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Giurisprudenza

Se la fattura è incompleta,
non c'è dichiarazione che tenga

Le “testimonianze” rese da terzi in sede extraprocessuale possono entrare nel giudizio tributario, ma assurgono a rango di meri indizi, che devono essere valutati congiuntamente ad altri elementi

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La Corte di cassazione ha stabilito che la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, resa da un terzo per integrare la carenza delle fatture nell'indicazione degli elementi necessari per individuare, con certezza, le operazioni realizzate in favore del contribuente, non è idonea a fornire la prova dell’effettività delle prestazioni, ai fini della deducibilità dei costi. Questi i contenuti dell'ordinanza n. 12847 del 12 maggio 2021.

La vicenda
Al centro della vertenza vi erano due avvisi di accertamento con i quali l'ufficio aveva contestato, per due anni di imposta, maggiori ricavi non dichiarati e costi non deducibili, ripresi a tassazione.
In seguito al ricorso presentato alla Ctp di Varese, il contribuente si vedeva annullare i due atti impugnati.

La decisione della Ctr lombarda
L'ufficio, quindi, appellava la decisione di primo grado avanti alla Ctr Lombardia, ma anche i giudici d'appello si mostravano d'accordo con i colleghi di maggiore prossimità, ritenendo che la mancanza di dettagliate descrizioni sulle fatture emesse circa i lavori e i cantieri ove gli stessi erano stati eseguiti non poteva dare luogo al disconoscimento dei costi.
Inoltre, secondo la Ctr, non rilevava la circostanza che l’accertato non aveva esibito alcun accordo scritto al fine di provare l'esecuzione dei lavori, trattandosi di piccolo imprenditore che normalmente operava senza stipula di accordi formali.
Infine, concludeva il Collegio d'appello, costituiva indizio favorevole al contribuente la produzione della dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà resa dal titolare dell'impresa che aveva emesso la fattura.

Il ricorso per cassazione
L'ufficio proponeva, quindi, ricorso per cassazione, affidato a una serie di motivi di diritto.
In sintesi, con alcuni di questi, l'amministrazione finanziaria lamentava che la Ctr avesse erroneamente ritenuto che le fatture passive erano regolari, nonostante in esse non fossero stati elencati i lavori ricevuti e identificati i cantieri in cui gli stessi erano stati eseguiti.
Inoltre, secondo l'Agenzia delle entrate, la sentenza dei giudici lombardi era illegittima, per avere ritenuto che la prova dell'effettiva esecuzione dei lavori potesse essere fornita dal contribuente anche mediante produzione di dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà, nonostante la mancanza di produzione dei contratti sulla cui base sarebbero state eseguite le prestazioni.

La risposta della suprema Corte
Secondo la Cassazione, il ricorso erariale è fondato.
Infatti, premette il Collegio, l'articolo 21, comma 2, lettera g) Dpr 633/1972, prevede che la fattura deve contenere, fra l'altro, l'indicazione della natura, qualità e quantità dei beni e dei servizi formanti oggetto dell'operazione. Tali specifiche indicazioni, in particolare, rispondono a una oggettiva finalità di trasparenza e di conoscibilità, essendo funzionali a consentire l'espletamento delle attività di controllo e verifica da parte dell'amministrazione finanziaria e, segnatamente, in quest'ottica, a rendere possibile l'esatta e precisa identificazione dell'oggetto della prestazione.
In questo contesto – osserva la Cassazione – qualora l'ufficio contesti indebite deduzioni di costi, in quanto le fatture delle operazioni sono prive di specifiche indicazioni che consentano di accertare l'entità e la natura delle prestazioni ricevute, di per sé, quindi, non idonee a giustificare la deduzione dei costi in assenza di corrispondente prestazione, grava sul contribuente, che rivendichi la legittimità della deduzione degli esborsi fatturati, l'onere di fornire prova della effettiva esistenza delle operazioni.

"Incertezza" della fattura e onere della prova
La fattura costituisce, ai sensi del richiamato articolo 21, un documento idoneo a rappresentare operazioni rilevanti ai fini fiscali, ma in presenza di incertezza degli elementi indicativi della natura, qualità e delle prestazioni svolte, dunque di quegli elementi in presenza dei quali soltanto può ritenersi sussistente la corrispondente prestazione commerciale, perde l'anzidetta idoneità, così determinandosi lo spostamento a carico del contribuente dell'onere di dimostrare la effettiva esistenza delle operazioni.
A tal proposito, la giurisprudenza di legittimità ha avuto occasione di chiarire che, a norma dell'articolo 109, comma 4, lettera b), ultimo periodo del Tuir, i costi e le spese afferenti ricavi che non sono stati imputati al conto economico possono essere, comunque, dedotti soltanto se risultano da "elementi certi e precisi" con onere della prova a carico del contribuente, sicché è necessario che il contribuente fornisca concreti elementi di prova, non mediante affermazioni, di carattere generale o con il richiamo a semplici presunzioni (cfr Cassazione nn. 1898/2016, 6425/2011 e 25365/2007).

La valenza probatoria della dichiarazione sostitutiva
Riguardo alla questione relativa alla possibilità di provare l'effettività delle prestazioni ricevute mediante dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà, la Cassazione osserva che la Ctr – nel conferire alla dichiarazione anzidetta valore di prova indiziaria, al fine di consentire il diritto alla deduzione dei costi – abbia operato un ragionamento argomentativo non in linea con i principi sopra espressi in ordine alla prova dell'effettività dei costi ai fini della loro deducibilità.
Difatti, con riferimento alla valenza nel processo tributario delle dichiarazioni sostitutive dell'atto di notorietà, la stessa Cassazione ha precisato che "il divieto di prova testimoniale posto dall'art. 7 D.Lgs. 546/1992, si riferisce alla prova testimoniale da assumere con le garanzie del contraddittorio e non implica, pertanto, l'impossibilità di utilizzare, ai fini della decisione, le dichiarazioni che gli organi dell'A.f. sono autorizzati a richiedere anche ai privati nella fase amministrativa di accertamento che, proprio perchè assunte in sede extraprocessuale, rilevano quali elementi indiziari che possono concorrere a formare, unitamente ad altri elementi, il convincimento del giudice" (cfr Cassazione nn. 13174/2019 e 9080/2017).

Ciò premesso, continua la suprema Corte, le dette dichiarazioni hanno il valore probatorio proprio degli elementi indiziari e, qualora rivestano i caratteri di gravità, precisione e concordanza di cui all'articolo 2729 cc, danno luogo a presunzioni (cfr Cassazione nn. 9402/2007 e 24531/2019).
Orbene, dal divieto di ammissione della prova testimoniale non discende l'inammissibilità della prova per presunzioni, ai sensi dell'articolo 2729, comma 2 cc, secondo il quale le presunzioni non si possono ammettere nei casi in cui la legge esclude la prova testimoniale, poiché questa norma, attesa la natura della materia e il sistema dei mezzi di indagine a disposizione degli uffici e dei giudici tributari, non è applicabile nel contenzioso tributario (cfr Cassazione nn. 22804/2006 e 960/2015).
In definitiva, osservano i giudici di legittimità, al fine di evitare che l'ammissibilità di tali dichiarazioni possa pregiudicare la difesa del contribuente e il principio di uguaglianza delle parti, è necessario riconoscere che, al pari dell'amministrazione, anche il contribuente possa introdurre, nel giudizio innanzi alle Commissioni tributarie, dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale –  sebbene non assunte in contraddittorio – per far valere le proprie ragioni e tali dichiarazioni devono assurgere a rango di indizi, che necessitano di essere valutati congiuntamente ad altri elementi (cfr Corte costituzionale n. 18/2000 e Cassazione n. 20028/2011).

Conclusioni
Dai principi richiamati – dai quali si desume l'astratta possibilità per le parti del processo di introdurre nel giudizio tributario dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale – va, tuttavia, osservato, con riferimento al caso concreto, che la dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà, in quanto avente valore di prova meramente presuntiva, non può sopperire alla carenza degli elementi indicati nelle fatture, al fine di provare l'effettività delle operazioni e dei costi sostenuti.
In caso contrario, un mero indizio assurgerebbe illegittimamente al rango di prova, con grave vulnus al sistema tributario.

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