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Giurisprudenza

Le scritture sono “occultate”
anche se depositate troppo tardi

Il momento consumativo del delitto coincide con quello in cui si verifica l’impossibilità di ricostruire i redditi o il volume d’affari o venga emesso l’accertamento fiscale

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La Corte di cassazione ha stabilito che la responsabilità penale, per il reato di l'occultamento delle scritture contabili, (articolo 10 del Dlgs n. 74/2000), non viene meno, anche quando la documentazione viene consegnata successivamente all'Agenzia delle entrate. Questi i contenuti della decisione n. 10106, dello scorso 16 marzo.
 
Fatto e processo di merito
La Corte d’appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, confermava la decisione del Tribunale di Taranto, presa in giudizio abbreviato, che aveva condannato un soggetto per il reato di cui all' articolo 10 del Dlgs n. 74/2000, perché, in qualità di amministratore unico di una società, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, occultava e/o distruggeva tutti i documenti contabili della stessa, relativi a un determinato anno di imposta, in modo da non consentire la ricostruzione degli affari o del loro volume.
 
Ricorso per cassazione
L’imputato proponeva ricorso di legittimità, lamentando la violazione dell’articolo 56, comma 3 cpp, atteso che la Corte d’appello non si sarebbe pronunciata sulla responsabilità e sul mancato accertamento del ravvedimento operoso.
In questo senso, eccepiva il ricorrente, il verbale dell'Agenzia delle entrate evidenziava l'insussistenza dell'elemento oggettivo del reato in accertamento: al momento dell'attività di ispezione della Guardia di finanza, infatti, non veniva fornita la documentazione contabile, non avendone a tale data la disponibilità. Tuttavia, in seguito, recuperata la documentazione, la stessa veniva consegnata all'amministrazione finanziaria, prima della definizione dell'accertamento tributario.
Tale dato concreto era stato, però, ritenuto dalla Corte d’appello irrilevante per la configurabilità del reato. Comunque, sottolineava l’imputato, per effetto della documentazione consegnata solo in un secondo momento, il procedimento fiscale veniva definito con un accertamento con adesione e i redditi venivano ricostruiti esattamente in base alla documentazione consegnata, come espressamente riconosciuto dall'ente impositore.
In definitiva, osservava il ricorrente, l'Agenzia delle entrate non era stata ostacolata nella ricostruzione dei redditi e, conseguentemente, nessun evento pregiudizievole si era verificato. Da qui, la non configurabilità del reato contestato, la cui fattispecie astratta richiede il dolo specifico e l'impossibilità o la difficoltà della ricostruzione dei redditi.
 
Decisione
La Corte di cassazione, nel rigettare il ricorso, si mostra in accordo con la decisione della Corte territoriale, rilevando, nel caso in esame, la sussistenza del dolo e dell'elemento oggettivo del reato ex articolo 10, Dlgs n. 74/2000, in quanto, al momento del controllo della Guardia di finanza, non erano state esibite le scritture contabili obbligatorie per l'anno di imposta in considerazione e l'imputato, del resto, non aveva fornito nessun elemento di giustificazione, ma solo successivamente aveva consegnato all'Agenzia delle entrate la documentazione richiesta.
 
Occultamento o distruzione di documenti contabili
Infatti – osserva la Cassazione – il reato ex articolo 10, Dlgs n. 74/2000, è un reato di pericolo, che si configura al rifiuto di esibire la documentazione tributaria richiesta per la ricostruzione dei redditi e, in particolare, l'occultamento risulta un reato permanente.
In questo senso, l’orientamento di legittimità ha chiarito che “in tema di reati tributari, il delitto di occultamento o distruzione di documenti contabili di cui all'art. 10 del D.Lgs. n. 74 del 2000 costituisce un reato di pericolo concreto, che è integrato, nel caso della distruzione, dall'eliminazione della documentazione o dalla sua alterazione con cancellature o abrasioni, e, nel caso dell'occultamento, dalla temporanea o definitiva indisponibilità dei documenti, realizzata mediante il loro materiale nascondimento, configurandosi, in tale ultima ipotesi, un reato permanente” (cfr Cassazione, pronuncia n. 46049/2018).
 
In sostanza, è sufficiente anche la temporanea indisponibilità della documentazione per la consumazione del reato: la successiva produzione della documentazione all'Agenzia delle entrate, quindi, ha fatto solo cessare la permanenza del reato ma non ne ha impedito la consumazione.
 
No a desistenza volontaria, se il delitto è consumato
Né può accogliersi, secondo la suprema Corte, l’ulteriore argomentazione dell’imputato, che proponeva di qualificare come desistenza volontaria la propria condotta di ritardo – e non di omissione – della consegna documentale richiesta.
La desistenza volontaria, vale la pena ricordare, prevista dall’articolo 56, comma 3 cp, è ancorata alla nota “teoria del ponte d’oro” (ispirata alla massima “al nemico che fugge, ponti d’oro”): l’ordinamento, infatti, al fine di prevenire i reati, opera una promessa di impunità, prevedendo che “se il colpevole volontariamente desiste dall’azione, soggiace soltanto alla pena per gli atti compiuti, qualora questi costituiscano per sé un reato diverso”.
Tuttavia, osserva la Cassazione, la desistenza volontaria si può configurare solo nel tentativo, ovvero il delitto non deve essere consumato, diversamente da quanto riscontrato nel caso di specie.
In questo senso, infatti, la giurisprudenza di legittimità ha già chiarito che "in tema di tentativo, ricorre l'ipotesi di desistenza volontaria solo qualora l'agente abbia ancora l'oggettiva possibilità di consumare il reato in quanto ancora nel pieno dominio dell'azione in atto” (cfr Cassazione, n. 40678/2011).

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