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Giurisprudenza

Scritture contabili celate al Fisco:
rappresentante reo anche se coopera

Aiutare gli inquirenti e non indicare il luogo del delitto è una condotta da considerare criminosa al pari di quella messa in atto da chi ha concretamente commesso il fatto

vignetta

L’articolo 10 del Dlgs n. 74/2000, punisce – salvo che il fatto costituisca un reato più grave – chiunque occulta o distrugge in tutto o in parte le scritture contabili o i documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari. Questo al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di consentire l’evasione a terzi.
Conseguentemente, integra tale delitto il trasferimento delle scritture contabili o di detti documenti in luogo sconosciuto rispetto a quelli dove la stessa ordinariamente deve essere tenuta, risultando peraltro irrilevante che i verificatori siano riusciti comunque a ricostruire la situazione reddituale della società contribuente, grazie alla collaborazione del rappresentante legale.
 
Con la pronuncia n. 37348 dello scorso 9 settembre, la Corte di legittimità interpreta entrambi gli elementi costitutivi del delitto di occultamento delle scritture contabili o dei documenti di cui è obbligatoria la conservazione, previsti dalla richiamata norma a carico di chi ponga in essere tali condotte criminose in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari. In riferimento a tale ultimo aspetto, la difesa del contribuente aveva anche eccepito l’insussistenza dell’elemento soggettivo, poiché il legale rappresentante aveva collaborato per la ricostruzione del reale volume di affari a seguito della consegna di tutta la documentazione in suo possesso, utile a calcolare il reddito.
Il supremo Collegio, osserva, invece, la decisività della pacifica circostanza che la documentazione trasmessa dalla ricorrente non fosse tale da esaurire il compendio delle scritture contabili che la stessa era tenuta a custodire, anche perché, dalla lettura della pronuncia emerge che tale documentazione attiene, in larga parte, ai costi sostenuti dall’impresa e non anche ai ricavi.
 
Il reato di occultamento dei documenti la cui conservazione è fiscalmente obbligata risulta realizzato, per la sentenza della Corte regolatrice del diritto, non soltanto in ipotesi di impossibilità per l’ufficio finanziario di ricostruire i redditi o il volume di affari ai fini Iva, ma anche quando l'attività di verifica fiscale dell’amministrazione finanziaria risulti solamente più difficoltosa, ma senza indicare alcun parametro (cfr Cassazione n. 20748/2016, la quale ha escluso la realizzazione del cennato delitto solo quando il risultato economico delle stesse possa essere accertato in base ad altra documentazione conservata dall'imprenditore e senza necessità di reperire aliunde elementi di prova).
Inoltre, secondo la pronuncia n. 22126/2017, il reato di distruzione od occultamento di documenti contabili è stato ritenuto non configurabile quando il risultato economico delle operazioni prive della documentazione obbligatoria può essere ugualmente accertato in base ad altra documentazione conservata dall'imprenditore interessato, in quanto in tal caso manca la necessaria offensività della condotta.
 
La sentenza del supremo Collegio in commento, in secondo luogo, individua la condotta dell’occultamento nel trasferimento delle scritture contabili o dei documenti fiscalmente rilevanti di cui è obbligatoria la conservazione “in luogo ignoto rispetto ai luoghi ove la stessa ordinariamente deve essere tenuta” non essendo tale comportamento stato equiparato alla loro omessa redazione. Infatti, è giurisprudenza costante di legittimità che la condotta criminosa non può sostanziarsi in un mero comportamento omissivo – ossia il non avere tenuto le scritture in modo tale che sia stata obbiettivamente più difficoltosa, ancorché non impossibile la ricostruzione ex aliunde ai fini fiscali della situazione contabile – ma richiede, per l’integrazione della fattispecie penale un quid pluris a contenuto commissivo, consistente nell'occultamento ovvero nella distruzione di tali scritture (cfr Cassazione, sentenze nn. 19106/2016, 11643/2014, 38224/2010, 35591/2017 e 1441/2018).
 
In più, con la decisione n. 35173/2017, la Corte di legittimità ha statuito che, essendo  l'occultamento della documentazione reato permanente, esso si configura nei confronti del soggetto che aveva istituito la contabilità obbligatoria, ma non ne aveva la disponibilità, in quanto anche la sola condotta di non stampare la documentazione, costituisce già un occultamento della stessa agli accertatori.
 
a cura di Giurisprudenza delle imposte edita da ASSONIME

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