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Giurisprudenza

Senza istruzioni per il ricorso?
Vizio lieve, l’atto non è nullo

Si tratta di una difformità non grave, che non incide sulla legittimità dell’accertamento. Le indicazioni agevolano semplicemente il contribuente che intende contestare l'operato dell'ufficio

segnale di divieto con la lettera I
L’articolo 19, comma 2, del decreto legislativo 546/1992, prevede che gli atti impugnabili dinanzi al giudice tributario “devono contenere l’indicazione del termine entro il quale il ricorso deve essere proposto e della commissione tributaria competente, nonché delle relative forme da osservare ai sensi dell’art. 20”.
Analoga disposizione è contenuta nell’articolo 7, comma 2, lettera c), della legge 212/2000 (“Statuto dei diritti del contribuente”), in base al quale “Gli atti dell’amministrazione finanziaria e dei concessionari della riscossione devono tassativamente indicare:… c) le modalità, il termine, l’organo giurisdizionale o l’autorità amministrativa cui è possibile ricorrere in caso di atti impugnabili”.
 
La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che l’omessa o l’erronea indicazione, nell’atto impugnabile, delle modalità per la presentazione del ricorso, non ne determina la nullità, ma solo una semplice “irregolarità” formale, che può eventualmente rilevare ai fini della decorrenza del termine per l’impugnazione.
Tale irregolarità rappresenta, a ben vedere, una difformità dell’atto al paradigma legale di minor conto e innocua rispetto a quella idonea a determinare l’annullabilità o la nullità dell’atto, in quanto attinente ad aspetti estrinseci del provvedimento, non suscettibili di intaccare nemmeno potenzialmente il corretto esercizio della funzione amministrativa.
 
Al riguardo, la Corte di cassazione, con sentenza 23010/2009, nel confermare il proprio consolidato orientamento, ha chiarito che “… in tema di contenzioso tributario, alla mancata o erronea indicazione nell’atto impugnabile della commissione tributaria competente, delle forme, o del termine per proporre ricorso, non segue la nullità di esso…”.
Più precisamente, secondo la Cassazione, “la nullità, per tale omessa o incompleta indicazione, non è una conseguenza prevista dal legislatore, né è assistita da alcuna altra sanzione, trattandosi piuttosto di semplice irregolarità, avendo la norma come scopo soltanto quello di agevolare il compito del contribuente che voglia impugnare l’atto; soggetto su cui grava l’onere di individuare l’organo giurisdizionale, onere che è autonomo e prescinde da eventuali obblighi di specificazione posti a carico di altri”.
 
In senso conforme, la Cassazione si è espressa con le sentenze 12070/2004 e 3865/2002, ove è stato affermato che l’omessa indicazione delle modalità di impugnazione non determina alcun vizio dell’accertamento e, conseguentemente, alcuna nullità dell’atto, non prevedendo espressamente il legislatore alcuna sanzione nel caso di omessa o incompleta indicazione; l’omissione delle predette indicazioni può, tutt’al più, determinare la mancata decorrenza del termine per impugnare.
 
Tale orientamento è stato confermato dalla sentenza 17020/2014 della Corte suprema, che ha ribadito la legittimità dell’atto impugnabile privo dell’indicazione delle modalità e dei termini per presentare ricorso, nella misura in cui ha chiarito che tale circostanza non inficia la validità dell’atto “ma comporta, sul piano processuale, il riconoscimento della scusabilità dell’errore in cui sia eventualmente incorso il ricorrente, con conseguente riammissione in termini per l’impugnativa, ove questa sia stata tardivamente proposta” (in tal senso, cfr anche Cassazione, sentenze 25227/2013 e 19675/2011).
 
Del resto, l’istituto della rimessione in termini, “previsto dall’art. 184 bis cod. proc. civ. (abrogato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 46 e sostituito dalla generale previsione di cui all’art. 153, comma 2, del codice medesimo), trova applicazione, alla luce dei principi costituzionali di tutela delle garanzie difensive e del giusto processo, non solo con riguardo alla decadenza dai poteri processuali interni al giudizio, ma anche a situazioni esterne al suo svolgimento, quale la decadenza dal diritto di impugnazione, da intendere anche in relazione alla proposizione del ricorso avverso atti tributari - cfr. Cass. n. 3277 del 02/03/2012” (Cassazione, sentenza 3810/2013).
 
Siffatto indirizzo interpretativo formatosi in ordine ai vizi formali e procedimentali che non comportano la nullità o l’annullabilità dell’atto amministrativo si pone in conformità sia con la logica comunitaria, la quale comprende nel concetto di forma ogni violazione che non incida sulla sostanza della decisione e che non sia un indice del cattivo uso del potere sostanziale, sia con gli orientamenti della giurisprudenza amministrativa formatisi sull’articolo 21-octies, comma 2, della legge 241/1990, secondo il quale “Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato…”.
 
A tal riguardo, è possibile richiamare la sentenza del Tar Campania, Napoli, sez. VII, 1673/2012, ove viene ribadito il “costante orientamento giurisprudenziale secondo cui l’omessa indicazione del termine e dell'autorità a cui ricorrere non determina l’illegittimità del provvedimento amministrativo, bensì una mera irregolarità (ex multis: T.A.R. Emilia Romagna, Parma, 27 giugno 2005, n. 340; T.A.R. Lazio, Sez. II, 2 settembre 2005, n. 6534).
Infatti la disposizione dell’art. 3, comma 4, della L. n. 241 del 1990 non influisce sull’individuazione e sulla cura dell’interesse pubblico concreto cui è finalizzato il provvedimento, né sulla riconducibilità dello stesso all'autorità amministrativa, ma tende semplicemente ad agevolare il ricorso alla tutela giurisdizionale (sicché l’omissione de qua, nel concorso di significative ulteriori circostanze, può dar luogo semmai alla concessione del beneficio della rimessione in termini…)”.
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