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Giurisprudenza

Sequestrato l’immobile della ex
se la separazione appare fittizia

Il provvedimento, finalizzato alla confisca per equivalente, può ricadere su beni, anche non di proprietà, ma di cui l’indagato ha comunque mantenuto l’effettiva disponibilità

casa contesa
La Cassazione, con la sentenza n. 28770 del 7 luglio 2015, fa finire sotto sequestro l’immobile di proprietà esclusiva della ex moglie perché la separazione e il trasferimento del bene appaiono fittizi. All’accusa non resta che dimostrare il mantenimento della disponibilità del cespite da parte dell’indagato.
 
I fatti di causa
Il tribunale del riesame ha rigettato il ricorso presentato da due ex coniugi avverso il decreto di sequestro preventivo emesso dal Gip, finalizzato alla confisca per equivalente di un immobile.
A entrambi, erano state contestate plurime condotte di bancarotta fraudolenta e solo all’ex marito era imputato anche l’omesso versamento di ritenute certificate e di Iva (articoli 10-bis e 10-ter del Dlgs 74/2000).
L’immobile al centro della questione era divenuto di proprietà della donna in seguito alla separazione consensuale tra i due. La donna, dunque, poteva dirsi interessata alla restituzione dell’immobile, ma come soggetto terzo.
 
Nel conseguente ricorso per cassazione, l’ex moglie ha dedotto violazione di legge (articoli 321, comma 2, cpp e 322-ter cp), in quanto il tribunale del riesame avrebbe mantenuto il vincolo sull’immobile, sebbene acquistato in precedenza dai coniugi in regime di separazione patrimoniale dei beni, per divenire poi di proprietà esclusiva della ricorrente a seguito della separazione consensuale della coppia. In questo modo, non si potrebbe configurare alcuna disponibilità del bene in capo al marito, neppure in forma indiretta. Inoltre, il bene non potrebbe essere considerato indivisibile, ben potendo il vincolo limitarsi a una porzione o quota del medesimo.
Ai fini della confisca per equivalente, la ricorrente eccepisce poi che il vincolo cautelare è stato disposto sull’immobile senza compiere alcuna verifica dell’effettivo profitto del reato in capo alla società di cui il coniuge è amministratore.
Infine, la difesa ha evidenziato che la ricorrente non può essere ritenuta quale terzo interessato, atteso che la stessa – già indagata per il reato di bancarotta fraudolenta, il cui nucleo sarebbe rappresentato proprio dai reati tributari che sostengono la misura in esecuzione – avrebbe assunto, in ordine agli stessi, il ruolo di imputata.
 
Motivi della decisione
La Cassazione ha deciso la vertenza dichiarando inammissibile il ricorso, in quanto estraneo al reato fiscale contestato all’ex marito, perciò con patrocinio di un difensore privo di procura speciale.
Si tratta di una particolare fattispecie, quella esaminata, che riguarda la possibilità di qualificare la ricorrente come soggetto terzo estraneo al reato, come sollecitato da un’eccezione dell’accusa di dichiarare inammissibile il ricorso in Cassazione, in quanto la ricorrente deve essere considerata estranea ai reati fiscali, per i quali è indagato soltanto l’ex marito.
La sentenza ha accolto il rilievo, affermando che la moglie è un terzo estraneo al delitto, interessato alla restituzione.
 
In tal modo, la suprema Corte, non ha condiviso la tesi della ricorrente, vigendo il principio giurisprudenziale contrario, in base al quale “In materia di misure cautelari reali, il terzo interessato alla restituzione dei beni, può proporre ricorso per Cassazione previo conferimento al difensore di una procura speciale così come previsto dall’art. 100 c.p.p.” (cfr Cassazione 47239/2014).
 
Peraltro, nel merito, ai fini del sequestro preventivo, funzionale alla confisca di cui all’articolo 322-ter del codice penale, non occorre provare il nesso di pertinenzialità del bene rispetto al reato, essendo assoggettabili a confisca cose che si trovano nella disponibilità dell’indagato per un valore corrispondente a quello relativo al profitto o al prezzo del reato (cfr Cassazione 11902/2005 e 18527/2011). Il sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente, può ricadere, quindi, su beni comunque nella disponibilità dell’indagato.
Per “disponibilità”, secondo la giurisprudenza di legittimità (cfr Cassazione 11732/2005), deve intendersi la relazione effettuale del condannato con il bene, caratterizzata dall’esercizio dei poteri di fatto corrispondenti al diritto di proprietà. Non è necessario, perciò, che i beni siano nella titolarità del soggetto indagato o condannato, essendo necessario e sufficiente che egli abbia un potere di fatto sui beni medesimi e, quindi, la disponibilità degli stessi (articolo 1140 cc). Potere di fatto che può essere esercitato direttamente o a mezzo di altri soggetti, che a loro volta, possono detenere la cosa nel proprio interesse (detenzione qualificata) o nell’interesse altrui (detenzione non qualificata) (cfr Cassazione 10194/2015).
 
Nel caso di specie, nel passaggio essenziale della trama argomentativa, la suprema Corte ha precisato, quindi, che il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente è stato disposto sull’immobile intestato alla ricorrente, non perché ella sia stata ritenuta partecipe delle violazioni contestate all’ex marito, quanto piuttosto perché si è dedotto che questi ne abbia mantenuto l’effettiva disponibilità, tanto da far risultare fittizia l’intestazione alla donna, ossia “una mera, fittizia apparenza operata nei confronti di un soggetto terzo”.
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