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Giurisprudenza

Senza una vera attività commerciale
l’affitto della villa non fa impresa

Per i giudici, le operazioni compiute dalla società erano destinate solo a garantire il godimento dell’immobile da parte dei soci, utilizzando la locazione per conseguire indebiti vantaggi fiscali

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Non costituisce attività d’impresa la locazione di una villa ai soci, anche se i canoni sono congrui ai valori di mercato. Con la sentenza n. 156/06/22 del 19 agosto 2022, la Commissione tributaria regionale della Toscana, pronunciandosi sul caso di una società costituita al mero fine di garantire ai soci il godimento del villino di abitazione, ne ha dichiarato la non operatività.

I soci (una coppia di coniugi che avevano preso dimora nell’unico immobile locato dall’impresa) avevano contestato il recupero erariale, invocando il dato – puramente formale – della congruità del canone di locazione rispetto ai valori fissati dall’Osservatorio del mercato immobiliare.

La Ctr ha respinto il ricorso, osservando come l’unica attività svolta dall’“impresa” “risulta quella dell’amministrazione della villa data in locazione a fini abitativi ai due soci unici componenti il consiglio di amministrazione della stessa società, garantendo in tal modo, attraverso anche la non corretta contabilizzazione nel bilancio delle componenti passive, importanti risparmi fiscali. Quella dell’amministrazione dell’unico immobile di proprietà dato in locazione ai soci non costituisce affatto attività imprenditoriale, ma attività di normale gestione del proprio patrimonio svolgendosi esclusivamente all’interno del rapporto societario”.

L’“astuzia” di fissare un canone congruo ai valori Omi (prevista come causa di disapplicazione della disciplina in materia di non operative dalla risoluzione n. 68/2019) non ha convinto i giudici, che hanno fatto prevalere la sostanza sulla forma: di fatto, il villino non era impiegato nell’esercizio di un’attività d’impresa, ma utilizzato dai coniugi come abitazione.

In tale contesto, i giudici hanno concluso che la società si limitava ad amministrare l’abitazione dei soci, garantendo agli stessi il miglior risparmio fiscale possibile; difatti, le seguenti circostanze risultavano pacifiche in causa:

  1. una coppia di coniugi aveva intestato a una srl - creata ad hoc - un lussuoso villino, lo avevano ristrutturato e vi avevano preso dimora, in forza di un contratto di locazione stipulato tra i soci e la società stessa
  2. nel lungo periodo trascorso tra la data dell’acquisto e il controllo fiscale, non era stata avviata alcuna significativa attività d’impresa (non potendo considerarsi tale la locazione ai soci), né erano state assunte iniziative volte a predisporre il villino in funzione dell’esercizio di una futura ed effettiva attività commerciale all’esterno (ossia nei riguardi di soggetti diversi dai soci)
  3. la società sosteneva e portava in deduzione tutte le spese afferenti l’immobile (utenze e costi di ristrutturazione), detraendo altresì la relativa imposta sul valore aggiunto.

Tali circostanze costituivano, come rilevato dai giudici, indizi convergenti a dimostrare che si trattava di società “di comodo”, destinata ad assecondare le esigenze dei soci, e nient’affatto all’esercizio di un’attività imprenditoriale.

Al cospetto di tali elementi, il contribuente insisteva pervicacemente nell’attribuire rilevanza all’ammontare del canone di locazione, che – a suo dire – sarebbe stato “in linea” con quello di mercato, con conseguente disapplicazione della disciplina delle società non operative.

La Commissione tributaria regionale ha ritenuto la deduzione non corretta: “l’immobile non è stato immesso sul mercato, ma è rimasto nella disponibilità dei soci della società per cui, l’ammontare del canone di locazione, stabilito nell’anomalia di un circuito negoziale tutto interno alla società, non può essere posto a parametro per escludere la ricorrenza della disciplina delle società di comodo”.
Difatti, ai sensi dell’articolo 30 della legge n. 724/1994, la disapplicazione di tale disciplina postula la dimostrazione “di oggettive  situazioni che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi”, vale a dire di situazioni  esterne  che  non dipendono e/o sono influenzate dalle scelte del contribuente … di carattere straordinario … quali ad esempio la crisi del settore, il mancato rilascio  delle autorizzazioni, la protrazione dei lavori per cause non dipendenti dall'imprenditore” (cfr Cassazione n. 15295/2021).
Ciò in quanto il citato articolo 30 mira a disincentivare la costituzione di società "di comodo", ovvero il ricorso all'utilizzo dello “schema societario per il raggiungimento di scopi eterogenei rispetto alla normale dinamica degli enti collettivi commerciali (come quello, proprio   delle   società   c.d.   di   mero    godimento, dell'amministrazione dei patrimoni personali dei soci con risparmio fiscale) (cfr Cassazione n. 18296/2022).

In questa prospettiva, la Ctr chiarisce che la società “avrebbe dovuto dimostrare diversamente l’esistenza di circostanze specifiche straordinarie negative non imputabili alla stessa società, ma derivanti dall’andamento del mercato … o da condizioni oggettive incidenti sullo stato dell’immobile che non avevano consentito di raggiungere il reddito minimo”.
I giudici toscani ricordano altresì che, in una fattispecie del tutto analoga, la suprema Corte ha dichiarato che l’uso personale dei beni sociali esclude, ancor prima dell’operatività dell’impresa, la sua stessa esistenza (cfr Cassazione n. 3746/2015):

  • la società contribuente “era costituita dai coniugi C. - B. (unici   soci i quali avevano, poi, venduto   le   loro   quote    a    società    interamente partecipata dagli stessi)
  • l'attività svolta negli undici anni   di vita   sociale si era limitata   all’acquisto dell’immobile, alla   sua ristrutturazione ed alla locazione   ai medesimi coniugi
  • …  i   costi   portati   in   detrazione riguardavano unicamente i   lavori   di   ristrutturazione eseguiti dalla …  società …”.

In presenza di tali circostanze la Cassazione ha dichiarato che non sussiste alcuna attività imprenditoriale: "un’operazione economica  isolata  non  diretta   al mercato,   compiuta   da  una  società  commerciale,   quand'anche    l'atto costitutivo  o  lo  statuto  sociale  prevedano  che  il   sodalizio   possa compiere    operazioni   di   acquisto,   ristrutturazione,    vendita     e locazione  d'immobili   di   per   sé   sola   non   può   valere   a   dare consistenza   ad   un'attività  imprenditoriale” (cfr Cassazione n. 3746/2015).
Nel caso sottoposto ai giudici di legittimità, come in quello analizzato dalla Ctr, le operazioni compiute dalla società erano prive del requisito della commercialità, perché destinate non a svolgere un’attività economica interagendo col mercato, ma soltanto a garantire il godimento dell’immobile da parte dei soci, utilizzando lo strumento negoziale della locazione e, in concreto, abusando di tale negozio giuridico per conseguire indebiti vantaggi fiscali.

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