopo di comunicare al pubblico l’esistenza della società, di indicare il luogo di esercizio dell’attività e di rendere noto lo specifico servizio offerto; dall’altra, le cabine erano da considerare postazioni aziendali, collocate in spazi privati e pubblici, mediante le quali la società effettuava la propria attività di erogazione del servizio ai clienti, diversamente da quanto si verificava nella sua sede legale, dove svolgeva solo attività amministrativa relativa ai servizi forniti.
 
I giudici di primo grado hanno ritenuto non applicabile l’esenzione invocata, vista la natura di messaggi pubblicitari delle scritte e la non equiparabilità delle cabine a sedi secondarie, in mancanza dei relativi requisiti (struttura organizzativa minima di beni e persone).  La pronuncia della Ctp è stata confermata dalla Commissione regionale e anche la Cassazione non ha riconosciuto l’esenzione dal tributo poiché “le cabine per fototessera e/o le postazione automatiche di distribuzione di cibi o bevande non possono essere ricondotte né al concetto di sede legale né a quello di sede effettiva di esercizio dell’attività sociale” (Cassazione, n. 11455/2019).
 
Osservazioni
La Corte ricorda che i presupposti applicativi dell’imposta comunale di pubblicità sono disciplinati dall’articolo 5, Dlgs 507/1993, con la precisazione che, ai fini dell’imposizione, “si considerano rilevanti i messaggi diffusi nell’esercizio di una attività economica allo scopo di promuovere la domanda di beni o servizi, ovvero finalizzati a migliorare l’immagine del soggetto pubblicizzato”.
E anche le ipotesi di esenzione, fissate con norma di stretta interpretazione (Cassazione, n. 27497/2014). L’articolo 17, comma 1-bis, del Dlgs 507/1993, infatti, prevede che “l’imposta non è dovuta per le insegne di esercizio di attività commerciali e di produzione di beni o servizi che contraddistinguono la sede ove si svolge l’attività cui si riferiscono, di superficie complessiva fino a cinque metri quadrati”.
 
Nella fattispecie al suo esame, la Corte è stata chiamata a valutare:
a) se le cabine automatiche in cui è possibile scattare e stampare foto possano essere considerate sede dell’attività sociale
b) se le scritte indicate sulle cabine possano o meno ritenersi insegne d’esercizio
c) se, in tale contesto, assuma rilievo la prova delle dimensioni dei mezzi pubblicitari.
 
Secondo i giudici di legittimità, la sentenza impugnata ha correttamente escluso l’applicabilità dell’esenzione invocata dalla contribuente poiché le postazioni di distribuzione automatica non potevano essere configurate quali “sedi” di svolgimento dell’attività commerciale.
Ciò per tre ragioni:
1) per il necessario coordinamento tra la norma fiscale della cui applicazione si controverte e il concetto civilistico di “sede”. Al riguardo la Corte ha chiarito che la sede delle persone giuridiche (qual è la contribuente, società di capitali avente, quindi, personalità giuridica) è quella formale (la sede legale) risultante dall’atto costitutivo e dallo statuto (articoli 46 e 16 cc), alla quale si aggiunge correntemente, per l’equiparazione a determinati effetti nei confronti dei terzi, la nozione di sede effettiva e cioè il luogo in cui hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione dell’ente, e ove operano i suoi organi amministrativi o i suoi dipendenti (Cassazione, nn. 27497/2014, 27503/2014, 13023/2015, 29086/2018 e 29088/2018). Di conseguenza, nella fattispecie esaminata, l’esenzione non può essere applicata poiché le cabine per fototessera non si identificano né con la sede legale, né con quella effettiva di esercizio dell’attività sociale, e neppure, per l’ampia diffusione territoriale delle cabine stesse, può ipotizzarsi un rapporto pertinenziale con la sede della società, non essendo configurabile un rapporto durevole di servizio tra quest’ultima e il singolo distributore
2) per il consolidarsi del recente orientamento di legittimità, secondo il quale è esclusa  la riconducibilità dei distributori automatici (di cibi e/o bevande) al concetto di “sede” (nn. da 7778 a 7785 del 20 marzo 2019)
3) per il rilievo che il concetto di “sede” costituisce il presupposto per l’applicazione della norma di esenzione fiscale di stretta interpretazione sulla base della quale, quindi, insegne, ubicate in luoghi diversi dalla sede, restano soggette all’imposta (Cassazione, n. 7348/2012).
 
Escluso il primo dei presupposti di esenzione (identificazione cabina-sede), la Corte ha valutato se le espressioni usate, quali “Stampa qui la foto”, “Foto Tessera”, “Fotofun”, potessero essere qualificate come insegne di servizio.
 
A tal fine i giudici di legittimità hanno individuato la definizione di insegna di servizio nel regolamento attuativo del codice della strada (articolo 47, comma 1, Dpr 495/1992) e nell’articolo 2-bis, comma 6, Dl 13/2002, che la identificano nella “scritta …installata nella sede dell’attività a cui si riferisce o nelle pertinenze accessorie alla stessa…”, con “la funzione di indicare al pubblico il luogo di svolgimento dell’attività economica”. Si tratta, cioè, di un segno distintivo con particolari caratteristiche identificative, non ravvisabili nel caso in esame.
Alle espressioni indicate, infatti, non può essere attribuita nessuna valenza distintiva in termini di garanzia di non confondibilità del soggetto erogatore come pure di identificazione della sede sociale, indicando piuttosto le scritte, in termini generici, il tipo di attività che integra il servizio offerto (Cassazione, n. 13023/2015).
Del resto la Corte ha chiarito che non rappresentano insegne di ubicazione della sede dell’attività né i pannelli esposti nelle cabine per fototessera, raffiguranti i prodotti commercializzati individuati da un proprio marchio (Cassazione, n. 13634/2019), né lo striscione, riportante la denominazione dell’impresa costruttrice, appeso a una gru operante in un cantiere edile (Cassazione, n. 7348/2012).
 
Infine, verificata l’assenza di uno dei due presupposti concorrenti ex articolo 17, comma 1-bis, Dlgs 507/1993 (installazione nella sede dell’attività), la Corte ha ritenuto ininfluente accertare in concreto l’altro, e cioè la superficie complessiva dei mezzi pubblicitari (inferiore a 5 mq), poiché tanto bastava a non poter invocare l’esenzione da imposta.

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