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Giurisprudenza

Senza un contratto fra aziende
la detrazione Iva è indebita

La semplice cessione di denaro a titolo gratuito, in mancanza di un accordo scritto che disciplini i reciproci obblighi fra le parti, non è una prestazione soggetta a imposta

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La Corte di cassazione ha stabilito, con ordinanza 17021 del 25 luglio, che il diritto alla detrazione Iva non sussiste se lo scambio di servizi a titolo oneroso non è regolamentato in un contratto fra aziende. Lo scambio di servizi a titolo oneroso deve, peraltro, essere provato dal contribuente che chiede l’agevolazione fiscale.
 
La vicenda processuale
I fatti in oggetto riguardano un avviso di accertamento conseguente a processo verbale di constatazione con il quale era stata contestata a una società indebita detrazione di Iva, come risultava dagli accordi contrattuali, perché asseritamente correlata a cessione di denaro a titolo gratuito (“premi in danaro” o “premi di impegnativa”) corrisposti a una società concessionaria di spazi pubblicitari, a cui non era correlato alcun obbligo contrattuale di fare, non fare o permettere a carico della beneficiaria.
 
Il ricorso della contribuente veniva accolto dal giudice di primo grado e confermato in appello, ove il Collegio regionale ha ritenuto che “il rapporto che esiste tra le due società è un rapporto clientelare, l’una fornendo pubblicità con emissione di fattura nei confronti dell’altra che ne paga il prezzo”, mentre l’ente impositore non aveva fornito alcuna prova sull’asserito scambio di danaro.
 
Con il conseguente ricorso per cassazione, l’Agenzia delle Entrate denuncia insufficiente motivazione e violazione di legge (articolo 19, Dpr 633/1972) e, dopo avere ribadito che la dazione di danaro doveva ritenersi esclusa dal campo di applicazione dell’Iva, poiché non correlata in controprestazione a una cessione di beni o a una prestazione di servizi, censura il fatto che il giudice del merito abbia violato il principio di ripartizione dell’onere della prova (ex articolo 2697 codice civile), atteso che tale onere grava invece sul contribuente che avrebbe dovuto dare conto del fatto costitutivo della pretesa.
 
La decisione
La Suprema corte accoglie il ricorso dell’Amministrazione finanziaria, affermando il principio che non costituisce prestazione di servizio soggetta a Iva l’attività svolta da un soggetto a vantaggio di un altro autonomamente e senza obbligo nei confronti di quest’ultimo (articolo 3, Dpr 633/1972). Motivo per cui il giudizio impugnato, basato sulla valorizzazione dello “scambio di danaro”, si è formato su un erroneo “fraintendimento del giudicante” circa l’oggetto del giudizio.
 
Perciò la sentenza di appello viene, in primo luogo, riconosciuta viziata in motivazione in quanto la Commissione regionale, ammettendo che sia esistito tra le parti della transazione commerciale “un rapporto clientelare”, non ha poi specificato il percorso logico da cui ha tratto il proprio convincimento, omettendo così di fornire elementi certi dai quali desumere che oggetto della pattuizione fossero sconti o abbuoni praticati sul prezzo di fornitura e non, ad esempio, “un premio di fine anno”, che, a differenza dei primi, non dà diritto a detrazione, trattandosi non di una componente che incide direttamente sul prezzo della merce, ma di un contributo autonomamente riconosciuto a fine esercizio al cliente per il raggiungimento di un dato fatturato, e quale “incentivo per future operazioni” (così Cassazione, sentenze 5006/2007 6475/2007 e 13312/2013).
 
Va poi ricordato che, in tema di Iva, sono legittime le detrazioni d’imposta effettuate in relazione a note di accredito per sconti su vendite praticati in base ad accordo, anche successivo all'originario contratto e concluso verbalmente. Infatti, l'articolo 26 del Dpr 633/1972 prevede che, se un'operazione per la quale è stata emessa fattura, successivamente alla registrazione, viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l'ammontare imponibile, in dipendenza di abbuoni o sconti previsti contrattualmente, il diritto di portare in detrazione, ai sensi dell’articolo 19, l'imposta corrispondente alla variazione spetta al cedente del bene; quest’ultimo deve a tal fine registrarla, a norma dell'articolo 25, entro l'anno dal compimento dell'operazione imponibile (articolo 26, comma 3), nel rispetto degli obblighi di fatturazione (articolo 21).
 
Sul fronte probatorio, la Suprema corte ha ancora una volta puntualizzato che compete a chi assume di avere diritto a detrarre l’imposta assolta l’onere di dimostrare quale sia la prestazione a fronte della quale il corrispettivo è stato pagato, proprio al fine di confermare che la transazione risulta contenuta nell’ambito di applicazione del regime Iva, considerato che, in via generale, l’articolo 19 del Dpr 633/1972, limita il diritto alla detrazione agli acquisti di beni o servizi inerenti all’attività dell’impresa o dell’arte e professione e, quindi, correlati alle operazioni attive realizzate in tali ambiti (cfr articolo 109 del Tuir, per le imposte sui redditi).
 
Peraltro, l’inerenza – che è un concetto di relazione che deve essere verificato caso per caso – non può presumersi per il semplice fatto di svolgere un’attività professionale o imprenditoriale, ma deve essere provata dal contribuente, in quanto “Non costituisce prestazione di servizio soggetta ad Iva l'attività svolta da un soggetto a vantaggio di un altro autonomamente e senza obbligo nei confronti di quest’ultimo” (Cassazione 215/2002).
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