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Giurisprudenza

Le scritture formalmente in ordine
non provano la realtà degli acquisti

Fatture e contabilità regolari sono mezzi abitualmente utilizzati proprio per far apparire concrete operazioni fittizie. La Ctr ha applicato correttamente i criteri che governano i doveri delle parti

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In caso di operazioni oggettivamente inesistenti, se l’amministrazione finanziaria dimostra in maniera convincente che l’operazione fatturata non è mai stata effettuata, spetta al contribuente provarne l’effettiva esistenza. L’onere probatorio non può ritenersi superato con la sola dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili e con l’esibizione della fattura, in quanto si tratta di mezzi normalmente utilizzati proprio allo scopo di far risultare reale un’operazione fittizia. Questo il principio contenuto nell’ordinanza n. 16679 del 6 agosto 2020, con cui la Corte di cassazione ha rigettato il ricorso presentato da una società coinvolta in una frode fiscale.
 
Il fatto
La Corte di legittimità si è espressa in merito a una controversia scaturita a seguito del ricorso, proposto da una società, avverso un avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle entrate aveva rideterminato il reddito di impresa e recuperato a tassazione costi indeducibili e dichiarato l’indetraibilità della relativa Iva.
L’ufficio aveva basato la propria pretesa fiscale sulle risultanze di un processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di finanza al termine di una verifica fiscale, chiusa con il rilievo di annotazione, nelle scritture contabili, di fatture passive relative a operazioni oggettivamente inesistenti relative all'acquisto di beni ammortizzabili.
Lo schema contestato si riferiva all’acquisto, solo cartolare, di strutture e macchinari già in possesso della società acquirente da imprese compiacenti facenti capo a parenti e conoscenti dell’imprenditore controllato, dai quali si faceva rilasciare fatture che servivano a fingere il regolare impiego di un finanziamento pubblico.
 
Dopo l’accoglimento del ricorso da parte della Commissione tributaria provinciale, l’amministrazione finanziaria ha proposto appello, accolto dalla Commissione regionale sul presupposto della fittizietà delle fatture relative a operazioni inesistenti.
La società ha così impugnato, dinanzi alla suprema Corte, la decisione d’appello, lamentando violazione e falsa applicazione degli articoli 54 del Dpr n. 633/1972 e 39 del Dpr n. 600/1973 nella parte in cui la decisione impugnata aveva accolto le ragioni erariali, sebbene l’ufficio non avesse fornito alcuna prova, fondando il suo accertamento sulla base di mere congetture.
Il Collegio di legittimità ha ritenuto infondata la tesi di parte e ha rigettato il ricorso con condanna al pagamento delle spese processuali.
 
La decisione
La decisione in commento va ad arricchire la copiosa giurisprudenza di legittimità in tema di applicazione dei criteri che governano l’onere probatorio tra amministrazione finanziaria e contribuente, in presenza di operazioni inesistenti dal lato oggettivo.
È principio oramai consolidato che, in caso di contestazione di costi indebitamente dedotti e di Iva illegittimamente detratta relativa a fatture per operazioni oggettivamente inesistenti, l’ufficio finanziario ha l’onere di provare, sulla base di elementi e indizi probatori solidi, che l’operazione controllata non è stata mai effettuata, riducendosi in una mera espressione cartolare di operazioni commerciali mai poste in essere da alcuno.
Una volta assolto adeguatamente tale onere, spetterà al contribuente che intende godere della detrazione dell’Iva afferente alla fattura e della partecipazione dei relativi costi alla formazione del reddito imponibile, provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate. Tuttavia, la prova non può limitarsi all’esibizione delle fatture e alla dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, perché tali mezzi “vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un'operazione fittizia” (cfr Cassazione nn. 16650/2020, e 27554 e 12258 del 2018).
 
La frode emersa nella controversia in esame trova origine nel tentativo fraudolento dell’amministratore della società controllata di far risultare reale l’acquisto di edifici e di attrezzature da parte di società terze, al fine di acquisire il duplice illecito profitto di un finanziamento con contributi e agevolazioni pubblici e di una rilevante evasione fiscale mediante la deduzione di costi fittizi.
Gli accertamenti condotti dall’amministrazione finanziaria hanno rilevato dati fattuali diversi da quelli cartolari, considerato che i beni ceduti erano in realtà già nella disponibilità dell’impresa acquirente e le società venditrici erano riconducibili a soggetti legati all’imprenditore-evasore da vincoli di parentela e di amicizia.
A ciò si aggiunge l’ulteriore elemento indiziario costituito dalle dichiarazioni rese da un fornitore, il quale aveva confermato la falsità delle fatture da lui emesse su pressione del legale rappresentante della società accertata.
Infine, le risultanze degli accertamenti bancari condotti dalla Guardia di finanza hanno fornito la prova concreta dell’esistenza della frode, posto che la maggior parte degli acquisti afferenti alle operazioni contestate erano stati restituiti ai soci della società controllata e reimpiegati in investimenti personali a loro nome.
 
Tali elementi indiziari sono stati ritenuti convincenti dal giudice di merito, in quanto in grado di superare l’onere probatorio a carico dell’Amministrazione finanziaria perché dotati di una forza di convincimento maggiore rispetto alle prove addotte dalla società, la quale invece non era stata in grado di dimostrare l'effettiva esistenza delle operazioni contestate.
Pertanto nel caso la Commissione regionale, nel confermare la legittimità dell’atto impositivo, ha fatto corretta applicazione dei criteri che governano l'onere della prova in materia di operazioni oggettivamente inesistenti.

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