Una società ha la facoltà di decidere se e quando utilizzare le perdite fiscali pregresse, a scomputo dei redditi futuri, a condizione che l’opzione sia espressamente manifestata nella dichiarazione dei redditi. Questa, che in linea generale rappresenta una mera dichiarazione di scienza, nella parte in cui il contribuente decide di utilizzare le perdite fiscali costituisce invece un atto negoziale. Pertanto, la mancata manifestazione in dichiarazione della volontà di utilizzare le perdite pregresse non può essere oggetto di ritrattazione, salvo che il contribuente dimostri il carattere essenziale e obiettivamente riconoscibile da parte dell’Erario dell'errore nel quale è incorso.
Questo il principio di diritto espresso dalla sezione tributaria della Corte di cassazione nell’ordinanza n. 28064 del 5 ottobre 2023.
La controversia
Il giudizio ha preso le mosse dalla notifica di un avviso d’accertamento riguardante il periodo d’imposta 2006, poi definito in adesione, con cui l’Agenzia delle entrate aveva rideterminato il reddito imponibile dichiarato dalla società, a seguito del disconoscimento di costi, perché di competenza del periodo d’imposta precedente.
La società, tenendo conto dei costi di effettiva competenza, aveva rideterminato il reddito imponibile relativo al 2005. Da qui è seguita una istanza di rimborso, con cui la contribuente ha chiesto la restituzione delle maggiori imposte versate, nel periodo di imposta di competenza dei costi (2005) e negli anni di imposta successivi, in cui aveva utilizzato le perdite pregresse risalenti – appunto – al 2005 (dal 2007 al 2010).
L’ufficio ha disposto il rimborso solo per l’anno in cui i costi, originariamente disconosciuti, erano di effettiva competenza, ossia il 2005. Per quanto riguarda l’istanza relativa agli anni successivi, l’Agenzia delle entrate ha invece risposto negativamente.
La società, quindi, ha impugnato il provvedimento di diniego per la parte non concessa a rimborso, lamentando violazione dell’articolo 84 del Tuir che, nel testo vigente ratione temporis, consentiva il riporto in avanti delle perdite registrate in una data annualità di imposta nei periodi fiscali successivi, nella misura in cui il reddito imponibile dichiarato in quegli stessi periodi fosse capiente e comunque entro un quinquennio.
Le ragioni della società sono state ritenute fondate in entrambi i gradi di giudizio. Nel ricorso in cassazione, l’Amministrazione finanziaria ha osservato che la scelta di utilizzare le perdite pregresse in esercizi successivi, secondo le regole contenute nel richiamato articolo 84 del Tuir, ha un indubbio valore negoziale, che deve essere espresso in sede di presentazione della dichiarazione dei redditi. Infatti, con l’opzione in argomento, il soggetto esercente attività d'impresa si determina a portare in deduzione perdite maturate in periodi di imposta precedenti in un'annualità piuttosto che in un'altra, per intero oppure in parte. Di conseguenza, con tale scelta il soggetto dispone del proprio diritto di portare in deduzione le perdite pregresse, ponendo in essere un'attività alla quale non può attribuirsi un valore meramente dichiarativo ma una vera e propria valenza negoziale.
Il principio di diritto
Nell’affrontare il tema in questione, la Corte di cassazione ha richiamato il prevalente orientamento giurisprudenziale, per cui l'esercizio dell’opzione, riservata al contribuente dall'articolo 84 del Tuir, di utilizzare le perdite di esercizio verificatesi negli anni pregressi, portandole in diminuzione del reddito prodotto nell'anno oggetto della dichiarazione, ovvero di non utilizzarle, riportandole in diminuzione dal reddito nei periodi di imposta successivi, costituisce “manifestazione di volontà negoziale” e non mera “dichiarazione di scienza”. Per l’effetto, l’opzione non può essere oggetto di rettifica, “salvo che il contribuente dimostri il carattere essenziale ed obiettivamente riconoscibile dell'errore nel quale è incorso, ai sensi degli artt. 1427 e ss. c.c”.
In altre parole, il contribuente, che intenda contestare l'atto impositivo notificatogli dall'Amministrazione finanziaria, deve far valere l'errore commesso in dichiarazione secondo la disciplina generale dei vizi della volontà, dimostrando che si tratta di errore “essenziale” e “riconoscibile”: il primo requisito riguarda, ad esempio, la qualità di perdita dell'importo da portare in diminuzione o l'errore determinato da ignoranza o l’errata interpretazione della portata delle norme tributarie applicabili, mentre il secondo deve valutarsi secondo la diligenza propria che deve essere richiesta agli uffici accertatori.
Nel caso concreto, la circostanza che la società contribuente non abbia esercitato l'opzione in dichiarazione, mediante l'utilizzo delle perdite pregresse risalenti al 2005, non consente di riconoscere un mero errore materiale, obiettivamente rilevabile ed emendabile in ogni tempo, ma una opzione (o meglio, una manifestazione di volontà) non esercitata.
La Corte di legittimità ha, pertanto, concluso affermando che, in tema di utilizzo delle perdite fiscali pregresse, il contribuente è libero di decidere se e quando utilizzarle a scomputo dei redditi futuri, in quanto la norma gli attribuisce la facoltà di utilizzare le perdite mediante l'esercizio di un'opzione da manifestarsi in dichiarazione. Questa, che in linea generale rappresenta una dichiarazione di scienza, nella parte in cui il contribuente decide di utilizzare le perdite fiscali costituisce, invece, un atto negoziale e pertanto non può essere oggetto di ritrattazione.