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Giurisprudenza

Si può parlare di sponsorizzazione
solo se presenti potenziali clienti

La prestazione indirizzata a una platea che, plausibilmente, non acquisterà il prodotto, non possiede il nesso di reciprocità, necessario alla deducibilità della spesa

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La Ctp di Firenze – con la sentenza 969/06/2014 – ha chiarito che è indeducibile, per difetto di inerenza (ex articoli 109, comma 5, del Tuir, e 19 del Dpr 633/1972), il costo per sponsorizzazione sostenuto da una società, la cui clientela è costituita da poche grandi industrie a livello nazionale e che non può, dunque, essere incrementata attraverso sponsorizzazioni derivanti da eventi sportivi, che rivestono portata solo locale e richiamano un pubblico di poche centinaia di persone.
 
I fatti di causa
Al centro della controversia vi erano i ricorsi riuniti, avanzati da una Sas fiorentina – attiva nel commercio di rottami – e da una Srl, in qualità di socio accomandante della prima, che insorgevano avverso gli avvisi di accertamento a esse notificati, emessi a seguito di pvc, con il quale l’Agenzia delle Entrate aveva riscontrato una serie di violazioni.
Tra queste, assieme al contestato utilizzo di fatture per operazioni inesistenti e all’indebita deduzione e imputazione di costi, vi era - in particolare - l’indebita deduzione di spese di pubblicità.
Sotto la lente del Fisco, infatti, erano caduti alcuni contratti pubblicitari, stipulati - nell’anno sottoposto ad accertamento - dalla società controllata con due associazioni sportive dilettantistiche, che, secondo l’Amministrazione finanziaria, non presentavano la natura dei contratti a prestazioni corrispettive, mancando nesso tra la prestazione a carico dello sponsor e quella a carico degli sponsorizzati.
 
Di contrario avviso si mostravano le società contribuenti, che sostenevano la regolarità delle operazioni di sponsorizzazione, con conseguente deducibilità del costo.
 
Il deliberato della Ctp di Firenze
Nel rigettare i ricorsi riuniti e nel confermare in toto le risultanze del pvc, prodromico all’emissione degli atti impositivi, i giudici fiorentini analizzano peculiarmente le caratteristiche dei contratti di sponsorizzazione, conclusi dalla Sas accertata.
Ebbene, tali contratti, secondo il collegio toscano, presentano le caratteristiche dell’erogazione liberale e sono privi del requisito della correlazione con la produzione dei ricavi, prevista dall’articolo 108 del Tuir.
 
Con le spese di sponsorizzazione, infatti, la società dovrebbe tendere a farsi conoscere da soggetti interessati a conferire rottami. Ma, nel caso concreto, la clientela della ricorrente è costituita da poche grandi industrie a livello nazionale e non può essere incrementata attraverso sponsorizzazioni derivanti da eventi sportivi, che rivestono portata solo locale e richiamano un pubblico di poche centinaia di persone.
Infatti, per la deducibilità delle spese suddette, queste devono essere indirizzate a un pubblico che potenzialmente può acquistare il prodotto.
Da qui, la conclusione circa la conferma dell’indeducibilità del costo (ex articoli 109, comma 5, del Tuir, e 19 del Dpr 633/1972).
 
Osservazioni
La sponsorizzazione – tra le forme di pubblicità – è una collaborazione per cui un’impresa paga un corrispettivo a un soggetto, come un’associazione sportiva dilettantistica, affinché quest’ultima, nel corso delle manifestazioni sportive, mostri un segno distintivo dello sponsor, come il logo, il marchio o il nome.
Con l’abbinamento all’evento, la società intende trasmettere un’immagine più positiva dell’impresa e accrescere, di conseguenza, il proprio fatturato.
 
Associare il concetto di inerenza a quello dell’accrescimento del proprio fatturato, per la pretesa genericità di quest’ultimo aspetto, ha suscitato orientamenti anche contrastanti della giurisprudenza, sia di merito sia di legittimità.
Difatti, una risalente sentenza della Corte di cassazione, la 6502/2000, ha interpretato in modo piuttosto estensivo il concetto di inerenza, sostenendo che l’attività dell’impresa deve essere valutata in rapporto a tutte le attività, anche se non attualmente esercitate, purché rientranti nell’oggetto sociale. In tale ottica, non rileva che le spese non abbiano dato luogo a un ritorno in termini di ricavi né compete all’Amministrazione finanziaria valutare la convenienza economica dell’operazione.
La sentenza conclude affermando che le sponsorizzazioni sono deducibili se obiettivamente riferibili al nome e all’oggetto dell’impresa, anche quando l’investimento, diretto ad ampliare le attività e il mercato dell’azienda, non è stato seguito, nell’immediato, da alcun riscontro effettivo e reale.
 
Tale orientamento, marcatamente favorevole alla posizione del contribuente e ispirato alla pressoché totale insindacabilità delle sue scelte commerciali, non appare più attuale.
Infatti, una pronuncia ben più recente della Cassazione (la n. 3433/2012) ha stabilito che deve essere proprio il contribuente, per giustificare l’inerenza del costo, a dimostrare quale sia l’incremento commerciale ottenuto, anche in considerazione della particolare attività svolta dall’impresa.

Le difficoltà in proposito denunciate da una dottrina, per cui la prova dell’incremento commerciale ottenuto non sarebbe particolarmente agevole, anche perché non è comunque definita dalla norma la tempistica in cui l’incremento commerciale dovrebbe manifestarsi, paiono superabili in molti casi alla luce del buon senso.
Il caso in esame dimostra, infatti, come sia lampante l’indeducibilità di una spesa sostenuta da una società che, avendo come partner commerciali solo pochissime multinazionali e non rivolgendosi in nessun modo alla vendita al dettaglio, non potrebbe in alcun modo incrementare il proprio fatturato a seguito di sponsorizzazioni, in occasione di piccolissime manifestazioni sportive, che radunano solo qualche spettatore “disinteressato”.
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