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Giurisprudenza

Semplificazione degli oneri contabili o esenzione dagli obblighi impositivi?

A questo interrogativo hanno risposto i giudici comunitari con la sentenza riferita a una controversia promossa dalla Commissione Ue

Alla Corte Suprema è stato chiesto di dichiarare il contrasto della normativa nazionale austriaca con la sesta direttiva per la parte in cui si autorizzano le imprese non residenti che svolgono attività di trasporto di persone con un volume di affari determinato, a emettere fatture senza indicare l’Iva e presentare la dichiarazione. Con la sentenza emanata il 28 settembre, la Corte di Giustizia delle Comunità europee si sofferma sulla conformità alla sesta direttiva dei cd. regimi agevolati di imposta e, cioè, di quei regimi caratterizzati da una estrema semplificazione degli adempimenti contabili e dalla determinazione forfetaria del quantum di imposta da versare.

La normativa di riferimento
L’adozione di tali regimi è oggetto di un’apposita previsione da parte del legislatore comunitario che, all’articolo 24 della sesta direttiva (intitolato "Regime particolare delle piccole imprese"), dispone al comma 1 che "Gli Stati membri che incontrano difficoltà ad assoggettare al regime normale dell’imposta le piccole imprese, data la loro attività o struttura, hanno la facoltà nei limiti e nelle condizioni da essi fissati – ma ferma restando la consultazione di cui all’articolo 29 – di applicare modalità semplificate di imposizione e riscossione dell’imposta, in particolare regimi forfetari, i cui effetti non possono però determinare uno sgravio dell’imposta". La ratio di tale agevolazione è evidente e risiede nella opportunità di sollevare le imprese di piccole dimensioni da oneri contabili eccessivamente gravosi che ne soffocherebbero, non solo lo sviluppo e la crescita, ma la stessa sopravvivenza sul mercato. L’agevolazione si sostanzia anche nella previsione di un calcolo dell’imposta da versare che presenta aspetti senz’altro più convenienti rispetto a quelli vigenti per i soggetti di medie e grandi dimensioni.

I termini della controversia
La controversia oggetto del procedimento in esame (C-128/2005) è stata promossa dalla Commissione europea, dopo che la stessa ha formalmente esperito e concluso la fase amministrativa del procedimento prevista dall’articolo 226 Ce. Pertanto, dopo aver avviato la relativa procedura di infrazione senza che l’Austria si adeguasse ai richiami mossi, la Commissione ha deferito il predetto Stato membro dinnanzi alla Corte chiedendo a quest’ultima di dichiarare il contrasto della normativa nazionale con la sesta direttiva nella parte in cui si autorizzano le imprese non residenti che svolgono attività di trasporto di persone in Austria, senza superare la soglia di 22 mila euro come volume di affari, ad emettere (con riferimento all’attività di trasporto svolta nel territorio) fatture senza indicazione dell’Iva e a non presentare la relativa dichiarazione.

La posizione del governo austriaco

Le argomentazioni svolte dal governo austriaco a propria difesa si fondano sull’interpretazione dell’articolo 24 della sesta direttiva. In particolare l’Austria sostiene che il predetto articolo attribuisce agli Stati membri un ampio potere discrezionale per stabilire se, e in quale modo, si possono istituire modalità semplificate per quantificare l’Iva dovuta da parte delle piccole imprese. Ora il punto cruciale della questione è stabilire, innanzi tutto, cosa il legislatore comunitario abbia inteso per "piccole imprese". La norma si riferisce, testualmente, alle difficoltà di assoggettare al normale regime Iva le piccole imprese, data la loro attività o struttura.

La posizione dell’Avvocato generale
A tal proposito, l’Avvocato generale, nelle conclusioni presentate alla Corte, osserva che il riferimento alla dimensione ("piccole") dovrebbe riferirsi alle imprese oggettivamente piccole e non a quelle che svolgono una attività economica in proporzioni limitate e ridotte in uno Stato membro, come invece sostiene il governo austriaco. In particolare, continua l’Avvocato generale,  non sussisterebbe alcun motivo per supporre  che uno Stato membro incontri delle difficoltà nell’applicare l’imposta, secondo i criteri ordinari, ad una grande impresa che svolga attività economiche in modo limitato o occasionale nel suo territorio. In tal caso, difatti, soccorrono le regole dell’identificazione diretta, del rappresentante fiscale o del reverse charge che consentiranno all’impresa in questione di svolgere tutti gli ordinari adempimenti contabili e fiscali nello Stato predetto.

La posizione della Corte di Giustizia Ue

Anche l’interpretazione data dall’Amministrazione fiscale austriaca al potere discrezionale attribuito dal citato articolo 24 a ciascuno Stato  membro  per riconoscere le agevolazioni contabili in capo alle piccole imprese viene giudicata eccessivamente ed ingiustificatamente "ampia" dalla Corte. Difatti, i giudici comunitari, recependo le critiche dell’Avvocato generale, hanno osservato che le previsioni discendenti dall’articolo 24 vanno applicate rispettando il cd. principio di "proporzionalità". Ciò implica che il potere in esame è strettamente commisurato allo scopo da conseguire. E le agevolazioni che i singoli Stati possono concedere alle piccole imprese in termini di contabilità e calcolo dell’imposta da versare devono essere strettamente aderenti a quella che è la ratio della disposizione in oggetto e, cioè, creare sistemi di tassazione più agevoli per le imprese di piccole dimensioni al fine di favorirne l’attività.

Il principio di proporzionalità
Il ricorso al predetto principio di proporzionalità consente, altresì, di disattendere la tesi austriaca secondo cui il sistema di agevolazioni introdotto dall’articolo 24 potrebbe addirittura condurre a un esonero totale dall’osservanza degli adempimenti contabili (obblighi di fatturazione, registrazione e dichiarazione). La Corte rileva che la semplificazione delle modalità non può comportare "un totale difetto di procedura". In particolare il fatto stesso che si consenta l’applicazione dell’imposta secondo criteri forfetari implica che il legislatore comunitario richieda che la piccola impresa adotti comunque un sistema di contabilità, sia pure più leggero e flessibile, tale da consentire un controllo in ordine alla quantificazione dell’imposta dovuta. Inoltre, la circostanza che al comma 2 e seguenti dell’articolo 24 citato si faccia riferimento alla possibilità che gli Stati membri consentano alle imprese piccole di calcolare l’Iva dovuta sulla base di una "franchigia" conduce logicamente a ritenere che le semplificazioni contabili, consentite e autorizzate ai sensi del precedente comma 1, non autorizzano l’introduzione di un’assoluta mancanza di imposizione e riscossione dell’imposta.

Le conclusioni della Corte
Da quanto sopra discende che, a parere della Corte, la Repubblica d’Austria, attraverso il regime istituito dal regolamento del ministro federale delle Finanze, ha ecceduto i poteri di cui dispongono gli Stati membri nell’applicazione dell’articolo 24 della sesta direttiva. Detto regolamento, difatti, lungi dall’introdurre agevolazioni caratterizzate da una mera semplificazione degli oneri contabili e dei sistemi di calcolo e versamento dell’Iva, si sostanzia piuttosto in una esenzione per le imprese interessate (le piccole imprese) dall’obbligo di dichiarare e versare l’imposta. Pertanto il regime in esame è in netto contrasto con le disposizioni della sesta direttiva.
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