È inammissibile il ricorso di un notaio, colpevole di aver utilizzato fatture per operazioni inesistenti emesse da società sconosciute al fisco. Il disvalore tra la sua condotta e le funzioni di pubblico ufficiale ricoperte ha comportato il mancato riconoscimento della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto prevista dall’articolo 131-bis del codice penale. È la conclusione della sentenza n. 38744/2019 emessa dalla corte di Cassazione.
Il caso
Con sentenza del 4 aprile 2018, in parziale riforma della sentenza del 14 aprile 2015 del tribunale, la Corte di appello ha condannato a un anno di reclusione un notaio per il reato di cui all’articolo 2, comma 3, Dlgs 74/2000 in relazione all’anno d’imposta 2009 (attesa l’intervenuta prescrizione per le annualità precedenti), stante l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti.
Il disegno criminoso è stato pianificato da un consulente che ha suggerito al notaio l’illecito utilizzo di “società campane fantasma, sconosciute al fisco, senza apparente attività, con fatturazioni emesse a caso”. Trattasi in particolare di quattro fatture dell’ammontare complessivo di euro 40mila, pari a un’imposta indiretta di euro 8mila.
In particolare, il provvedimento della Corte di appello si fonda sul “inequivoco contenuto della corrispondenza elettronica intervenuta nel 2004 tra il ricorrente e l'amico professionista, che accuratamente esemplificava le modalità delle operazioni per aumentare i costi e quindi abbattere il debito tributario complessivo”.
E’ emerso, infatti, che il notaio ha accettato la proposta delittuosa del suo amico commercialista di abbattere i costi delle propria attività notarile mediante l’utilizzo di fatture false emesse da società campane, definite dal consulente sua clientela “sicura”. Trattasi principalmente di “costi per cancelleria” fatturati al notaio da due società apparenti, con sede nel napoletano, l’una avente come oggetto sociale l’attività di intermediazione immobiliare, l’altra invece priva di alcuna fornitura di materiale da cartoleria.
Inoltre, a partire dall’anno 2004, il servizio di assistenza informatica dello studio notarile era affidato ad una società campana il che ravvisa, a parere della Suprema corte, “l’oggettiva stranezza in sé di rapporti commerciali esistenti in apparenza tra un notaio con sede in Comacchio e una società di assistenza operante a centinaia di chilometri di distanza, il cui oggetto sociale era rimasto, tra l'altro, a lungo fissato nel noleggio di imbarcazioni”.
Il notaio ha quindi fraudolentemente indicato elementi passivi fittizi nelle proprie dichiarazioni fiscali, ovvero ha contabilizzato fatture emesse da società con sede legale molto distante dallo studio notarile, oltretutto aventi ad oggetto attività non connesse alla tipologia delle operazione cartolarmente rappresentate.
Osservazioni
Contro la decisone del giudice di secondo grado, l’imputato ha adito ricorso alla Corte di cassazione lamentando molteplici motivi.
In particolare, secondo la tesi difensiva, la decisone di colpevolezza dell’imputato si era basata sui contenuti della corrispondenza tra il notaio e il commercialista risalente all’anno 2004 e quindi non specificamente riferibile all’annualità contestata (2009). Inoltre la parte ha lamentato la mancata considerazione dell’effettivo sostenimento di costi in nero per la cancelleria, comunque necessaria allo svolgimento della pratica notarile.
In merito, la Suprema corte ha rilevato che il notaio non ha mai “allegato documentazione idonea a sovvertire oggettive e palesi carenze, laddove è stato comunque osservato che al più vi era interesse ad annotare la mancata consapevolezza circa la provenienza delle provviste di cancelleria per il proprio studio”.
La Corte ha ricordato inoltre che “non vi è dubbio che il notaio abbia sopportato spese ed abbia acquistato materiale per svolgere la propria attività professione, ma è altrettanto sicuro che spese e materiale nulla avevano a che fare con gli apparenti emittenti delle fatture portate in detrazione”.
La parte ha inoltre lamentato la mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto. Infatti, ai sensi dell’articolo 131-bis del codice penale, “nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l'esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell'articolo 133, primo comma, l'offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale”.
In merito, si precisa che il giudizio sulla tenuità del fatto richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto della modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entità o del danno del pericolo.
Nel caso di specie, la rinvenuta corrispondenza elettronica tra il notaio ed un consulente suo amico ha inequivocabilmente dimostrato alla Suprema corte la pianificata attività illecita volta all’indicazione di elementi passivi fittizi nelle dichiarazioni fiscali.
Pertanto, proprio in considerazione del “profilo soggettivo di particolare disvalore inerente all'attività professionale del ricorrente con funzioni di pubblico ufficiale” i supremi giudici hanno ritenuto inammissibile la richiesta della difesa, precisando oltretutto che “appare difficile ravvisare la “particolare tenuità” nell’utilizzo di fatture fasulle di ammontare complessivo di euro 40.000, pari ad un’imposta indiretta di euro 8.000”.
Per le ragioni sopra riportate, la Cassazione ha ritenuto inammissibile il ricorso del notaio, condannandolo anche all’onere delle spese processuali e al versamento di un ammenda pecuniaria.