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Giurisprudenza

Se il credito del fallimento è contestato
si esclude il litisconsorzio necessario

Il provvedimento di diniego del rimborso, secondo la curatela, doveva ritenersi nullo perché era stato notificato soltanto a questa e non anche all’imprenditore “al tappeto”

Litisconsorzio

Non sussiste litisconsorzio necessario, tra curatore fallimentare e imprenditore fallito, nell’ipotesi in cui l’amministrazione finanziaria neghi l’esistenza di un credito del fallimento. Inoltre, in tema di rimborso di un credito da parte del contribuente, l’Agenzia delle entrate è legittimata a contestarne i fatti costitutivi, anche nell’ipotesi in cui siano scaduti i termini per l’esercizio dell’azione di accertamento. I termini decadenziali, infatti, sono apposti solo alle attività con cui l’Agenzia delle entrate accerta un credito erariale e non a quelle con cui contesta la sussistenza di un suo debito.
Questi i principi contenuti nella sentenza n. 22646 della Corte di cassazione dell’11 settembre 2019.

La vicenda processuale
La controversia trae origine dall’impugnazione, da parte della curatela fallimentare, del provvedimento di diniego di rimborso di un credito Iva, relativo a un’annualità precedente la dichiarazione di fallimento. A parere della ricorrente, l’atto in questione doveva ritenersi nullo per essere stato notificato solo al curatore e non anche all’imprenditore fallito.

Il ricorso, accolto dalla Commissione tributaria provinciale, è stato respinto in appello perché, a parere della Ctr, il curatore non aveva ottemperato all’onere di documentare l’esistenza del credito richiesto a rimborso, e ciò quand’anche fossero decorsi i termini per l’accertamento del periodo d’imposta in cui il credito si era formato.
Il curatore ha così impugnato la decisione di secondo grado lamentando l’erroneità della decisione nella parte in cui la Ctr non ha riconosciuto la nullità del provvedimento per mancata notifica del ricorso al fallito. Con ulteriore motivo di ricorso, la curatela ha denunciato violazione degli articoli 39 e 57 del Dpr 633/1972, in merito all’obbligo di documentare il credito chiesto a rimborso nonostante il decorso dei termini per l’accertamento. Per la ricorrente, infatti, il contribuente non sarebbe più tenuto alla conservazione delle scritture contabili e non avrebbe più alcun onere di allegare e provare i fatti costitutivi del credito richiesto a rimborso.
I giudici di Cassazione hanno respinto entrambi i motivi di doglianza e rigettato il ricorso.

La decisione
Le questioni poste all’esame dei giudici di legittimità sono due, una di natura procedimentale e l’altra sostanziale.
Per quanto riguarda la prima, si è dibattuto se il provvedimento dell’Agenzia delle entrate debba ritenersi nullo per difetto di notifica, in quanto, essendo fallito l’imprenditore a cui è riferibile il credito richiesto a rimborso, deve sussistere litisconsorzio necessario tra curatela fallimentare e fallito stesso.
Alla domanda il Collegio di legittimità ha risposto negativamente, dando così ragione all’amministrazione finanziaria.
Sul punto è stato chiarito che il litisconsorzio tra curatore e imprenditore fallito è necessario quando l’accertamento tributario in materia di Iva presuppone la potenziale emersione di passività ulteriori rispetto a quelle già accertate. In questa ipotesi, infatti, il fallito ha un interesse “personale e diretto” a evitare un ulteriore aggravamento della propria posizione debitoria.

Diverso è invece il caso concreto, in cui l’oggetto del contendere non è un debito nei confronti dell’erario, bensì un credito Iva dell’imprenditore fallito chiesto a rimborso di cui l’amministrazione finanziaria contesta la legittimità. Qui non può essere riconosciuto alcun interesse del fallito a interloquire con l’amministrazione perché non sono in gioco ulteriori passività – che possono peggiorare la posizione debitoria – ma un credito del fallimento, che può essere acquisito all’attivo esclusivamente dal curatore, il quale è l’unico ad avere la legittimazione nei rapporti patrimoniali del fallito.

Da tale assunto deriva il principio sancito dai giudici di legittimità secondo cui “non sussiste litisconsorzio necessario tra curatore fallimentare e fallito, nel caso in cui l’Amministrazione finanziaria contesti l’esistenza di un credito del fallimento”.

Anche sotto il profilo sostanziale appare dirimente il rilievo che la controversia attenga la contestazione di crediti richiesti a rimborso e, più precisamente, il rigetto di un’istanza di rimborso. In questa fattispecie, il contribuente assume il ruolo di attore sostanziale, su di cui grava l’onere di provare e documentare i fatti a cui la legge ricollega il trattamento impositivo rivendicato.

L’Amministrazione finanziaria è legittimata a contestare i fatti costitutivi del credito richiesto a rimborso, anche nell’ipotesi in cui siano scaduti i termini decadenziali per l’esercizio dell’azione di accertamento. I termini di decadenza stabiliti per procedere all’accertamento in rettifica, infatti, non operano nel caso in cui, a fronte della richiesta di rimborso per un credito d’imposta esposto dal contribuente con la dichiarazione annuale, l’amministrazione finanziaria non debba procedere a un accertamento di un credito ma si limiti a contestare la sussistenza di un proprio debito.

Se, come nel caso in esame, l’attore sostanziale (la curatela fallimentare) non prova e documenta la sussistenza del credito, al di là del decorso dei termini decandenziali, è fondato il rigetto da parte degli uffici finanziari della relativa istanza di rimborso.
 

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