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Giurisprudenza

Sequestro preventivo “prima casa”:
con dichiarazione falsa si può fare

Questo anche se l’immobile è stato acquistato dall’indagato prima dell’entrata in vigore della norma che ha esteso la possibilità di applicare la misura cautelare ai reati tributari

quadro e sua copia

In tema di reati tributari, l’articolo 76 del Dpr 602/1973, che – al ricorrere di specifiche ipotesi e condizioni – esclude la possibilità di espropriare l’immobile adibito a “prima casa” del debitore, si applica al solo agente della riscossione e non esplica alcun effetto sulla misura cautelare reale imposta nel processo penale, avente, evidentemente, finalità del tutto diverse.
Inoltre, il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente, del profitto corrispondente all’imposta evasa può avere a oggetto anche beni acquistati dall’indagato in epoca antecedente all’entrata in vigore dell’articolo 1, comma 143, della legge n. 244/2007, che ha esteso tale misura ai reati tributari. Questi, in sintesi, i principi giuridici affermati dalla suprema Corte, nella sentenza n. 45707, dello scorso 11 novembre.
 
La vicenda processuale
Nei confronti del contribuente, al quale venivano contestati i reati di dichiarazione fraudolenta e sottrazione al pagamento delle imposte (rispettivamente previsti dagli articoli 2 e 11 del Dlgs n. 74/2000), veniva disposto, in via cautelare, il sequestro preventivo dell’immobile adibito a “prima casa”, finalizzato:

  • alla confisca diretta, in relazione all’articolo 11 (l’immobile stesso, secondo l’ipotesi accusatoria, era stato oggetto di alienazione simulata al coniuge al fine di sottrarre il bene alla procedura di riscossione coattiva)
  • alla confisca per equivalente, in relazione all’articolo 2. 

La richiesta di dissequestro dell’immobile di residenza dei contribuenti veniva rigettata dal Gip, con ordinanza che veniva confermata in sede di appello dal Tribunale del riesame. Avverso tale ordinanza, i contribuenti proponevano ricorso per cassazione, fondato su due motivi:
- in primo luogo, lamentavano l’erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche, di cui si deve tener conto nell'applicazione della legge penale, in relazione all’articolo 11 del Dlgs n. 74/2000, per avere il tribunale erroneamente escluso l’operatività nel caso in esame dell’articolo 76 del Dpr n. 602/1973, laddove l’oggetto della simulata alienazione risultava essere un bene immobile adibito a prima casa del contribuente/debitore, bene non sottoponibile ad azione esecutiva
- con il secondo motivo di ricorso veniva dedotto il medesimo vizio di erronea applicazione della legge con riferimento, questa volta, all’articolo 2 del Dlgs n. 74/2000, in quanto l’immobile in argomento, acquistato dal contribuente prima dei fatti contestati, non poteva costituire il prezzo o profitto del reato di dichiarazione fraudolenta e, pertanto, non avrebbe potuto formare oggetto di sequestro finalizzato alla confisca per equivalente. Inoltre, avrebbe comunque dovuto trovare applicazione la previsione limitativa dell’articolo 76, Dpr n. 602/1973, avendo il legislatore – con tale disposizione – inteso delineare una sorta di perimetro vitale a garanzia della prima casa del debitore/evasore.
 
La pronuncia della suprema Corte
Con la sentenza in commento, la Corte di cassazione ha ritenuto di dare continuità all’orientamento espresso in numerose precedenti pronunce di legittimità, che nega la rilevanza, ai fini delle misure cautelari reali disposte nell’ambito del processo penale, del principio di impignorabilità dell’immobile adibito a prima casa, sancito in ambito tributario dall’articolo 76 del Dpr 602/1973.
La Corte, nel rigettare il ricorso del contribuente, puntualizza, da un lato, che le limitazioni imposte dal richiamato articolo 76 alla possibilità di sottoporre a espropriazione l’immobile costituente prima casa del debitore “riguardano (…) il solo agente della riscossione e (…) non svolgono alcun effetto sulla misura cautelare reale imposta nel processo penale, avente, evidentemente, finalità del tutto diverse…”. Al riguardo, è opportuno specificare che i giudici di legittimità riconoscono l’operatività dell’articolo 76, unicamente con riferimento al reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (articolo 11 del Dlgs n. 74/2000), operatività che “si spiega per la peculiare struttura del medesimo, laddove la fattispecie di pericolo presuppone l’idoneità dell’atto simulato ad ostacolare la procedura esecutiva, cosicchè solo sotto tale aspetto ‘strutturale’ di quest’ultimo reato assume rilievo la disposizione di cui all’art. 76 richiamata, senza che tuttavia essa possa acquisire una portata generale anche rispetto a fattispecie – come l’art. 2 del D. Lgs. 74/2000 – che si connotino diversamente nel loro elementi costitutivi” (cfr Cassazione, n. 7359/2014).
 
Sotto tale profilo, quindi, la suprema Corte conferma l’orientamento già espresso in argomento con la sentenza n. 3011/2017, laddove aveva riconosciuto l’applicabilità della limitazione contenuta nell’articolo 76 del Dpr n. 602/73 anche riguardo al sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta nella sola ipotesi in cui si proceda per il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, atteso che, in tal caso, la fattispecie delittuosa presuppone l’idoneità della condotta a rendere inefficace, in tutto o in parte, la procedura di riscossione coattiva. Poiché la prima casa non può essere oggetto di espropriazione immobiliare, consentirne la confisca diretta equivarrebbe a “consentire in modo surrettizio quel che il legislatore espressamente esclude”.
 
A diverse conclusioni la Corte giunge con riferimento alla misura cautelare disposta in relazione al delitto di cui all’articolo 2 del Dlgs n. 74/2000. In tale ambito, infatti, viene fermamente riaffermato il principio della irrilevanza, nel processo penale, della previsione che preclude all’agente della riscossione, in specifiche ipotesi e condizioni, di procedere all’espropriazione dell’immobile adibito a “prima casa” del debitore, con conseguente legittimità del relativo sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente.
 
Quindi, i giudici di legittimità rigettano anche il secondo motivo di ricorso, puntualizzando che la predetta misura cautelare può colpire anche i beni acquistati dal contribuente/debitore in epoca antecedente all’entrata in vigore della disposizione (articolo 1, comma 143, legge n. 244/2007) che ha ne ha esteso l’applicazione ai reati tributari, “in quanto il principio di irretroattività attiene solo al momento di commissione della condotta e non anche al tempo di acquisizione dei beni oggetto del provvedimento” (cfr Cassazione, n. 25490/2014).

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