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Giurisprudenza

Se il tubo si "incaglia" nella rete dell’Europa

Il riferimento è al tributo ambientale che colpisce il gas metano proveniente dalla Repubblica democratica popolare di Algeria
 

Con la sentenza del 21 giugno 2007 (causa C-173/05), la seconda sezione della Corte di Giustizia europea ha dichiarato che l'Italia è venuta meno agli obblighi normativi previsti dagli articoli 23, 25, 133 Ce e 9 dell’accordo di cooperazione con l'Ue. Tale accordo, in particolare, è stato firmato ad Algeri il 26 aprile 1976 e approvato a nome della Comunità con regolamento (Cee) del Consiglio 26 settembre 1978, n. 2210. La decisione riguarda la cd. tassa sul tubo, il tributo regionale istituito, nell’anno 2002, dal governatore della Regione siciliana, Totò Cuffaro, con l’obiettivo di colpire l’attraversamento dell’isola da parte del gasdotto che, dall’Algeria, porta gas naturale in Italia ed in altri Stati membri dell’Unione europea. Secondo gli eurogiudici, però, la tassa costituisce un onere fiscale che colpisce una merce (il gas metano) importata da un Paese terzo (l’Algeria) per la distribuzione e il consumo nel territorio italiano ovvero del suo transito verso altri Paesi (europei).

Lo scopo del tributo
A ben vedere, la ratio del tributo conteneva una motivazione di natura ambientale. Obiettivo, infatti, era proprio quello di finanziare (con i proventi derivanti dall’imposizione dell’imposta) gli investimenti destinati a ridurre e prevenire i (probabili) rischi per l’ambiente, che derivano dalla presenza di gasdotti contenenti il gas metano, installati sul territorio dell’isola. Il trasporto e la distribuzione del gas metano, infatti, si effettuano mediante gasdotti classificabili come condotte di prima specie, a norma del decreto ministeriale 24 novembre 1984 (recante norme di regolamentazione, ai fini della sicurezza, degli impianti di trasporto e di distribuzione di gas naturale a mezzo di condotte), e collegati, appunto, a condotte transmediterranee adibite al trasporto di gas proveniente dalla zona algerina del nord africa. In forza dell’articolo 6 della legge regionale siciliana n. 2 del 26 marzo 2002, (legge finanziaria per l’anno 2002), presupposto della "tassa verde" era la proprietà di gasdotti contenenti il liquido che attraversano il territorio della regione siciliana. Qualcuno, tuttavia, ha rilevato che la natura giuridica della tassa, ponendo come base imponibile il volume delle condotte della rete di trasmissione nazionale e regionale del gas naturale situate in Sicilia, poteva essere qualificata come un’ imposta patrimoniale in somma fissa.

Le decisioni del Tar Lombardia e della Ctr di Palermo
Della vicenda fu investito, altresì, il tribunale amministrativo regionale della Lombardia che, chiamato in causa da Snam Rete Gas per ottenere il riconoscimento della tassa nelle tariffe di trasporto da parte dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas, aveva riconosciuto tale diritto sostenendo, inoltre, che il cd. tubatico "procurava" effetti equiparabili a quelli di un dazio tanto da risultare contrario alle norme comunitarie in tema di libero scambio. Per le stesse ragioni, la Commissione europea, nel 2003, inviò una lettera di diffida all’Italia, rimasta inevasa. Così, nel luglio 2004, l’Esecutivo trasmise al governo italiano un parere motivato, secondo l’articolo 226 del Trattato Ce, chiedendo la soppressione della tassa sul tubo. Di fronte al perdurante silenzio, nell’aprile 2005, la Commissione europea propose il ricorso alla Corte di giustizia europea. A discolpa del comportamento domestico, occorre, tuttavia, sottolineare che, avendo la Commissione tributaria provinciale di Palermo imposto alla Regione siciliana l’obbligo di restituire alla Snam rete gas (società proprietaria della rete nazionale di trasporto del gas naturale metano nel tratto che attraversa la Sicilia da Mazara del Vallo a Messina) le rate della tassa già versate a titolo di acconto, l’esecutivo regionale si era già conformato alle precedenti decisioni dei giudici amministrativi e tributari, comunicando, peraltro, all’Autorità di Bruxelles che l’imposta non aveva mai trovato applicazione.

Il deferimento
Non essendo giunte alla Commissione le notifiche di una revoca del tributo, né essendo state recapitate alla stessa formali risposte alla richiesta di parere motivato, l’Autorità europea aprì la seconda fase della procedura d’infrazione. Di qui, la decisione di ricorrere alla Corte di giustizia europea. Tre le violazioni prospettate: due relative ai diritti esclusivi dell’Unione di fissare dazi e stabilire la politica commerciale, l’altra concernente l’accordo di cooperazione Ue-Algeria; il tubatico viene così "accusato" di contravvenire al principio della libera circolazione delle merci nell’Unione, non limitabile da balzelli o imposte locali, e al divieto, posto agli Stati membri, di introdurre nuove tasse sulle merci importate direttamente da Paesi terzi.

La difesa
Il governo italiano, per suo verso, ritenne il ricorso della Commissione privo di fondamento giuridico, in quanto il tributo controverso sarebbe stato istituito unicamente per salvaguardare l’ambiente, tenuto conto, segnatamente, degli obblighi inerenti il principio di precauzione. Tra l’altro, il tubatico, nell’intenzione dell’Esecutivo domestico, gravava esclusivamente sull’impianto di trasporto. La correlazione tra l’importo della tassa e il volume di gas aveva come obiettivo costituire un mero parametro tecnico per stabilire una corrispondenza con l’entità effettiva del rischio creato per l’ambiente. Di qui, l’invito a non considerare il tributo equivalente a un dazio doganale.

La decisione
Gli eurogiudici, accogliendo in pieno la posizione di censura della gabella siciliana sollevata dall’Esecutivo europeo, hanno sancito che la tassa ambientale sul tubo vìola le norme che attribuiscono all’Ue la competenza esclusiva sulla tariffazione doganale e sulla politica commerciale ex articoli 23, 25 e 133 CE, nonché gli articoli 4 e 9 dell’accordo di cooperazione tra l’Ue e l’Algeria (siglato nel 1976). In estrema sintesi, la Corte ha ritenuto che la tassa siciliana sul "tubo del gas" sia corrispondente a un dazio illegittimo, che colpisce la merce importata sul mercato europeo, ribadendo l’impossibilità nell’accettare qualsiasi onere pecuniario, imposto unilateralmente, indipendentemente dalla sua denominazione e struttura, che colpisca le merci per il solo fatto che esse attraversano la frontiera. Pertanto, a detta della Corte di Giustizia, nonostante la tassa de quo non sia un dazio e non sia percepito dal governo nazionale, tuttavia, costituisce un’imposta d’effetto equivalente.

Una similitudine
La tassa sulle grandi reti di trasmissione dell’energia e del gas naturale, sembra avere qualche similitudine con la windfall tax britannica (o con la windfall profit tax statunitense). La tassazione aggiuntiva sui guadagni conseguiti dagli azionisti si proponeva l’obiettivo di tassare i profitti delle società privatizzate dal governo presieduto da Margaret Thatcher. Proprio in seguito a una revisione della riorganizzazione di 33 utilities, che avevano evidenziato la presenza di notevoli extra-profitti (a partire dalla quotazione in borsa) nei servizi di pubblica utilità, venne istituita nel 1997, dal Premier Tony Blair, l’imposta straordinaria sui guadagni allo scopo di colpire gli extra-utili. Anche con riferimento al caso londinese, è stato osservato che il modo in cui era stata calcolata la base imponibile si presentava piuttosto discutibile. Così come appariva discutibile il fatto che si tassassero gli azionisti di quel preciso momento storico, che potevano non coincidere con quelli che in passato avevano beneficiato di una regolazione generosa o di un prezzo di collocamento troppo basso. L’equità, insomma (tra azionisti, non quella tra imprese che invece era rispettata) non rappresentava un punto di forza e, inoltre, si incideva direttamente sulla redditività, anche se per un periodo limitato (due anni, impegno ovviamente rispettato).

Il governo Berlusconi
A ben guardare, anche la bozza alla legge finanziaria per il 2006 aveva previsto una addizionale erariale sulle reti, e cioè la "tassa sul tubo della Snam Rete Gas e Terna" (escludendo dal novero dei soggetti passivi le società di telecomunicazioni, la paventata imposta si prospettava molto più selettiva e discriminatoria rispetto a quella britannica; la norma, poi, almeno nell’intenzione del Governo, presentava l’ulteriore esplicito divieto sia della rivalsa e della traslazione sugli utenti che della deduzione ai fini fiscali delle imposte sui redditi). Per queste ragioni la tassa in parola uscì di scena dallo schema definitivo della manovra e fu sostituita da un meccanismo che consente un allineamento dei tempi della deducibilità fiscale degli ammortamenti dei beni materiali e strumentali a quella regolatoria, e cioè a quella in vigore per la determinazione delle tariffe, basata sulla vita utile degli impianti. In estrema sintesi, la disciplina rubricata "Ammortamenti dei beni materiali strumentali per l’esercizio di alcune attività regolate" e inserita nel Tuir all’articolo 102-bis, stabilisce cioè che la possibilità di dedurre tali voci ai fini fiscali sia spalmata sullo stesso periodo di tempo (fino anche a 30 o 40 anni) di quelli previsti per quelli su cui si basa la determinazione delle tariffe. Un meccanismo che, di fatto, quindi, anticipa il quantum dovuto dalle imprese al fisco senza per questo rappresentare un nuovo balzello (la norma, altresì, rivolgendosi a tutti i soggetti che svolgono attività di trasmissione, ma anche di distribuzione, allarga la platea dei destinatari).

Un tributo ambientale
Sotto il profilo giuridico, per poter parlare di tributo ambientale occorre una relazione specifica tra la base imponibile e il danno ambientale: la base imponibile, cioè, deve riferirsi a una unità fisica di una sostanza che produce un dato inquinamento. Nel caso dei grandi metanodotti tale relazione sarebbe esclusa poiché il gettito della tassa sulle grandi reti energetiche viene commisurato all’estensione dei tubi, mentre le condotte, essendo sotterranee, e con il metano che affluisce al loro interno, non dovrebbero dar luogo a emissioni inquinanti (diversa considerazione potrebbe effettuarsi, invece, nell’ipotesi i cui si ammettesse la rilevanza dell’inquinamento elettromagnetico provocato da cavi e tralicci).

Le conclusioni
Nel corso degli ultimi anni, si è registrato nel panorama tributario un uso anomalo dell’aggettivo "ambientale" talvolta per celare situazioni o misure ambigue, che, in realtà, hanno finalità che esulano dalla reale tutela dell’ambiente. Ciò non di meno, al di fuori della legittima decisione posta in essere con la recente sentenza dall’Eurocorte, non può sottacersi la considerazione che le motivazioni sottese all’istituzione del tributo (siciliano) sul tubo erano assai "nobili". La tematica della tutela ambientale, strettamente correlata a quella della salute (sia del singolo che della collettività nel suo complesso) appartiene a tutti e non può essere di esclusiva competenza di "qualcuno". Per questo, anche per effetto dell’attività normativa di livello internazionale, sembrano ampiamente "giustificabili" tutti quei provvedimenti politico-amministrativo locali volti a salvaguardare il diritto ad un ambiente salubre; così, risulta comprensibile, quantomeno sotto l’aspetto sociale, l’idea di destinare una specifica entrata tributaria al finanziamento di strutture idonee a prevenire e scongiurare un danno ecologico, che potrebbe drammaticamente rivelarsi non del tutto teorico. D’altro lato, appare pure pienamente condivisibile (sotto il profilo politico) l’idea di chi ritiene che l’odierna eurosentenza debba servire da monito nei confronti di quelle manifestazioni troppo spinte e disinvolte di federalismo o regionalismo fiscale (provvedimenti in tal senso erano stati tentati anche dalla Regione Friuli Venezia Giulia), soprattutto quando certe misure finiscono per avere ricadute sugli scambi economico-commerciali e sulle relazioni internazionali di un intero Paese.
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